03/04/2018
395. PENSARE LA CATTOLICITÀ E LE CHIESE LOCALI IN ASIA Intervista a Felix Wilfred
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Felix Wilfred, professore emerito dell’Università di Madras, India, e presidente della rivista internazionale di teologia «Concilium»




Da quattro anni si continua a parlare di riforma della Chiesa. Come attuarla?

In passato si immaginava la riforma della Chiesa attraverso la riforma del clero e delle istituzioni clericali. Oggi è il mondo esterno a sfidare la Chiesa a riformarsi nelle sue concezioni e pratiche tradizionali. È il caso del suo modello feudale di autorità, basato sulla fedeltà e l’obbedienza, sostenuto da una mentalità gerarchica ed esportato in tutto il mondo col movimento missionario.

[…] Negli ultimi anni l'esposizione di abusi clericali, anche se sconvolgente, ha avuto l'effetto salutare di rendere la Chiesa un'istituzione meno privilegiata e il clero un gruppo meno esente (privilegio clericale) e più responsabile in materia di diritti umani. Se crediamo che l'autorità sia un servizio al popolo di Dio e che Dio agisca attraverso il popolo, da ciò dovrebbe derivare una radicale riforma nella vita e nelle strutture della Chiesa. I mediatori umani, che pretendono l'autorità divina, dovrebbero farsi un po' da parte, per permettere ai raggi dello Spirito di Dio di scendere sul popolo e agire attraverso di esso.


Francesco incoraggia la decentralizzazione e la valorizzazione delle Chiese locali. Come?

La discussione tra il card. Ratzinger (poi Benedetto XVI) e il card. Kasper sulla precedenza tra Chiesa universale e Chiesa locale in Asia suonava come la domanda se è nato prima l'uovo o la gallina. Temo che dietro tali discussioni stia la concezione europea illuminista dell'universale alla Kant, oggi filosoficamente e culturalmente contestata.

In Asia siamo preoccupati dell'autonomia e soggettività della Chiesa locale, che non può essere conferita da qualche altra parte. Ci sentiamo come le Chiese del primo cristianesimo, ciascuna con la propria storia, cultura, tradizione, liturgia, ecc. La reciprocità tra le Chiese locali è la base di un'universalità vissuta, che oggi va promossa.

Quando Francesco, il giorno della sua elezione, si è presentato come "vescovo di Roma", ha dato il là alla libertà e autonomia delle Chiese locali, legate dallo spirito di comunione. Le odierne conferenze episcopali a vari livelli - transnazionali, nazionali, provinciali, locali – potrebbero servire da base per lo sviluppo di nuove Chiese patriarcali in comunione con la Chiesa patriarcale latina di Roma. Ciò significherebbe concretamente l'abolizione di ogni tipo di paternalismo verso le Chiese d'Asia, Africa e Oceania.

Sarebbe auspicabile che il papa chiudesse la Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli,che riflette ancora la cartografia coloniale del mondo. Una buona dose di teoria postcoloniale aiuterebbe i funzionari della curia romana ad acquisire un "nuovo abito mentale". Francesco non ha risparmiato la curia nei suoi messaggi annuali e noi in Asia ci sentiamo uniti a lui in questo programma di riforma che dovrebbe essere radicale, andando oltre le riorganizzazioni strutturali e burocratiche interne. 


Come immagina la Chiesa cattolica in un mondo multiculturale, plurireligioso e postmoderno?

In Asia interagiamo ogni giorno con popoli di diverse tradizioni religiose e di una molteplicità di culture millenarie. Questo è molto diverso dall'essere multireligiosi e multiculturali a causa delle comunità migranti che arrivano in Occidente e si stabiliscono nei paesi tradizionalmente cristiani.

Essere multireligioso in Asia non richiede solo un dialogo interreligioso, ma anche un'auto-trasformazione del cristianesimo nell'incontro con altre esperienze di Dio, espressioni di fede e riti. Questo ha un significato per il cattolicesimo globale che va oltre l'Asia. […]

Inoltre, poiché tutte le religioni oggi assumono la responsabilità del benessere dell'umanità e dell'integrità del creato, specie in questi momenti di profonda crisi, la Chiesa deve collaborare coi credenti di altre fedi per la trasformazione della società. A contare in Asia non è quanto bene e con quanta efficacia la Chiesa possa lavorare per la società; ma quanto possa collaborare con gli altri per la giustizia, l'uguaglianza e la pace. Nonostante la rapida crescita economica di alcuni paesi, l'Asia conta il maggior numero di poveri nel mondo. Milioni vivono qui con meno di un dollaro al giorno. La Chiesa deve indignarsi – come i profeti dell'Antico Testamento - di fronte a ingiustizie e diseguaglianze che fanno andare a letto affamati i bambini, umiliano i poveri e opprimono le donne con mezzi tradizionali e moderni.

Il fatto è che la Chiesa non è abbastanza indignata, perché, ripiegata su se stessa, si dedica alla conservazione delle proprie tradizioni, della purezza delle dottrine, della casistica liturgica, con una struttura di autorità che la rende intrinsecamente introversa. Serve una riforma della Chiesa nello spirito di papa Francesco, che vuole vederla per le strade a sporcarsi nel terreno polveroso della vita quotidiana. Questa è la Chiesa che sogniamo, perché non c'è ancora!


Come far fronte ai problemi dell'Asia?

A colpire qualunque visitatore delle comunità cattoliche asiatiche sono la pietà e la devozione. In questo senso, è certamente una Chiesa molto viva. Ma c'è un grande divario col mondo immerso in problemi di ogni genere.

Una delle più importanti riforme della Chiesa asiatica consiste nell'aiutare le comunità a coltivare una fede adulta che porti frutti di carità, giustizia e sensibilità nel leggere e rispondere ai segni dei tempi. Purtroppo, con lodevoli eccezioni, i vescovi e il clero promuovono una pratica pastorale orientata a mantenere le comunità devozionali, che non osano volgere lo sguardo ai problemi e alle sfide che le circondano. La Chiesa in Asia ha bisogno di de-clericalizzarsi per aprirsi al mondo. È un processo enorme. Non si sa da dove cominciare.

Se lo spirito di papa Francesco e la sua agenda di riforme continueranno anche dopo di lui potremo nutrire grande speranza per il futuro della Chiesa.

 

 

 

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