12/03/2009
130. Remissione della scomunica alla Fraternità sacerdotale San Pio X Documentazione delle reazioni teologiche a cura di Erik Borgman
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Quando il Giornale e Il Riformista diedero la notizia il 22 gennaio 2009, il Vaticano non volle confermarla ufficialmente. Il 24 gennaio fu però pubblicato un decreto datato 21 gennaio e a firma di Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione per i vescovi. In esso si comunicava che papa Benedetto XVI, «paternamente sensibile», aveva deciso di corrispondere alla richiesta del vescovo Bernard Fellay, superiore generale della Fraternità sacerdotale San Pio X, e di rimettere la scomunica latae sententiae ai vescovi Bernard Fellay, Bernard Tissier de Mallerais, Richard Williamson e Alfonso de Galarreta della Fraternità stessa. «Siamo sempre fermamente determinati nella volontà di rimanere cattolici e di mettere tutte le nostre forze al servizio della chiesa di nostro Signore Gesù Cristo, che è poi la chiesa cattolica romana», aveva scritto Fellay. «Noi accettiamo i suoi insegnamenti con animo filiale. Noi crediamo fermamente al primato di Pietro e alle sue prerogative, e per questo ci fa tanto soffrire l’attuale situazione». Il decreto ha spiegato che si desiderava «consolidare le reciproche relazioni di fiducia e intensificare e dare stabilità ai rapporti della Fraternità San Pio X con questa Sede apostolica». «Questo dono di pace, al termine delle celebrazioni natalizie, vuol essere anche un segno per promuovere l’unità nella carità della chiesa universale e arrivare a togliere lo scandalo della divisione».

In una intervista alla televisione svedese uno dei vescovi della Fraternità, Richard Williamson, ha affermato che a parer suo nessun ebreo è stato ucciso nelle camere a gas del Terzo Reich e che alcune centinaia di migliaia di ebrei sarebbero morti per fame e sfinimento nei campi di lavoro, ma non nei campi di sterminio. L’intervista venne trasmessa il 21 gennaio 2009.

Ci sono state immediatamente numerose reazioni a quel che a molti è parso essere la riabilitazione di un negatore dell’Olocausto. La comunità ebraica si è mostrata ferita e sdegnata, ma ha anche indicato che la cosa riguarderebbe le questioni interne della chiesa cattolica romana. I singoli governi hanno reagito con veemenza ricusando la tesi e alcuni hanno preteso delle scuse da parte della santa Sede. Nella curia il cardinal Walter Kasper si è mostrato scioccato e più vescovi si sono espressi criticamente parlando di deficienza nella competenza del Vaticano. Lo stesso cardinale Karl Lehmann, vescovo di Magonza, ha detto: «Ci si chiede […] come in realtà poter superare un simile intoppo da parte di una curia che di solito è straordinariamente informata». E l’insigne cardinale e arcivescovo di Bruxelles, Godfried Danneels, così si è espresso: «Se io fossi il papa chiederei scusa».


1/ Reazioni delle facoltà teologiche cattoliche nell’area tedesca

C’è stata pure la reazione delle facoltà cattoliche di teologia nell’ambito di lingua tedesca. E qui è divenuto subito chiaro che non si è trattato di «una tempesta in un bicchier d’acqua», come si è espresso il dogmatico di Innsbruck Józef Niewiadomski , ma di «una vera crisi. Ora sul banco degli imputati sta il modo in cui la chiesa si percepisce nel mondo moderno e quanto seriamente essa prenda il concilio Vaticano II». Secondo Leonardo Boff, teologo della liberazione, questa decisione del papa indebolisce «tutti quelli che vogliono conciliare la chiesa con un consenso ufficiale» e questo comune accordo sarebbe il concilio. Thomas J. Reese della Georgetown University di Washington/DC (USA), ex caporedattore di America, la rivista dei gesuiti edita a New York, ha indicato il decreto del 21 gennaio come «una catastrofe totale per la chiesa». Di questo segno anche le reazioni delle facoltà di teologia di cui diamo qui uno sguardo complessivo.

La prima reazione è venuta il 28 gennaio dalle professoresse e dai professori della Facoltà cattolica di teologia della Wilhelm Universität di Münster in Vestfalia. Come hanno spiegato, essi con quanto già stanno facendo si collocherebbero saldamente «sul terreno del concilio Vaticano II» rendendo i «princìpi di un sincero incontro con il mondo e la cultura di oggi, della libertà di coscienza e di religione, del riconoscimento del dialogo ecumenico e dell’interscambio interreligioso» il fondamento del loro lavoro teologico, e aggiungendo inoltre che «la riflessione sul rapporto tra chiesa ed ebraismo» costituirebbe per loro «un elemento centrale» e che «molte delle nostre colleghe e colleghi attualmente in carica o a riposo […] si sarebbero – e lo sono – impegnati per un rinnovato legame tra chiesa ed ebraismo, trovando in ciò un riconoscimento scientifico e sociale». Si sono detti perciò sgomenti di fronte alla riabilitazione dei vescovi della Fraternità sacerdotale San Pio X che negano i meriti del concilio e inoltre hanno affermato che «negare la shô’ah come ha fatto il vescovo Williamson» starebbe «su un piano diametralmente opposto» rispetto a quanto viene da loro teologicamente sostenuto. «Un vescovo che falsa la verità storica, sapendo che così facendo non solo incontra un generale rifiuto sociale ma che commette un reato penalmente punito in Germania, non può essere riabilitato, ma anzi va richiamato all’ordine […]. È uno scandalo che fino ad ora l’unica reazione ufficiale della santa Sede sia una presa di distanza verbale dalle sue dichiarazioni».

Il giorno successivo l’Istituto di specializzazione in teologia cattolica della Goethe Universität di Francoforte per bocca del decano Klaus Arnold ha rilasciato una dichiarazione in cui si diceva che «l’Istituto, avendo posto al centro della propria ricerca il tema della “religione in dialogo”, afferma come priorità assoluta l’esigenza del rispetto reciproco tra le religioni mondiali». Discutendo la remissione della scomunica ai vescovi della Fraternità sacerdotale San Pio X si è fatto seguito esplicitamente alla presa di posizione del vescovo Heinrich Mussinghoff, presidente della sottocommissione per i rapporti con l’ebraismo della Conferenza episcopale tedesca, che ha attentamente contraddetto l’esplicita negazione dell’Olocausto. «Oltre a ciò, i quattro vescovi e i responsabili della Fraternità San Pio X hanno reso chiaro di non osservare la dichiarazione del concilio Vaticano II sulle relazioni della chiesa con le religioni non cristiane, Nostra aetate, del 28 ottobre 1965». Si è espressa poi «la grande e chiara attesa, insieme alla pressante preghiera, che nei colloqui i quattro vescovi e la Fraternità dimostrino in modo inequivocabile e credibile fedeltà al concilio Vaticano II e, in particolare, alla dichiarazione Nostra aetate, le cui esigenze con tanta costanza e beneficio papa Giovanni Paolo II ha fatto proprie nel suo lungo pontificato. Dopo l’ampia compiacenza del papa ci aspettiamo affermazioni chiare della Fraternità e dei suoi vescovi, particolarmente a proposito della Nostra aetate».

Il 30 gennaio ha fatto seguito una dichiarazione dei professori della Facoltà teologica della Albert Ludwig Universität di Friburgo. Hanno definito «incomprensibile la revoca della scomunica dei vescovi scismatici prima che questi fondamentalmente abbiano accettato le proposizioni del magistero del concilio Vaticano II. Fino ad oggi sono ignorate o persino conseguentemente negate nel contesto della Fraternità espressioni del concilio come quelle sulla libertà religiosa, sulla dignità della coscienza individuale, sulla volontà di salvezza universale di Dio, sul sacerdozio comune di tutti i fedeli o sullo speciale ruolo storicosalvifico dei fratelli e delle sorelle ebrei (Nostra aetate 4). Un simile atteggiamento di rifiuto non può restare ignorato se la mancanza di unità tra cristiane e cristiani è percepita come molto dolorosa». Nella dichiarazione si accenna al fatto che la credibilità dell’impegno per la dignità umana universale e gli ordinamenti giuridici di libertà sociale sarebbe massicciamente danneggiata se vengono poste in questione le suddette affermazioni conciliari. «I molteplici sforzi di cristiane e cristiani in tutto il mondo per sostenere i diritti fondamentali della libertà sono ostacolati dalla revoca della scomunica ai vescovi della Fraternità sacerdotale». I professori «come teologi appartenenti alla terra che ha visto la nascita della Riforma» si dicono anche profondamente dispiaciuti che la remissione della scomunica «renda ancor più profondo il fossato che ci divide dalle chiese della Riforma. Si dà infatti impulso, all’interno del mondo cattolico, al sentire antiecumenico della Fraternità», mentre il concilio Vaticano II, che la Fraternità contesta, ha mostrato chiaramente la propria volontà a favore dell’ecumenismo. Infine si ricorda che «l’unità di fede […] in una chiesa che è sempre chiesa in un mondo che dinamicamente evolve, deve essere affermata in modi costantemente nuovi. La concessione [alla Fraternità] della revoca della scomunica può far sorgere l’impressione che le espressioni centrali del magistero sarebbero strategicamente a disposizione del papa. Ciò nuoce alla credibilità del suo ufficio, in cui egli deve essere garante fidato della fede cattolica». Il 6 febbraio la maggior parte dei professori della Facoltà cattolica di teologia della Johannes Gutenberg Universität di Magonza ha appoggiato la presa di posizione dei colleghi di Friburgo.

I professori della Facoltà cattolica di teologia di Tubinga hanno spiegato il 30 gennaio che la revoca della scomunica ai vescovi della Fraternità sacerdotale San Pio X rappresenta uno scandalo e un pesante addebito al loro lavoro, «ma anche a quello di molti sacerdoti, di collaboratrici e collaboratori alla pastorale, di insegnanti di religione». Nel caso di ulteriori concessioni alla Fraternità si temono «conflitti e rotture permanenti a danno della chiesa». «Ci risulta incomprensibile che nella chiesa si riammettano persone simili che apertamente rifiutano il concilio Vaticano II, mentre altre che svolgono il proprio lavoro a partire da questo concilio, come per esempio i rappresentanti della teologia della liberazione, sono stati allontanati e vengono spinti a uscire. Qui apparentemente non è garantito un principio di giustizia». Segue l’appello «a promuovere e difendere saldamente» l’eredità del concilio.

Nello stesso giorno il decano, Hans-Ferdinand Angel, della Karl Franzen Universität di Graz ebbe ad affermare che il concilio Vaticano II è fondamentale per la concezione che ha di sé la Facoltà cattolica di teologia. Le richieste e i grossi sforzi del papa per l’unità della chiesa vengono apprezzati, ma, «di fronte al fatto che questa apertura non riguarda tutti nella stessa misura, la remissione della scomunica da sola è una faccenda alquanto seria che mette in questione la credibilità della chiesa». La natura e il modo in cui Richard Williamson si è espresso a proposito della shô’ah e delle atrocità del regime nazionalsocialista sono accolti come «intollerabili e disgustosi», spiegando a proposito, con particolare riferimento alle concittadine e concittadini di fede ebraica, che «la Facoltà cattolica di teologia, chiusa durante il dominio nazionalsocialista, è impegnata dal tempo della sua ricostituzione nella revisione del ruolo della propria chiesa in questo tempo. È profondamente dispiaciuta di tutto ciò che viene detto e fatto da parte della chiesa e che non corrisponde alle richieste di riconciliazione che il concilio Vaticano II espressamente riconosce».

La presa di posizione delle professoresse e dei professori della Facoltà cattolica di teologia della Otto Friedrich Universität di Bamberga del 2 febbraio si rifà abbondantemente a quella dell’Università di Münster. La Facoltà cattolica di teologia dell’Università di Würzburg afferma – in un comunicato stampa che reca la stessa data – di concordare con le dichiarazioni delle Facoltà di Münster, Friburgo e Tubinga. «Essa condivide la preoccupazione che gli avvenimenti attuali favoriscano l’impressione che la chiesa cattolica possa relativizzare i princìpi del concilio, che hanno contribuito essenzialmente a costituirla una nel mondo e con il mondo». Quanto detto dalla Facoltà cattolica di teologia di Bochum , pure reso noto il 2 febbraio, pone con forza il motivo che «la sottolineatura della volontà universale di salvezza di Dio, la dichiarazione delle libertà di religione e di coscienza, il rinnovamento del rapporto verso gli ebrei, il sostegno all’ecumenismo, la nuova coscienza dello spirito della liturgia, la nuova definizione di relazione tra chiesa e mondo, l’accento posto sulla collegialità dei vescovi e del comune sacerdozio di tutti i credenti, così come si trovano descritti nei documenti del concilio Vaticano II» corrispondono «alla testimonianza della sacra Scrittura» e fanno sentire «il grande respiro della Tradizione». «Per tutti quelli che sono in comunione con la chiesa non esiste un motivo razionale per porsi contro il concilio». A Bochum si vede «la necessità di richiamare alla memoria su una base più ampia tutti i temi centrali del concilio Vaticano II, in particolare l’insegnamento sulla chiesa, e di legarli alle sfide del XXI secolo». Questo è un lavoro da fare ogni giorno; con ciò, nondimeno, viene annunciato anche un incontro pubblico di studio «che presenti il documento centrale del concilio sul rapporto della chiesa cattolica con l’ebraismo, Nostra aetate, e lo inquadri sia nel processo di dialogo iniziatosi allora sia nel contesto dell’attuale dibattito». I docenti dell’Istituto superiore per la filosofia e la teologia Sankt Georgen di Francoforte hanno dichiarato impossibile la ricostituzione della piena comunione della Fraternità sacerdotale San Pio X con la chiesa cattolica nella misura in cui i quattro vescovi, pur sempre sospesi, e la Fraternità non riconoscono con chiarezza l’intera dottrina della chiesa cattolica. «A ciò appartiene anche l’approvazione di tutti i concili e dei documenti del concilio Vaticano II», il riconoscimento dell’origine della fede cristiana dal giudaismo e l’indissolubilità dell’alleanza di Dio con il popolo ebraico, i cui membri la chiesa cattolica stima e rispetta come sorelle e fratelli maggiori. «Tutte le espressioni e gli atteggiamenti antisemiti sono assolutamente irriconciliabili con la fede della chiesa».

I professori e le professoresse della Facoltà teologica di Lucerna si dicono preoccupati per gli sviluppi e la considerazione pubblica della chiesa cattolica. Il motivo di questa apprensione, reso noto il 4 febbraio, riguarda il fatto che la remissione della scomunica ai vescovi della Fraternità sacerdotale San Pio X «possa essere interpretata come incoraggiamento a isolarsi dalla società e dalla cultura di cui noi siamo parte e quale rafforzamento delle correnti antiecumeniche e antiebraiche». Deve pertanto «essere sostenuto in tutta chiarezza che l’abolizione della scomunica non significa il riconoscimento delle posizioni rappresentate» dalla Fraternità San Pio X. Nello stesso giorno le docenti e i docenti dell’Università cattolica di Eichstätt-Ingolstadt hanno ricordato al papa, che ha una laurea honoris causa della loro università, che negli anni del concilio egli ha influenzato parecchi dei testi significativi come perito conciliare. I ricercatori e gli insegnanti dell’unica università cattolica nell’area di lingua tedesca scrivono che non si può accettare che i membri della Fraternità San Pio X respingano la libertà religiosa conquistata a fatica, che trattino come «opinione errata e follia» la libertà di coscienza, che parlino dei correligionari ebrei del presente come “deicidi” nella misura in cui costoro non sarebbero battezzati, e che mettano in questione la neutralità di principio dello stato strumentalizzandola – contro lo spirito del vangelo – con posizioni discriminanti e in parte razziste nei confronti di chi crede diversamente. «Queste posizioni danneggiano in modo serio indirettamente la credibilità dell’università cattolica e direttamente anche l’attendibilità della chiesa nel suo insieme, sconfessando oltre a ciò i nostri sforzi di rappresentare il vangelo rispondendo alle persone e alle situazioni e di trasporre nella ricerca e nell’insegnamento un orientamento cristiano ai valori».

Il 5 febbraio il decano Michael Schulz, scrivendo a nome del collegio della Facoltà teologica di Bonn, ha ricordato il fatto che la sua istituzione ha voluto porre un segno contro l’antiebraismo e la chiusura al mondo consegnando a Werner Trutwin, pedagogo della religione, una laurea honoris causa in teologia. In merito a questa decisione hanno pesato, da una parte, i meriti scientifici conseguiti da Trutwin ma, dall’altra, anche il suo impegno decennale nel favorire la comprensione tra cristiani ed ebrei a livello nazionale e internazionale. «La voce messa tragicamente a tacere nel 1942 dell’allora giovane poetessa ebrea Selma Meerbaum-Eisinger è stata fatta udire in modo commosso da Michael Denhoff il giorno del conferimento della laurea con l’esecuzione di sette cantate per mezzosoprano e armonium».


2/ Reazioni di altre organizzazioni

La Comunità di lavoro sulla teologia pratica in Svizzera nel suo incontro del 10 febbraio 2009 a Zurigo si è associata alle facoltà tedesche su quanto già esposto. Si è dichiarata preoccupata che l’essere venuti incontro alla Fraternità sacerdotale San Pio X, che si è definita come “gruppo scismatico separatista”, senza i presupposti di contenuto possa essere compreso come rafforzamento delle correnti antiecumeniche e antiebraiche. «Si sarebbe dovuto prevedere in anticipo una tale possibile interpretazione e la mancanza di sensibilità a questo riguardo è perciò incresciosa, tanto più che questo atto è stato preceduto dalla nuova formulazione della preghiera per gli ebrei del venerdì santo, che è per lo meno ambigua, in concomitanza con il ripristino della messa tridentina come forma extra-ordinaria del rito romano».

Il movimento internazionale Noi siamo Chiesa ha fatto circolare una petizione «Per il riconoscimento incondizionato delle decisioni del concilio Vaticano II» redatta da Norbert Scholl, professore emerito di teologia cattolica e pedagogia della religione a Heidelberg. «Di fronte alle esternazioni antisemite e alla negazione dello sterminio nazionalsocialista degli ebrei da parte del vescovo ausiliare Richard Williamson e dei suoi seguaci condividiamo l‘indignazione delle nostre sorelle e di nostri fratelli di fede ebraica. Prendiamo inoltre atto del fatto che l’atteggiamento della Fraternità San Pio X nei confronti dell’ebraismo, nella sua globalità, non corrisponde alle esigenze avanzate dal concilio relativamente al dialogo ebraico-cristiano». Si deplora espressamente che con la remissione della scomunica alla Fraternità San Pio X sia consentito a settori della chiesa cattolica romana di rifiutare apertamente – tra le molte altre cose – lo spirito e la lettera di significativi documenti del concilio Vaticano II. «Finché il Vaticano si sforzerà solamente di riportare all’ovile le “pecorelle smarrite” dei settori tradizionalisti della chiesa, senza rimuovere anche altre scomuniche, senza rivedere i procedimenti del magistero in fatto di contestazione di teologhe e teologi riformatori e senza essere disponibile al dialogo con gli ambiti di riforma del mondo, la barca della chiesa cattolica romana non potrà che subire pesanti sbandamenti». Dalla sua pubblicazione il 28 gennaio la petizione è stata tradotta in quattordici lingue ed è stata sottoscritta da più di ventimila persone.

Il consiglio della Associazione europea per la teologia cattolica in una dichiarazione del 15 febbraio ha manifestato la sua profonda preoccupazione per la situazione di crisi in cui la chiesa cattolica si è venuta a creare a seguito della incondizionata remissione della scomunica ai quattro vescovi della Fraternità San Pio X. «Sono in gioco fondamenti basilari della ricezione del Vaticano II e bisogna fare chiarezza sulle novità presentate». Vengono citati il carattere dinamico della rivelazione e della tradizione, la dottrina sulla chiesa e la liturgia espresse in Dei Verbum (1965) e Sacrosanctum concilium (1963), l’esercizio collegiale della guida della chiesa testimoniato da Lumen gentium (1964), il pieno rispetto per la libertà di coscienza e di religione affermato da Dignitatis humanae (1965) e l’attiva partecipazione al dialogo ecumenico e interreligioso a cui incoraggiano Unitatis redintegratio (1964) e Nostra aetate (1965). Si osservi «che una grande maggioranza di cristiane e cristiani hanno perso la fiducia sul fatto che Roma porti avanti seriamente le innovazioni del concilio Vaticano II. Questa crisi è molto profonda» e sono auspicabili misure che creino una nuova confidenza, «affinché possa essere annunciato in libertà il vangelo di Gesù Cristo».

A loro volta il 19 febbraio il Comitato internazionale di direzione insieme alle editrici e agli editori di Concilium ha emesso una "Dichiarazione in occasione della revoca della scomunica alla Fraternità sacerdotale San Pio X".


3/ Reazione alle reazioni da parte del Vaticano

Il 4 febbraio la Segreteria di stato vaticana ha reso nota una dichiarazione che vuole essere una risposta alle «reazioni suscitate dal recente decreto della Congregazione per i vescovi, con cui si rimette la scomunica ai quattro presuli della Fraternità San Pio X, e in relazione alle dichiarazioni negazioniste o riduzioniste della shô’ah da parte del vescovo Williamson della medesima Fraternità». Si afferma chiaramente che la revoca della scomunica ai quattro vescovi li ha liberati da una pena canonica gravissima, ma non ha cambiato la situazione giuridica della Fraternità San Pio X che continua a non avere riconoscimento alcuno da parte della chiesa. «I quattro vescovi, benché sciolti dalla scomunica, non hanno una funzione canonica nella chiesa e non esercitano lecitamente un ministero in essa». Viene aggiunto inoltre che per l’approvazione futura della Fraternità sacerdotale «è condizione indispensabile il pieno riconoscimento del concilio Vaticano II e del magistero dei papi Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e dello stesso Benedetto XVI».

Infine viene sottolineato che «le posizioni di monsignor Williamson sulla shô’ah sono assolutamente inaccettabili», rinviando al fatto che il papa «ha ribadito la sua piena e indiscutibile solidarietà con i nostri fratelli destinatari della prima alleanza», affermando che «la memoria di quel terribile genocidio deve indurre l’umanità a riflettere sulla imprevedibile potenza del male quando conquista il cuore dell’uomo». La shô’ah «resta per tutti monito contro l’oblio, contro la negazione o il riduzionismo, perché la violenza fatta contro un solo essere umano è violenza contro tutti».




© 2009 by Teologi@Internet
Traduzione dal tedesco di Guido Ferrari
Forum teologico, a cura di Rosino Gibellini
Editrice Queriniana, Brescia (UE)
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