Di Anselm Grün, autore di best-seller di teologia spirituale, si stanno interessando anche le università a livello accademico e scientifico. In particolare, a fine aprile 2013 all’università di Friburgo (Svizzera) si è tenuto il simposio “Teologia e linguaggio in Anselm Grün”, che è stato organizzato dalla Cattedra di teologia pastorale, pedagogia religiosa e omiletica, e dalla Pastorale universitaria di Berna con la finalità di promuovere un confronto teologico-scientifico e, in presenza di e in dialogo con Anselm Grün, fare chiarezza sulla sua teologia e sul suo linguaggio in modo critico-valorizzante, nonché per interrogarsi in relazione a impulsi didattici per il cristianesimo e la teologia del XXI secolo. Proponiamo un articolo della rivista “Herder Korrespondenz” (8/2013), che utilizza la discussione accademica del Simposio citato.
“Per me rappresenta una continua ricerca il fatto di trovare ogni volta di nuovo la chiave per affrontare le domande che tormentano le persone, per formulare una risposta che tocchi il cuore di chi pone interrogativi. Nel far questo io cerco di mettere le persone in contatto con il proprio sapere, che già esiste al fondo della loro anima. Lì, nel profondo dell’anima, sono già disponibili le risposte alle nostre domande autentiche. Abbiamo soltanto bisogno di una spinta dall’esterno per formulare anche in parole ciò che la nostra anima conosce già da tempo” (Stationen meines Lebens, Freiburg 2009, 9). Con queste parole Padre Anselm Grün OSB, accompagnatore spirituale, guida pastorale e cellerario (direttore amministrativo) del monastero benedettino di Münsterschwarzach, non solo inizia le sue annotazioni autobiografiche, ma fornisce anche una spiegazione di ciò che contraddistingue la sua attività di scrittore, padre spirituale, terapeuta, nonché la sua attività di insegnante e di guida, e del perché essa ha così tanto successo.
Come autore di bestseller con milioni di tirature – ha venduto circa 19 milioni di copie con traduzioni in oltre 30 lingue – egli è annoverato tra gli autori cristiani contemporanei più conosciuti in tutto il mondo. Anselm Grün parla apertamente a molte persone dal profondo dell’anima e intende trasmettere il messaggio cristiano in una lingua che tocchi e smuova, e abbia un significato anche per coloro che sono esistenzialmente e spiritualmente in ricerca, per i quali la fede cristiana non gioca alcun ruolo.
Anselm Grün, però, è pure uno scrittore teologico e spirituale non esente da contestazioni. Egli è assolutamente consapevole di andare incontro anche a del risentimento; soprattutto da parte di coloro per i quali la legittimazione esistenziale della soggettività del singolo, le sue esperienze individuali e la sua verità interiore sono sospette, perché non è possibile riportarle semplicemente e esattamente a verità e strutture concettuali oggettive e normative universalmente valide; e anche da parte di coloro per i quali un discorso ottimistico su Dio e uomo rappresenta uno scandalo.
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Anselm Grün non punta all’erudizione accademica
Talvolta occorre accettare che il “missionario dall’influsso benevolo” (Elisabeth von Lochner) pratichi una “teologia di circostanza”. Tuttavia, ciò che si intende come nota critica può forse, come categoria descrittiva, delineare per approssimazione ciò che riguarda Grün: si tratta dell’interazione e della relazione reciproca tra l’incontro esistenziale-globale con se stessi e l’incontro con Dio, della reciprocità di relazione con se stessi e relazione con Dio, della realtà propria e personale, del rapporto con se stessi, nonché del Sé spirituale, dell’anima, come lo “spazio interiore libero dal peccato”, dove Dio quale mistero è presente già da sempre, è reale e si lascia trovare, e del suo vitale significato concreto e sanante. Questa reciprocità non è tuttavia esclusivamente autoreferenziale, chiusa o fissata, ma secondo Grün rende possibile in primo luogo vivere una vita interiormente approvata, libera, responsabile con il prossimo e all’insegna della coscienza ecologica.
Grün non ha di mira l’erudizione accademica. Senza pretese, in un atteggiamento di autorelativizzazione chiara e modesta, ma di ciò assolutamente cosciente, egli ha sempre presente – in una ricezione onesta e curiosa della scienza teologica e psicologica - problemi concreti delle persone con le quali egli ha a che fare, problemi che egli affronta per dare risposte soddisfacenti e che in parte tormentano lui stesso: “Quando io scrivo un libro, cerco sempre di rispondere a miei propri interrogativi e problemi. E allo stesso tempo ho presente persone con le quali ho parlato e alle quali nel colloquio non ho dato la risposta che le ha realmente aiutate. Così, scrivendo, combatto per trovare parole che fortifichino queste persone in ricerca della loro strada e che aprano loro gli occhi per ciò che le aiuta realmente” (Der Himmel beginnt in dir, Freiburg 1994, 7s. [trad it., Il cielo comincia in te, Queriniana, Brescia 2010 7]).
La scintilla iniziale del suo lavoro di scrittore è stato il confronto con una propria crisi di identità esistenziale e religiosa. “Io ho imparato a scrivere a partire da ferite personali, altrimenti sarei rimasto un alunno modello adattato” (FREDDY DERWAHL, Anselm Grün, Münsterschwarzach 2009, 96).
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Approccio alla psicologia del profondo junghiana, ma anche alla psicologia transpersonale
Chi dunque vuole comprendere la grammatica teologica di Anselm Grün, nella struttura di superficie dei suoi scritti si imbatterà soprattutto negli scritti del Nuovo Testamento, nei testi dei primi monaci, che Grün apprezza come “psicologi del loro tempo” (Der Himmel beginnt in dir, 15 [Il cielo comincia in te, cit., 11]) e nei mistici cristiani. Si può invece cogliere la struttura profonda come un adattamento del metodo della correlazione di Tillich e della teologia trascendentale di Rahner, che guidano Grün nel suo pensare teologico e spirituale, e a partire dai quali si possono comprendere la individuazione e lo sviluppo dei suoi temi. Di conseguenza, l’approccio di Grün può essere caratterizzato come teologia dell’esperienza spirituale, che si può sintetizzare nella formula: ritrovare se stessi e fare esperienza di Dio. Quale centrale orizzonte di comprensione per dischiudere in senso esistenziale-spirituale testi dalla tradizione biblico-cristiana, soprattutto i vangeli e le tradizioni del primo monachesimo, e il loro sfondo d’esperienza, Anselm Grün si riferisce agli approcci della psicologia del profondo junghiana, ma anche alla psicologia transpersonale e – a seconda del tema – ad altre teorie e concetti psicologici. Valorizzando e allo stesso tempo differenziandosi da Eugen Drewermann, egli vorrebbe che le sue interpretazioni della Scrittura alla luce della psicologia del profondo (cfr. Tiefenpsychologische Schriftauslegung, Münsterschwarzach 1992; Jesus – Wege zum Leben, Freiburg 2005) non fossero affatto intese in modo esclusivo, e così anche le sue interpretazioni degli scritti e detti dei monaci si possono comprendere come una riformulazione, ispirata alla psicologia, delle fonti religiose della fede cristiana.
Scopo di queste spiegazioni e interpretazioni è di dar voce al messaggio cristiano dell’accoglienza piena d’amore di ogni persona da parte di Dio e di sillabarlo e svilupparlo quotidianamente ed esistenzialmente, così che la sostanza dell’evento cristiano e il suo essere a favore dell’uomo possano trovare ascolto e essere integrati nel vissuto individuale.
Conoscenza onesta di sé e reale esperienza di Dio
Non desta dunque meraviglia se nella lettura degli scritti di Grün si impone talvolta l’impressione di trovarvi qualcosa in qualche modo di già noto. Infatti essi ruotano, con variazioni, attorno ai temi fondamentali dell’esperienza di Dio e della relazione con Dio, del ritrovamento di sé e del rapporto con se stessi, di fronte alle passioni e emozioni vitali, ricche di tensioni polari, ma anche di fronte a profonde ferite e a esperienze infirmanti, nonché nel trascendere tutto ciò nel Sé spirituale quale luogo in cui l’uomo si sperimenta libero, sano e radicato in Dio.
In particolare nella sua rilettura esistenziale-psicologica dei padri del deserto Anselm Grün descrive il cammino di una “spiritualità dal basso” (Der Himmel beginnt in dir, 7 [Il cielo comincia in te, cit., 19ss.]). Una tale spiritualità è caratterizzata dal fatto che “ascolta la voce di Dio nel proprio cuore, affinché tutti gli ambiti della nostra vita e della nostra anima siano trasformati dallo Spirito di Dio”. Un tale cammino spirituale, che ha come fine la vita sana, si basa sullo sforzo per raggiungere una conoscenza onesta di se stessi, che conduca ad una vera esperienza di Dio.
Ciò che Grün ha scoperto riguardo ai padri del deserto ispira e impregna anche la sua comprensione di essi. “Il cammino spirituale dei primi monaci non è (…) un percorso morale, bensì una via mistica, mistagogica, una via che ci introduce in Dio”. Infatti nelle esperienze di autenticità, nel sentimento di essere in armonia con se stessi, si può – così scrive Grün – “confidare di essere in contatto con l’immagine che Dio si è fatto di ognuno” (cfr. Stationen meines Lebens, 126.133).
La fede cristiana viene di conseguenza compresa assolutamente come etica, nel senso che ha come scopo la vita riuscita e felice delle persone nell’orizzonte della presenza di Dio che ama e risana. Una autentica spiritualità cristiana rompe però con qualsiasi moralismo. Tutto ciò che estranea la persona da se stessa, tutto ciò che rifiuta radicalmente e cerca di allontanare emozioni, passioni e pensieri indesiderati, dunque tutto ciò che, detto in termini psicologici, rende difficile o impedisce la integrazione dei lati ombra personali, non può appartenere alla spiritualità cristiana. Infatti una vera religiosità si manifesta essenzialmente nel fatto che essa rende sani e salvi.
Di conseguenza sono popolari le interpretazioni di Grün dell’antica dottrina sui demoni e sui vizi, dottrina dei primi monaci, che troviamo soprattutto in Evagrio Pontico. Egli vorrebbe tradurre questi fenomeni, in ultima analisi inafferrabili, in un linguaggio di volta in volta più adeguato alla realtà e interpretarli come ciò che rende noi esseri umani malati e chiusi su noi stessi, ciò che ci allontana dal vero Sé e ci impedisce di trovare guarigione nella nostra vita e di essere capaci “di essere totalmente presenti per aprirci totalmente a Dio che è presente” (Der Umgang mit dem Bösen, Münsterschwarzach 1979, 75) – ad esempio attraverso un rapporto consapevole con le proprie passioni e i propri lati ombra o attraverso il metodo delle autosuggestioni e convincimenti in grado di correggere comportamenti errati e pensieri negativi (Einreden, Münsterschwarzach 1983).
Inoltre Grün, ricollegandosi alla psicosintesi di Roberto Assagioli, presenta con la “disidentificazione” un percorso relativo a come ci si possa rapportare con i propri pensieri, sentimenti, aspettative e compiti, così che essi non sequestrino uno totalmente, non lo blocchino o lo paralizzino, ma che egli possa continuare a sentirsi libero e in grado di modificarsi, accettandoli senza identificarsi con essi: “Io provo rabbia, ma non sono la mia rabbia” (Der Himmel beginnt in dir, 116 [Il cielo comincia in te, cit., 117ss.]).
Possiamo perciò comprendere l’intenzione di Grün anche come terapeutica – non nel senso di una prassi umana di guarigione puramente immanente, ma come una teologia spirituale terapeutica, che penetra fin dentro la sua interpretazione della Scrittura (cfr. Jesus als Therapeut, Münsterschwarzach 2011). L’obiettivo è di condurre la persona dalla sua interiore e esteriore lacerazione, dalla sua contraddittorietà e alienazione, dalle sue angosce, depressioni e ferite all’unità con se stessa, all’assunzione di responsabilità, nonché alla capacità di vivere con gli altri e alla capacità di relazione. Grün vorrebbe aiutare a “trasformare in perle” le ferite della propria vita, ferite dell’anima e del corpo, ferite psicosomatiche: “Se davanti a Dio mi sono sentito riconciliato con la mia ferita e in via di trasformazione, allora sento che essa mi mantiene vivo, che essa può diventare sorgente di benedizione per me e per altri, e può portare frutto per molti” (Wunden zu Perlen verwandeln, Münsterschwarzach 2004, 8).
Fine ultimo è la persona come unità creativa e viva, con intelligenza e competenza emotiva (cfr. Kleine Schule der Emotionen, Freiburg 2013, 8), che è in grado di integrare in se stessa le tensioni polari tra “intelletto e sentimento, amore e odio, disciplina e mancanza di disciplina, angoscia e fiducia, uomo e donna (Animus e Anima), spirito e pulsione” (Zerrissenheit, Münsterschwarzach 1998, 67) e perciò comprendersi come totalità. Richiamandosi ad Ireneo, Anselm Grün vede realizzata la gloria di Dio proprio nell’uomo vivente (cfr. Adversus haereses IV, 20, 7).
Per poter lasciarsi trasformare così è indispensabile l’atteggiamento fondamentale dell’umiltà: “Il paradosso della nostra vita spirituale consiste nel fatto che noi saliamo a Dio mentre discendiamo nella nostra stessa realtà […] Con la discesa nella nostra terrenità (humus – humilitas) noi entriamo in contatto col cielo, con Dio. Mentre troviamo il coraggio di immergerci nelle nostre passioni, queste ci conducono a Dio” (Der Himmel beginnt in dir, 24 [Il cielo comincia in te, cit., 25-26]).
In definitiva non è sulla base delle proprie personali esperienze e della sua attività di accompagnatore spirituale e di guida religiosa che Anselm Grün conosce che un tale cammino è molto difficile, e soprattutto che deve accompagnarsi col processo della “riconciliazione con se stessi” (Vergib dir selbst, Münsterschwarzach 1999, 41). E perciò egli si è sforzato di cercare nella Bibbia e nella tradizione spirituale, attraverso riletture psicologico-illuminanti, immagini di speranza che parlano della trasformazione (cfr. Verwandle deine Angst, Freiburg 2006 [trad. it., Trasforma la tua angoscia, Queriniana, Brescia 2013 3]), e “come noi possiamo trattare più dolcemente e con maggior misericordia noi stessi” (Gut mit sich selbst umgehen, Kevelaer 2011, 10). A questo riguardo egli presenta Gesù quale modello di come rapportarsi con se stessi senza violenza, senza durezza e senza rigidità; egli “ci ha chiamato alla pace con noi stessi, al rapporto misericordioso con noi stessi”.
Come le persone, nel rapporto consapevole con se stesse, possono giungere alla pace del cuore
Rifacendosi alla terminologia di Jung, si tratta di intraprendere un processo di individuazione, dunque “di arrivare dall’Io al Sé, al proprio centro, nel quale io allora divento la mia vera essenza” (Stationen meines Lebens, 130). Questa vera essenza Grün la interpreta come l’immagine, unica nel suo genere, che Dio si è fatto di ogni singola persona. Per scorgere questa immagine occorre prima liberarsi da tutte le immagini di sé e dalle immagini che provengono dall’esterno: “le immagini delle aspettative dei genitori, delle aspettative della società, le immagini della mia propria ambizione, e così via. Solo allora mi posso chiedere che aspetto abbia questa immagine originaria e unica che Dio si è fatto di me” (Stationen meines Lebens, 133).
Ciò che vale per l’immagine di sé riguarda però anche l’immagine di Dio. Anche Dio va liberato da tutte le immagini che lo identificano e strumentalizzano, e va ogni volta concepito in modo nuovo come il mistero personale-impersonale: “Dio (…) personale e impersonale. Dobbiamo sopportare questa tensione” (Stationen meines Lebens, 131).
Nella prassi della preghiera (Gebet al Begegnung, Münsterschwarzach 1990), nei rituali quotidiani e religiosi (50 Rituale für das Leben, Freiburg 2008 [trad. it., 50 rituali per la vita, Queriniana, Brescia 2010]), nella pratica di atteggiamenti fondamentali che Anselm Grün mette metaforicamente in collegamento con degli angeli (50 Engel für das Jahr [1997], Freiburg 201339 [trad. it., 50 angeli per accompagnarti durante l’anno, Queriniana, Brescia 2011 8]), egli presenta, a partire dalla tradizione cristiana, vie creative e convergenti con la psicologia di come le persone possano avere un rapporto consapevole con se stesse, anche nel senso di un’arte di vivere (Das Buch der Lebenskunst, Freiburg 2002 [trad it., Il libro dell’arte della vita, Queriniana, Brescia 2008 4]), di come possano giungere alla pace del cuore, alla pace interiore e all’abbandono (Herzensruhe, Freiburg 1998 [trad. it., La pace del cuore, Queriniana, Brescia 2011 6]).
Una tale ascesi è allora la via per esercitarsi in un rapporto buono e sano con se stessi – né automortificazione, né ostilità verso il corpo o la vita. Essa presuppone coinvolgimento, decisione e impegno, avendo sempre presente il fine della salvezza e della redenzione: “Noi dobbiamo e possiamo lavorare su di noi, noi possiamo trovare il nostro vero io – e noi troveremo Dio, il quale nella preghiera e nella contemplazione guarisce le nostre ferite più profonde e acquieta il desiderio ardente del nostro cuore” (Der Himmel beginnt in dir, 138 [Il cielo comincia in te, cit., 194-195).
La teologia spirituale di Anselm Grün è dirompente e provocatoria, tuttavia alla verità interiore, all’esperienza della totalità, della vitalità, dell’abbandono e della pace interiore viene assegnata una importanza che diventa criterio di riferimento per la vera spiritualità cristiana, che rifiuta un parlare su altri che mette sotto tutela, che giudica e condanna dall’esterno e fa prendere con serietà l’idea che Dio è nell’anima di ogni persona già da sempre realtà.
© 2013 Herder Korrespondenz 8/2013, Freiburg im Breisgau
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Traduzione dal tedesco di Gianni Francesconi
Forum teologico diretto da Rosino Gibellini
Editrice Queriniana, Brescia (UE)
Elenco completo delle opere di Anselm Grün pubblicate da Queriniana
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