15/04/2009
132. Ritorno dell’ateismo? di Rosino Gibellini
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È un fenomeno facilmente osservabile nelle librerie e sulla stampa: si vanno diffondendo libri che propagano l’ateismo, e intentano un attacco diretto alla religione, in particolare al cristianesimo, raggiungendo anche tirature da bestseller.

Del fenomeno si può dare una duplice spiegazione: da una parte, è una reazione al terrorismo islamista di matrice religiosa, ma anche al fondamentalismo e integrismo religioso: islamico, ebreo e cristiano, tempestivamente esaminato dal saggio del sociologo francese Gilles Kepel, La rivincita di Dio (1991); dall’altra, questo fenomeno può essere visto come una ripresa delle scientismo ottocentesco, che si autopresenta come «naturalismo scientifico», per il quale la scienza, soprattutto nella sua versione evoluzionista, avanza la pretesa di essere una spiegazione esauriente e esaustiva della realtà. È questo fenomeno, che qui viene caratterizzato come «nuovo ateismo».

Il merito del recente libro Dio e il nuovo ateismo (Giornale di teologia 339) del teologo nordamericano di Washington, John Haught, tra i più esperti per i suoi studi e le sue pubblicazioni sul rapporto tra fede e scienza, è di conoscere la varia letteratura in materia, soprattutto di lingua inglese, ma di concentrarsi sui libri più completi e più diffusi di questa tendenza, e precisamente L’illusione di Dio (2006) di Richard Dawkins; La fine della fede (2004) di Sam Harris; Dio non è grande (2007) di Christopher Hitchens. Appare spesso anche un altro nome: Daniel Dennet con il suo libro, Rompere l’incantesimo: la religione come fenomeno naturale (2006), che svolge la teoria del «naturalismo scientifico», e che rappresenta la fonte teorica della varia letteratura del «nuovo ateismo». La concentrazione sui testi principali, nel contesto degli altri scritti, ampiamente citati (anche nella corrispondente edizione italiana), permette al teologo di svolgere una trattazione essenziale e puntuale, espositiva e critica, delle tesi principali di questo fenomeno.

John Haught acutamente sintetizza la massa di questi scritti con il concetto di «nuovo ateismo», che rimanda ad una distinzione ricorrente nella sua trattazione. Egli distingue tra ateismo duro (hard-core) e ateismo debole (soft-core). L’ateismo duro è l’ateismo classico (Feuerbach, Marx, Nietzsche, Freud, Sartre), che aveva la consapevolezza delle conseguenze filosofiche, culturali ed esistenziali della negazione radicale di Dio; ciò che non ha il nuovo ateismo, che ignora le conseguenze nichiliste della posizione che sostiene. Si tratta, si direbbe, di un ateismo disinvolto, esclusivamente polemico nei confronti della religione. In questo senso, il filosofo tedesco Klaus Müller parla di «ateismo come contro-religione (Gegenreligion)».

I teorici del nuovo ateismo enfatizzano la scienza, tanto che il loro ateismo è chiamato anche «ateismo biologistico» (Streit), e non si rendono conto della complessità del «problema di Dio», che rimanda alla ricerca della filosofia, da Platone a Wittgenstein, e della teologia, da Agostino a Schleiermacher, Tillich e Rahner, ma anche alla ricerca e alla progettualità umana in tutta la sua vastità e profondità. Lo scrittore John Cornwell, nel suo libro L’angelo di Darwin (2007), che è una garbata e articolata lettera al teorico dell’evoluzione di Oxford, Richard Dawkins, il principale rappresentante del movimento, chiama questi scrittori «fondamentalisti atei», in quanto procedono, semplificando i problemi, come, al lato opposto, fanno i fondamentalisti religiosi, che oppongono creazione ad evoluzione. A conclusione della sua ferma risposta ai «nuovi atei» Cornwell cita il primo capoverso del libro del fisico teorico Lee Smolin, L’universo senza stringhe (trad. it., Einaudi, Torino 2007): «Che esista o meno un Dio (o addirittura degli dei), la nostra ricerca del divino ha qualcosa di nobilitante. E anche qualcosa che rende più umani, che si esprime in ognuna delle strade scoperte per raggiungere un livello più profondo della verità. Alcuni cercano la trascendenza nella meditazione e nella preghiera; altri nel mettersi al servizio del prossimo; altri ancora, quelli così fortunati da averne il talento, nella pratica di un’arte. Un altro modo di dedicarsi alle questioni più profonde della vita è la scienza».




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