30/11/2005
60. Per una alleanza tra Scienza e Sapienza di Rosino Gibellini
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Nei dibattiti attuali nel campo della biomedicina, ma anche sull’evoluzione, sorge l’interrogativo come possano Scienza e Teologia entrare in dialogo tra loro. Il tema è stato affrontato recentemente da Jürgen Moltmann nel libro Scienza e Sapienza. Scienza e Teologia in dialogo , Queriniana, Brescia 2003 (ed. originale 2002).La tesi di Moltmann è che scienza e teologia possono dialogare nel nome della sapienza. Presentiamo la riflessione di Rosino Gibellini sull’opera di Moltmann, apparsa sulla rivista Dialoghi (Rivista trimestrale promossa dall’Azione Cattolica Italiana, Roma 3/2005).


Per dirla subito, e in breve: secondo il positivismo ottocentesco, aumentando la scienza, diminuisce la non-conoscenza; secondo l’epistemologia della post-modernità, aumentando la scienza, aumenta anche la non-conoscenza. Per questo la scienza deve accompagnarsi sempre con la sapienza. E in questo la scienza dovrebbe trovare un sicuro, e affidabile, alleato: la teologia. L’auspicata alleanza tra scienza e teologia nel nome della sapienza è il filo conduttore di questo libro, minore, del teologo evangelico Jürgen Moltmann, ma che viene da un lungo percorso di pensiero e di militanza teologica.

La scienza spiega il mondo; il suo errore sarebbe di ritenersi la conoscenza esaustiva e risolutiva del mondo e dell’uomo; ma, dal canto suo, la teologia sbaglierebbe, se volesse dominare la scienza, come ha fatto nel caso di Galileo e in quello di Darwin; ma sbaglierebbe anche, se, edotta e impaurita dai suoi sbagli, si ritirasse strategicamente sull’esistenza, o su una storia della salvezza, abbandonando il mondo alla scienza. E invece: «Fede e ragione possono ritrovarsi insieme nella casa comune della sapienza, dove contribuire, ciascuna con il proprio apporto, alla costruzione di una cultura amante della vita» (32).

Dallo stupore nasce la conoscenza; la conoscenza e le conoscenze si organizzano in scienza e scienze, ma la scienza rimanda alla sapienza: «La sapienza è un’etica del sapere» (152). Le nostre conoscenze negli ultimi decenni hanno conosciuto un incremento enorme: basterebbe pensare all’energia nucleare, da una parte; e alla biomedicina, dall’altra. Ma, allora, avverte l’avveduto teologo: «per il prossimo futuro dovremo ampliare ancor più la nostra sapienza e rendere sapienziale il nostro rapporto con le conoscenze che abbiamo acquisito. Provocatoriamente potremmo dire che il futuro non è della scienza, ma della sapienza, sempre che l’umanità voglia ancora disporre di futuro» (160).

L’istanza sapienziale si è imposta in campo culturale con l’opera del filosofo ebraico Hans Jonas, Il principio responsabilità (1979), e con le riflessioni del critico della cultura Ivan Illich sul senso del limite e su una convivenza di convivialità. Per la teologia, con radicazione biblica, la sapienza nasce dal timor di Dio, non come paura di fronte al mistero “tremendum”, ma come riconoscimento della trascendenza di Dio e della sua sublimità, da cui deriva il senso dei propri limiti, che ci guarisce dal “complesso di Dio” (Richter), e fuga ogni auto-divinizzazione, ma, insieme, ogni disprezzo di sé.

Il rapporto tra ragione e fede, e, corrispondentemente, tra scienza e teologia viene in queste pagine moltmanniane approfondito sul registro del differenziato rapportarsi di scienza e teologia alla sapienza, come etica del sapere.

Questo rapporto differenziato e rispettoso, che supera il conflitto in vista di una convergenza dei saperi, può essere modulato in diversi ambiti scientifici. Per quanto attiene, per esempio, all’ambito tanto discusso della biomedicina, si può fare riferimento alla trattazione del teologo della morale Dietmar Mieth, nella sua ponderosa opera, Che cosa vogliamo potere? (2002), che dà espressione, con una formulazione che ricorda le grandi domande kantiane, alla domanda che la sapienza etica muove alla biomedicina. Moltmann nel suo saggio (1971) su questa problematica nel nostro libro si muove nello stesso giro di pensiero, ma con più incertezza, senza arrivare alla formulazione tagliente del suo collega cattolico di Tubinga.

I saggi di Moltmann raccolti nel volume ruotano soprattutto attorno alla tematica: teologia e cosmologia, riprendendo le riflessioni svolte in una delle sue opere maggiori, Dio nella creazione. Dottrina ecologica della creazione (1984), dove opera il passaggio da una visione antropocentrica a un teocentrismo cosmologico.

Il rapporto tra teologia e cosmologia può essere concepito deisticamente, con un vago rimando teologico posto alla fine; esistenzialmente, con una contrazione del discorso teologico sull’esistenzialità del singolo; o nel segno di una convergenza tra scienze della natura e teologia. È questa la via che intende praticare Moltmann: dalla diastasi alla convergenza. La scienza ha le sue categorie interpretative della storia del mondo: big bang, evoluzione, progresso; la teologia offre il concetto di creatio ex nihilo e di creazione escatologica, che darà compimento alla storia del mondo. La teologia apprende dalla scienza la storia del divenire del mondo: «La fede escatologica potrà acquisire la sua autocoscienza storica soltanto nel dialogo con le scienze» (27); la teologia non intende “concludere” la storia del sistema-mondo, ma pensa l’ingresso del mondo nella “infinitudine divina”, operando così una sua “eterna vitalizzazione”.

Quando la scienza si interroga sul futuro del mondo, si interroga sempre su un far-future-universe, su un universo-dal-futuro-lontano, che è diverso, ma non conflittuale con il futuro escatologico, un futuro operato da Dio, che fa nuove tutte le cose (Ap. 21,4), e che dà senso alla processualità del mondo.

Ma, l’infinito non coarta il finito? o ancora: il finito non limita l’infinito? Moltmann risponde, riprendendo la categoria ebraica zimzum, di Isaac Luria, di Gershom Scholem e Hans Jonas, e spunti di pensieri del Cusano, secondo cui non l’infinito limita il finito, ma l’infinito, creando, si auto-limita; la kenosi, che conosce il suo punto di maggiore intensità nella croce di Cristo, ha già inizio con la creazione del mondo: «L’amore creatore non implica dunque soltanto l’auto-donazione, ma pure l’auto-limitazione, non solo la simpatia, ma anche il rispetto per la specificità dell’altro» (66). La scienza conosce il tempo fisico, il tempo della temporalità e della transitorietà. La teologia integra il tempo della transitorietà con il tempo concepito come futurità, che apre la storia del tempo al futuro escatologico, che ricupera tutte le attese del passato e dei tra-passati. Non c’è conflittualità, ma allargamento di orizzonti.

Nel delineare il rapporto tra Dio e mondo, la teologia cristiana deve coniugare trascendenza con immanenza, e in questa delineazione si incontrano accentuazioni diverse. Se per von Balthasar e Rahner si può accettare, al di là della differenza tra Dio e mondo, che il mondo è in Dio, Moltmann procede oltre, e afferma anche che Dio è nel mondo, Dio è nella sua creazione. Si tratta di una teoresi intesa, nella salvaguardia della trascendenza di Dio al mondo, di stringere di più il rapporto di Dio e mondo, in una accentuazione della immanenza di Dio al mondo, al fine di sviluppare una teologia ecologica.

In fondo: a che cosa mirano tutte le nostre conoscenze? Ad acquisire uno sguardo sapienziale sulla vita e sul mondo. Si spiega così come Moltmann dedichi il capitolo conclusivo di Esperienze di pensiero teologico (1999), che rappresenta l’ultimo volume dei suoi “Contributi sistematici di teologia” (6 voll., 1980-1999) – dove svolge una teologia dialogica in comunione ecumenica e nella comune speranza del Regno come orizzonte di riflessione – all’elogio della sapienza, che sarà ripreso nella raccolta di saggi Scienza e sapienza (2002), di cui abbiamo esposto la linea teoretica essenziale.

In sintesi: la conflittualità tra scienza e teologia ha generato “il doppio binario” dello spirito moderno, secondo il quale scienza e teologia procedono ciascuna per la propria strada. La sapienza come etica delle conoscenze guida le conoscenze verso una convergenza «alla ricerca, insieme, della verità dell’intero, e della salvezza di un mondo lacerato » (13).



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