01/05/2023
534. PER UNA GOVERNANCE 2.0 di Patrick Corneau
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È un luogo comune tipico dell’epoca moderna: la crisi dell'autorità, l'esercizio quasi impossibile della governance in tutti gli ambiti della nostra vita – in famiglia, a scuola, sul lavoro, nella vita comunitaria, sulla scena pubblica e nella sfera politica. Più che nuova, questa crisi è cronica; si tratta ormai, addirittura, della nuova condizione in cui ci troviamo concretamente a vivere.

Con l’accelerazione dei fenomeni legati alla circolazione immediata delle informazioni e alla loro interazione su scala globale, tuttavia, sembra che questa crisi stia assumendo un carattere acuto, con conseguenze impreviste, sempre più destabilizzanti e deleterie. La pandemia ne è stata un terribile segnale. Un sacco di voci si sono levate per chiedere cambiamenti urgenti, centri di ricerca si sono occupati della questione, opinionisti e intellettuali ne hanno parlato sui media, a volte alzando troppo la voce e così creando ulteriore confusione – se non addirittura stupore e sgomento – nella testa delle persone…

In questo concerto dissonante, le voci autenticamente innovative hanno difficoltà a farsi sentire, una difficoltà tanto maggiore in quanto propongono l’inaspettato, l’inaudito.



Una luce puntata sull’esercizio della governance

Il libriccino di 96 pagine che ho appena terminato di leggere ne è un esempio: porta una novità così antica che nessuno è più in grado di vederla. Il re deluso di Marie-Laure Durand è un libro luminoso. Luminoso intrinsecamente, per la sua scrittura di esemplare chiarezza; luminoso, a maggior ragione, per la luce rivelatrice, splendente, altamente rinfrescante che getta sul complicato esercizio della governance. Contrariamente a tutti i discorsi convenzionali che faticano ad andare oltre la semplice constatazione e che cadono nel ritornello dell’«È giusto così», o in un’impotenza deprimente, Marie-Laure Durand crede possibile che un nuovo sistema d’organizzazione che ripensi il nostro rapporto con la gerarchia e quindi con la governance. Ne traccia i contorni affidandosi alla più antica delle saggezze: il vangelo!

È un approccio audace e, diciamolo pure, singolarmente rivoluzionario perché non si tratta dell’ennesimo libro-ricetta su come comportarsi, ma di una riflessione spirituale e antropologica sulla nostra condizione politica (homo politicus).



La parabola del re deluso

Da dove parte il libro? Da una parabola del Vangelo secondo Matteo, quella del re deluso (Mt 22,1-14): «È la storia di un re che organizza le nozze del figlio. In sé si tratta di un evento lieto, un momento di grazia, l’occasione per radunare gente e far festa. Ma le cose non andranno come previsto. Alla fine, è la storia di un fiasco. Ci si ritrova a contare i morti, le delusioni, le minacce e l’amarezza che regna da una parte e dall’altra. Il progetto del re non incontra il favore del pubblico e, invece di far nascere la concordia, genera malintesi e incidenti diplomatici» (27).

Eccola, la “semplicità della Bibbia”, pur nella sua complessità, come per ogni parabola evangelica… Marie-Laure Durand, dottore in teologia, biblista esperta di esegesi, prende questo episodio apparentemente banale per esaminarne gli equivoci, le carenze e gli inganni, e per scoprire come essi svelino una cautela, un monito, forse una certa prudenza su quel che ci si attende da un buon governo e che potrebbero essere trasposte alla nostra situazione. In effetti, l’analisi del fallimento di questo re, che prepara il matrimonio del figlio e che finisce per giustiziare una parte del suo popolo, è occasione per leggere ciò che non funziona nel nostro modo di fare. La Bibbia ci mostra persone che falliscono perché possiamo guardare ai nostri fallimenti senza pressioni o sensi di colpa. Se il re fallisce, anche noi possiamo riconoscere che a volte le cose vanno male e che ciò che dovrebbe essere una gioia o una decisione saggia, a un certo punto (l’archè kakón dei greci, il punto in cui le cose crollano) si è trasformato in una fonte di problemi.



Una meditazione in tre parti

Marie-Laure Durand parte dunque da questo testo sorprendente come base per una meditazione in tre parti: «Prendersi cura» (26-42); «Promuovere» (43-58); «Scegliere» (59-74).

Che cosa significa “prendersi cura” quando si gestisce un regno e si pensa al suo futuro, quando si susseguono rifiuti e incomprensioni? Prendersi cura delle persone non significa forse far capire loro quanto sono preziose e uniche? Non significa forse proiettarsi nella loro temporalità, prenderne atto e rispettarla per recuperare una preziosa fiducia in se stessi e negli altri?

Cosa vuol dire “promuovere”, visto che la storia di un re che sposa il figlio è anche già una storia di promozione, quel momento in cui il re vede crescere il figlio, prevede un’unione affettiva e/o politica per preparare il giorno in cui quest’ultimo gli succederà? Come fare per tramandare le istituzioni senza intoppi, cioè all’interno di un quadro stabilito e accettato da tutti; ma anche come fare in modo che ogni soggetto si senta anche “promosso”, incoraggiato a superarsi o ad elevarsi positivamente nella propria identità unica?

Cosa significa “scegliere”, visto che la storia di un re che sposa il figlio è anche la storia di un monarca che ha problemi di governance: crede di dover decidere tutto e per tutti nel regno; la sua concezione del potere è rigorosamente verticale e piramidale, egli pensa che sia garanzia di stabilità; ma non è forse uno status quo pagato a caro prezzo? Non è forse un modo di esercitare il potere che, lungi dal servire il regno e l’autorità, non fa che indebolirlo man mano che il sistema diventa più complesso o che le crisi si susseguono? 



La costante attualità del testo biblico

Alla fine di questo esercizio di interpretazione biblica altamente dirompente, Marie-Laure Durand scuote quel che diamo per scontato, decostruisce le nostre rappresentazioni e i nostri modi di operare. Ci dimostra, se non ne fossimo già convinti, la costante attualità del testo biblico nelle nostre relazioni sociali. Con la parabola evangelica degli invitati al banchetto come punto di riferimento, ci incoraggia a mettere in discussione le nostre rappresentazioni del potere. Con la sua conoscenza della teologia e della filosofia, unite a una grande sagacia, ci insegna a pensare in modo diverso alla nostra vita collettiva.

Ho parlato prima di un approccio rivoluzionario: sì, perché Cristo è così, e lo è sempre stato. Che agli uomini piaccia o no, la sua parola folgorante e sorridente sa essere altrettanto tagliente; quando la governance incontra Gesù, è ovviamente per distruggere il vecchio tempio.

Concludiamo allora con le ultime righe di questo saggio che, come un meteorite, sa illuminare il cielo spento delle nostre idee:

«Se prendersi cura ha a che vedere con la singolarità delle persone, se governare significa prendersi cura di accordare le tempistiche, scegliere consiste nell’associare al processo di decisione e nel condividere le scelte fatte. Il regno di Dio somiglia a un re che avrebbe capito che regnare da solo non ha senso. Il regno di Dio somiglia a un re che avrebbe avviato un dialogo con il mondo per consentire a ciascuno di approfittare al meglio dell’abbondanza che ci circonda. Un re che prenderebbe sul serio la storia delle persone, la loro singolarità e che darebbe e si darebbe il tempo per costruire una decisione. Un re che non sarebbe in competizione con nessuno dei suoi sudditi, che sarebbe capace di accordare la sua fiducia e di conservarla nonostante tutto. Un re che tratterebbe gli altri da adulti, capace di sopportare un rifiuto e un disaccordo. Assetato di dialogo e di incontri. Il regno di Dio assomiglia a Dio» (73).

 

 

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