Víctor Manuel Fernández, da poco nominato da papa Francesco prefetto del Dicastero per la dottrina della fede, nel 2015 partecipò a un seminario di studio presso la sede della rivista dei gesuiti La Civiltà Cattolica. Gli atti di quell’incontro, a cui parteciparono trenta esperti di provenienza internazionale, sono stati pubblicati da Queriniana in uno dei volumi della collana «Biblioteca di teologia contemporanea». L’ultimo degli interventi fu tenuto da mons. Fernández, all’epoca arcivescovo rettore della Pontificia Università Cattolica argentina, ed ebbe come tema: Il vangelo, lo Spirito e la riforma ecclesiale alla luce del pensiero di Francesco. L’autore si proponeva di «integrare gli aspetti ecclesiologici della riforma con alcuni contributi propri della teologia fondamentale e della spiritualità». E, per farlo, evidenziava fra le altre cose l’importanza di «recuperare la struttura ecclesiale fondamentale della chiesa»: le storiche strutture di servizio della Santa Sede, diceva, non devono avere più potere delle diverse forme di ministero collegiale dei successori degli apostoli. Alla luce di questo principio, che potremmo denominare di “corretta priorità istituzionale”, Fernández concludeva il suo contributo con queste meditate annotazioni di stile:
Vorremmo infine accennare alla nostra preoccupazione per la riforma della chiesa. Perché anche la nostra preoccupazione per la riforma ha bisogno di avere uno stile evangelico e uno spirito.
In primo luogo, deve situarsi all’interno della dinamica dell’autotrascendenza e orientarsi realmente al popolo. Riguarda il popolo di Dio, e pertanto anche il nostro atteggiamento dovrebbe essere estatico. Le nostre proposte di riforma non sono basate su un autocompiacimento ribelle, ma su una convinzione generosa, flessibile, in grado di lasciarsi interrogare dalle esigenze concrete del popolo di Dio e anche dalla sua cultura e dal suo modo di vivere la fede.
Implica in secondo luogo umiltà, per sopportare derisioni e persecuzioni, perché per alcuni settori qualsiasi riforma è fastidiosissima, irritante. Non ci riferiamo solo ai settori più tradizionalisti. Le riforme possono anche essere scomode per ecclesiastici moderati che si sono già adattati a un determinato schema in cui si muovono con una certa tranquillità. Però dev’essere un’umiltà aperta alla verità, che richiede di saper accogliere altre preoccupazioni legittime, anche quelle dei settori conservatori.
In questa linea vogliamo riprendere un testo di san Tommaso d’Aquino, tratto dalla Summa theologiae (Ia-IIae, q. 19, a. 10). Ci riporta l’esempio di un giudice che condanna un criminale perché la sua funzione è quella di assicurare il bene comune. La madre del criminale, al contrario, per un’inclinazione naturale materna, cerca di salvarlo. I due si oppongono nella materialità del fatto, e tuttavia si conformano al «motivo formale» del volere di Dio, perché entrambi «vogliono ciò che Dio vuole che essi vogliano». Ciò significa che, anche se vi è conflitto tra loro sulla materialità dei fatti, due persone possono essere fedeli al proprio carisma, finalizzato a un determinato scopo.
Pertanto, non sempre ogni qualvolta vi è un conflitto nella chiesa ciò è male, ma talora si tratta delle tensioni proprie che esistono tra persone oneste e sincere, che rispondono alla volontà di Dio portando il proprio contributo a questo mondo. Lo Spirito cerca e diffonde la comunione, ma ciò non esclude una diversità a volte dolorosa e piena di tensioni, e in ogni caso orientata a raggiungere sintesi superiori.
Yves Congar diceva che è utile che vi siano tensioni nella chiesa a motivo di orientamenti diversi che sono all’origine di impostazioni differenti. Infatti «le manifestazioni della grazia hanno spesso travalicato le forme fossilizzate dell’istituzione, [ma] la vita della chiesa esige ambedue le forme» (Credo nello Spirito Santo, 164s.).
In un suo famoso testo Karl Rahner ricordava che ciò è stato causa di persecuzioni perfino tra santi. Rammentava i casi di persone che hanno favorito rinnovamenti importanti con stili diversi, come Giovanni della Croce, Teresa d’Avila, Sailer, Newman o Maria Ward. E concludeva che queste sofferenze si sono verificate dall’inizio della chiesa fino ai nostri giorni, perché «sono inevitabili. Fanno parte di quell’“è necessario” della passione che Cristo continua a soffrire nelle sue membra, nella chiesa, fino alla fine. Ed egli ha voluto che i suoi membri soffrano gli uni con gli altri» (L’elemento dinamico nella Chiesa).
Non deve allarmarci, allora, che il dinamismo di riforma che Dio ispira sia fonte anche di sofferenze, contraddizioni e momenti amari. Fa parte del nostro impegno con il vangelo e fa parte dell’azione dello Spirito.
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