Il tema del rapporto tra religione e scienza è delicato e complesso. Spesso, soprattutto quando questa tema è discusso a livello pubblico, esso viene raffigurato come un rapporto conflittuale in cui due grandezze eterogenee si fronteggiano a partire da atteggiamenti totalmente differenti e animati da finalità opposte. Non sono infrequenti le rappresentazioni caricaturali della prima nei termini di un atteggiamento assurdamente conservatore e perfino retrogrado e della seconda nei termini di un atteggiamento aperto sotto qualsiasi condizione al progresso della conoscenza e libero da ogni pregiudizio. Soprattutto la raffigurazione mass-mediatica di questo rapporto sembra alimentarsi di una tale dicotomia che in molti casi non serve altro che a finalità di schieramento politico-ideologico. Anche quando questa rappresentazione cede il posto ad una valutazione più circostanziata, il tema del rapporto tra religione e scienza appare ancora oggi fortemente gravato dal rilievo conferito ad alcuni eclatanti episodi di conflittualità della storia moderna (fra tutti quello di Galileo Galilei, ma anche il confronto polemico tra creazionismo e teoria dell’evoluzione darwiniana), da una diffusa diffidenza e ignoranza reciproche e da un uso in molti casi strumentale della scienza volto a sostenere posizioni che sono squisitamente ideologiche.
A ciò si aggiunge che questo tema presenta una notevole complessità, dovuta al fatto che non è facile sviluppare competenze in entrambi gli ambiti e soprattutto saper utilizzare queste competenze per collegare religione e scienza in modo significativo, tale cioè da non produrre soltanto l’impressione di un accostamento estrinseco o di un’affrettata conciliazione che elude i problemi più scottanti. La specializzazione del sapere che caratterizza l’epoca moderna, che in sé è un fatto positivo, rende complicato un reale dialogo interdisciplinare, perché il metodo e le pratiche delle singole discipline sono molto diversi e invitano a coltivare il proprio settore di ricerca anziché avventurarsi nell’attraversamento dei confini da una disciplina all’altra, per non parlare dell’elaborazione di una visione di sintesi.
Il tema del rapporto tra religione e scienza è però anche, a dispetto di queste difficoltà, affascinante e attuale. Religione e scienza, infatti, costituiscono due modi per conoscere la realtà e per scoprire un senso in essa e quindi per soddisfare un’inclinazione e un bisogno fondamentali dell’uomo. In quanto tali, esse possono entrare in conflitto, ma non necessariamente debbono farlo. Anzi, come la vicenda di molti scienziati credenti ha dimostrato in passato e tutt’oggi dimostra, esse sembrano stare in un rapporto di complementarietà nel quale la conoscenza della realtà che la scienza è in grado di offrirci, portata ad un certo livello, suscita per proprio conto interrogativi ulteriori (le cosiddette “questioni ultime”) che sono anche di competenza della religione o comunque ai quali la religione può offrire un risposta plausibile. Fra questi interrogativi vi sono quelli sul perché esista il mondo, sul senso della vita, sul destino finale dell’uomo, sull’esistenza o meno di Dio. Qualcuno potrà sostenere che a interrogativi del genere la cultura postmoderna è divenuta sorda, ma questo non è vero, come dimostra proprio la rinnovata attenzione verso il tema del rapporto tra religione e scienza che è attestata dal fiorire dei relativi insegnamenti accademici in prestigiose università di tutto il mondo (soprattutto anglo-americane), dall’attività di ricerca in questo settore di istituti, fondazioni, associazioni e da un numero crescente di pubblicazioni dedicate all’argomento.
Questo fenomeno si spiega, per un verso, con il fatto che una comprensione della scienza che considera quest’ultima come l’unico strumento completo e valido di conoscenza della realtà appare oggi, per motivi filosofici, etici e scientifici, assai meno plausibile di un tempo (per quanto ancora sostenuta in certi settori), e per l’altro dal fatto che in ambito religioso è cresciuta la consapevolezza che nel contesto della cultura contemporanea, dove la scienza gioca un ruolo importante, non è possibile ignorare i problemi, ma anche le opportunità, che la visione scientifica del mondo pone a quella religiosa. E questo non soltanto in funzione di una giustificazione razionale delle asserzioni religiose o di una migliore comunicazione del messaggio religioso, ma anche per una più adeguata comprensione della natura di quest’ultimo.
Per questi motivi ci è sembrato utile proporre al pubblico italiano il testo di Brendan Sweetman che qui presentiamo. Questo testo possiede, infatti, almeno tre caratteristiche che lo rendono, a nostro giudizio, un ottimo contributo sul tema e che lo differenziano da altri già esistenti che pure presentano una loro utilità. In primo luogo, perché si tratta di un testo informato ed esauriente che, dopo una sintetica ricognizione storica di questo rapporto, affronta in modo chiaro e privo di tecnicismi, ma non per questo banale, i temi principali che lo sostanziano, quali la questione delle caratteristiche della conoscenza scientifica e dei suoi limiti, la sfida al teismo posta dalla teoria dell’evoluzione, la presenza o meno nell’universo di un progetto, se Dio possa essere considerato la causa ultima dell’universo, in che modo la scienza modifichi la tradizionale comprensione della natura umana, quali sfide etiche sorgono dal progresso scientifico-tecnologico e se la scienza possa rispondere ad esse. In secondo luogo, perché il testo affronta il tema del rapporto tra religione e scienza da una prospettiva che non è, come abitualmente accade, quella del teologo o dello scienziato, ma quella del filosofo della religione, cioè di colui che non si pone il problema di difendere l’una o l’altra prospettiva oppure di tentare una conciliazione fra esse, ma di esaminare le principali problematiche inerenti al rapporto tra religione e scienza, mostrandone l’universale rilevanza teorica e pratica. In terzo luogo, perché il testo, pur ritenendo il modello del conflitto tra religione e scienza come superato a favore di un modello del dialogo o dell’integrazione, è attento nel considerare i motivi che spingono tutt’oggi alcuni a sostenere sulla base della scienza una visione naturalistica del mondo, cioè una visione che esclude, non soltanto dal punto di vista metodologico ma di principio, cause soprannaturali come possibile spiegazione di ciò che accade nel mondo. Anzi, il confronto con il naturalismo che porta a sostegno delle proprie tesi argomenti scientifici è in certa misura il filo rosso che collega la trattazione dei diversi temi affrontati dal libro di Sweetman, un confronto dove vengono bene messi in luce i motivi reali, anche se talora non esplicitati, che generano l’impressione di un conflitto permanente tra religione e scienza.
L’auspicio è che questo testo, che si rivolge principalmente a lettori non specialisti, a studenti universitari e a tutti coloro che hanno un interesse verso questo tema, consenta anche al lettore italiano di acquisire una prospettiva aggiornata, criticamente avvertita e scevra da posizioni polemiche su alcune delle grandi questioni che sono dibattute oggi al confine tra religione e scienza.
_______________________
BRENDAN SWEETMAN, teologo irlandese, specialista del rapporto tra il metodo scientifico e la fede religiosa, è docente di Filosofia della religione all’università americana di Kansas City (Missouri, USA)
© 2014 by Teologi@Internet
Forum teologico diretto da Rosino Gibellini
Editrice Queriniana, Brescia (UE)
Brendan Sweetman
RELIGIONE E SCIENZA
Un'introduzione
Editrice Queriniana, Brescia 2014
Introduzioni e trattati 41
pagine 280
"