27/06/2014
289. RATZINGER – 20° EDIZIONE di Rosino Gibellini
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IntrodCristianesimo

I principi fondamentali del cristianesimo   



L’opera Introduzione al cristianesimo di Joseph Ratzinger, pubblicata nella lingua originale tedesca a Monaco di Baviera nel 1968, riproduce le lezioni sul Credo, tenute dal quarantenne teologo all’università di Tubinga, nel semestre estivo del 1967 in un corso destinato,  secondo una colta tradizione mitteleuropea, agli uditori di tutte le facoltà. Nell’analisi di Ratzinger sono sei gli assiomi fondamentali che caratterizzano il cristianesimo: 1. il cristianesimo fa appello al singolo, ma aprendolo al tutto: l’esistenza cristiana è un’esistenza aperta; 2. l’esistenza cristiana denota essenzialmente il passaggio dall’essere per se stessi all’essere per gli altri. Si riproduce nell’Antologia questo testo; 3. per il cristianesimo Dio è il totalmente Altro, è il Massimo, ma si manifesta nel Minimo (nella croce di Cristo); è la legge dell’incognito, o del nascondimento di Dio; 4. il Minimo rimanda al Massimo della sovrabbondanza; se il Massimo si rivela nel Minimo, la sovrabbondanza è la sua misura, il più-del-necessario è il necessario e il divino; 5. la rivelazione cristiana ha il carattere della definitività, ma essa apre alla speranza del futuro; 6. il cristianesimo afferma il primato del ricevere sul fare, del dono sulle prestazioni. La positività cristiana è accoglienza di un dono, che attiva iniziativa e responsabilità. La fede è una opzione fondamentale nei confronti della realtà, è una svolta nella vita e un porsi-in-relazione con la totalità, inconoscibile, della realtà. Nella fede l’uomo comprende che l’amore lo precede e rende possibile un’esistenza aperta, che, nella speranza, cerca il tutto.

[L’opera di Joseph Ratzinger, Introduzione al cristianesimo edita in prima edizione italiana nel 1969; in nuova traduzione nel 2005; ha raggiunto la ventesima edizione italiana nel 2014].





Il principio del “per”. Siccome la fede cristiana esige il singolo, ma lo vuole per il tutto e non per se stesso, nella preposizione “per” si esprime la vera e propria legge fondamentale dell’esistenza cristiana: è la logica conseguenza che scaturisce necessariamente da quanto detto finora. Ecco perché nel principale sacramento cristiano, che costituisce il centro della liturgia cristiana, l’esistenza di Gesù Cristo viene presentata come esistenza «per i molti» – «per voi» 1, come esistenza aperta, che rende possibile e crea, attraverso la comunicazione con lui, la comunicazione vicendevole fra tutti. Ecco perché, come già abbiamo visto, l’esistenza di Cristo si realizza e trova compimento come esistenza esemplare nell’apertura della croce. Ecco perché egli, preannunciando e spiegando la sua morte, può affermare: «Vado, ma torno a voi» (Gv 14,28): mentre mi allontano da voi, la parete della mia esistenza, che ora mi limita, viene demolita, sicché questo avvenimento costituisce il mio reale venire, in cui realizzo ciò che veramente io sono, vale a dire colui che fa entrare tutti nell’unità del suo nuovo essere, colui che non è più limite, bensì unità.

I Padri della chiesa hanno interpretato in questo senso le braccia spalancate del Signore sulla croce. Scorgono in esse in primo luogo la forma originaria del gesto cristiano di preghiera, l’atteggiamento dell’orante, così come lo incontriamo, in modo toccante, nelle raffigurazioni delle catacombe. Le braccia del Crocifisso lo mostrano come l’orante, ma nello stesso tempo danno alla preghiera una nuova dimensione, che costituisce lo specifico della glorificazione cristiana di Dio: quelle braccia spalancate sono espressione di preghiera anche e soprattutto in quanto esprimono la completa dedizione agli uomini, sono il gesto dell’abbraccio, della piena e indivisa fraternità. A partire dalla croce, la teologia dei Padri ha visto rappresentata simbolicamente nel gesto della preghiera cristiana l’unità di preghiera e fraternità, l’inseparabilità del servizio agli uomini e della glorificazione di Dio.

Essere cristiani significa essenzialmente il passaggio dall’essere per se stessi all’essere gli uni per gli altri. In tal modo si chiarisce anche ciò che in verità s’intende con il concetto di elezione (“predestinazione”), che spesso ci risulta così estraneo. Essa non indica una preferenza che lascia che il singolo viva per se stesso, separandolo dagli altri, bensì l’inserirsi in quella missione comune di cui si parlava poc’anzi. Di conseguenza la decisione cristiana fondamentale, l’accettazione dell’essere cristiani, significa il distacco dall’essere centrati sull’“io” e l’aggancio all’esistenza di Gesù Cristo, che è rivolta al tutto. La stessa cosa intende la parola della sequela della croce, che non indica affatto una devozione privata, ma esprime l’idea fondamentale che l’uomo, lasciandosi alle spalle l’isolamento e la tranquillità del proprio “io”, esca da se stesso, per seguire, in questo coinvolgersi con gli altri, il Crocifisso ed esistere per gli altri. Le grandi immagini della storia salvifica, che rappresentano al contempo le grandi figure fondamentali del culto cristiano, sono senz’altro forme espressive di questo principio del “per”. Pensiamo, per esempio, all’immagine dell’esodo (“uscita”), che da Abramo in poi e ben oltre il classico esodo dall’Egitto, narratoci dalla storia sacra, rimane il pensiero fondamentale all’insegna del quale si svolge l’esistenza del popolo di Dio e di chi appartiene a esso: ognuno è chiamato al continuo esodo del superamento di sé. La medesima idea riecheggia nell’immagine della Pasqua, nella quale la fede cristiana ha formulato il collegamento tra il mistero della croce e della risurrezione di Gesù e l’idea dell’esodo dell’antica Alleanza.

L’evangelista Giovanni ha reso di nuovo il tutto con un’immagine mutuata dalla natura. Con essa l’orizzonte si dilata, oltre le dimensioni antropologica e storico-salvifica, alla dimensione cosmica: ciò che qui viene chiamato una struttura portante della vita cristiana rappresenta in fondo già il segno distintivo della creazione stessa. «In verità vi dico: se il granello di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24). Già a livello cosmico vige la legge che solo attraverso la morte, attraverso la perdita di se stessi, scaturisce la vita. Ciò che così si annuncia nella creazione, si attua in pieno nell’uomo e, in definitiva, in quell’uomo esemplare che è Gesù Cristo: nell’accettare la sorte del granello di frumento, nel passare attraverso l’essere sacrificato, nel lasciarsi squarciare e nel perdersi, egli inaugura la vera vita. Guardando alle esperienze della storia delle religioni, che su questo punto collimano strettamente con la testimonianza della Bibbia, si potrebbe anche affermare: il mondo vive di sacrificio. Quei grandi miti che esprimono la conoscenza secondo la quale il cosmo sarebbe stato costruito sulla base di un sacrificio primordiale e continuerebbe a vivere soltanto grazie all’auto-sacrificio, sarebbe stabilito sul sacrificio, ricevono qui la loro verità e validità. Attraverso queste immagini mitiche appare chiaro il principio cristiano dell’esodo: «Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna» (Gv 12,25; cf. il testo parallelo di Mc 8,35).

Concludendo, bisogna anche dire che tutti gli sforzi di superamento di sé, intrapresi dall’uomo, non possono mai bastare. Chi vuol solo dare e non è pronto a ricevere, chi vuol essere solo per gli altri, senza riconoscere che anch’egli, a sua volta, vive del dono gratuito e inesigibile del “per” degli altri, misconosce il tratto fondamentale dell’essere uomini, finendo così per distruggere anche il vero senso dell’essere per gli altri. Per risultare fruttuosi, tutti i superamenti di sé hanno bisogno del ricevere da parte degli altri e, in definitiva, da parte dell’Altro che è il veramente Altro dell’intera umanità e contemporaneamente totalmente a essa unita: l’uomo-Dio Gesù Cristo.


[…]



Sintesi: l’“essenza del cristianesimo”. Riassumendo il tutto, potremo dire che i sei princìpi, che abbiamo cercato di delineare, possono essere ritenuti quasi le formule strutturali dell’esistenza cristiana e, al contempo, le formule per indicare l’essenza dell’essere-cristiano, l’“essenza del cristianesimo”. In essi si dovrebbe poter cogliere anche ciò che, impiegando un concetto largamente ambiguo, chiamiamo pretesa cristiana di assolutezza. Che cosa realmente con ciò si intenda emerge senz’altro chiaramente soprattutto nel principio del “singolo”, nel principio del “per”, nel principio di “definitività” e nel principio di “positività”. In queste affermazioni fondamentali diventa evidente la peculiare modalità della rivendicazione che la fede cristiana avanza e deve avanzare nei confronti della storia delle religioni, se vuol restare fedele a se stessa.

Rimane però aperta ancora una questione. Se si tengono presenti i sei princìpi, così come li abbiamo intesi, con ogni probabilità potrà facilmente succederci quel che è capitato ai fisici che, nel cercare l’essenza originaria dell’essere, credettero dapprima di averla trovata nei cosiddetti elementi. Ma quanto più si progrediva nella ricerca, tanto più aumentava il numero degli elementi che venivano conosciuti; oggi ammontano ormai a più di cento. Essi non potevano quindi essere la realtà ultima, che si ritenne ora di aver individuato negli atomi. Anche questi, però, si dimostrarono composti di particelle elementari, delle quali adesso conosciamo di nuovo una quantità tale da non poter più fermarci a esse, ma da dover prender di nuovo la rincorsa per arrivare forse, una buona volta, alla sostanza originaria.

Nei sei princìpi enunciati abbiamo individuato, per così dire, le particelle elementari dell’essere-cristiano. Ma dietro, non deve forse esserci un unico, semplice nucleo centrale dell’essere-cristiano? Esiste, e io penso che ora, dopo quanto abbiamo detto, senza alcun pericolo di cadere in una fraseologia meramente sentimentale, possiamo affermare che i sei princìpi si sintetizzano, in ultima analisi, nell’unico principio: l’amore. Diciamolo in modo semplice, magari suscettibile di fraintendimenti: il vero cristiano non è colui che appartiene allo stesso nostro gruppo confessionale, bensì colui che, attraverso il suo essere cristiano, è divenuto veramente umano. Non è colui che osserva un sistema di norme in modo servile e badando solo a se stesso, bensì colui che è diventato libero per la bontà semplice e umana. Il principio “amore”, se vuole essere autentico, include ovviamente la fede. Solo così esso rimane quello che è. Sì, perché senza la fede, che abbiamo imparato a comprendere come espressione di un dover-ricevere da parte dell’uomo, come espressione dell’insufficienza di ogni prestazione personale, l’amore diventa un agire di propria iniziativa. Si autocompensa e diventa auto-soddisfazione: fede ed amore si condizionano e si esigono a vicenda. Va poi ancora detto che nel principio “amore” è insieme presente il principio “speranza”, che cerca il tutto, superando il singolo momento e il suo isolamento. Così la nostra riflessione ci porta, alla fine, spontaneamente a quelle parole con le quali Paolo indicava i pilastri portanti dell’essere-cristiano: «Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità» (1 Cor 13,13).

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Nota

1.  Così si legge nel Canone Romano della messa, che segue il rito d’istituzione dell’eucaristia riportato
     in Mc 14,24.

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Joseph Ratzinger, Einführung in das Christentum, 1968.
Nuova traduzione italiana di Gianni Francesconi, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia 2005 13, 242-245, 259-261.

Da:

Rosino Gibellini (ed.),
ANTOLOGIA DEL NOVECENTO TEOLOGICO    

(BTC 155), Queriniana 2011

 

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