20/10/2010
176. Pastorale missionaria come sfida della modernita' di mons. Joachim Wanke1, vescovo di Erfurt (Germania)
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Riproduciamo la relazione di mons. Joachim Wanke, vescovo di Erfurt (Germania) e biblista, alla inaugurazione dell’Ufficio per la Pastorale Missionaria della Conferenza Episcopale Tedesca. Relazione di notevole interesse per la evangelizzazione nella società secolare.

A mio parere l’istituzione di questo ufficio, il cui compito vuole essere quello della pastorale missionaria, proprio qui a Erfurt è un segno programmatico. Soprattutto qui nell’est della Germania ci preme in coscienza ciò che sicuramente ovunque in Germania si sperimenta sempre di più: l’annuncio del messaggio cristiano oggi deve affrontare il fenomeno ampiamente diffuso della indifferenza religiosa. È come se qui da noi, cioè nelle regioni orientali della Repubblica federale, molti dei nostri contemporanei abbiano sofferto di una “perdita di linguaggio”. Non sono più nella condizione di esprimere con parole o segni religiosi certe esperienze umane fondamentali. I termini cristiano-ecclesiali sono per costoro come fossero “cinesi”. Perché le cose sono in questo modo rimane ancora una questione sui generis.
Riguardo alle regioni orientali è certamente una causa di questo la perdita o la rimozione, disposta dallo stato, della religione dalla sfera sociale pubblica durante i quattro decenni dall’ultima guerra mondiale. E poiché l’ideologia comunista attribuì alle forze reazionarie la religione e, in particolare, il cristianesimo, la cui morte legale è stata rimandata di certo in modo singolare, si è tentato da parte dello stato di affrettare questo spegnimento. Importante fu, accanto ad alcune vessazioni e repressioni, soprattutto la perdita di comunicazione del sapere religioso nell’ambito della formazione scolastica ed extrascolastica. Molti sono cresciuti all’est della Germania in un’atmosfera assolutamente priva di religione.
Eppure la situazione religiosa ed ecclesiale delle nuove regioni della Repubblica federale non dovrebbe essere considerata una situazione eccezionale. Le sfide per una attività di annuncio cristiano all’Est e all’Ovest ultimamente si assomigliano moltissimo. Oltre a ciò qui all’Est a volte facciamo l’incredibile esperienza che proprio là, dove le persone sono estraniate dal credere in Dio, si schiudono nuove possibilità di annuncio. Esse sperimentano, da un lato, l’annuncio del vangelo come qualcosa di completamente nuovo, finora sconosciuto. Ad essi mancano certi pregiudizi nei confronti della chiesa e della religione, che a volte permettono, meglio di altri posti, che si realizzi un incontro.
Naturalmente le cause dell’assenza di linguaggio religioso di molti nostri contemporanei sono ancora più profonde. Per un verso, si può citare lo stampo ateistico delle grandi ideologie passate, che hanno screditato la religione come pensiero falso, oppio per il popolo o anche come risentimento di individui discriminati. Per un altro, sarebbero qui da ricordare anche alcune delle esperienze terribili del XX secolo, le atrocità delle guerre e i mostruosi crimini che scossero fino alle radici la fede in un Dio umano e buono – e che fino ad oggi lo rendono problematico a molti.
A questo proposito mi rivolgo qui ad una obiezione fondamentale, fatta da certuni nei confronti di una esistenza che si comprende religiosamente e che attraversa il pensiero e i sentimenti della modernità: è il sospetto che, con una fede religiosa, l’essere umano perda la propria autonomia, la facoltà di auto-determinarsi. La religione, e in questo anche la religione cristiana – così dice l’accusa – sarebbe una condizione di altero-determinarsi in cui all’essere umano sarebbe preso il diritto di autorealizzarsi creativamente e di autonomia morale. È la spina segreta, che tiene lontane molte persone anche riflessive dalla fede in Dio e nel vangelo.
Si potrebbe tentare di rispondere a ciò partendo dall’antropologia, che sa come noi fondamentalmente siamo esseri dialogici e non monologici; o dalla teologia, che è in grado di indicare come la libertà di Dio vada intesa non concorrenzialmente, ma solo quale possibilità di libertà dell’essere umano. Dice il salmista: «Alla tua luce vediamo la luce» (Sal 36 [35],10) e chi legge non pensa normalmente agli occhi.
Ma nella questione di un annuncio di fede alle condizioni attuali non si tratta in definitiva e prima di tutto di uno scambio di argomenti razionali. Nella domanda se c’è un Dio e, soprattutto, se io posso fidarmi di questo Dio si scende, come è generalmente noto, ai fondamenti che solo il cuore conosce, come direbbe Blaise Pascal. A chi si può provare che l’acqua regge il peso di una persona se questi non osa mai fare un salto nell’acqua profonda? a chi si può spiegare che l’amicizia, il partenariato non rende passivi ma attivi in somma misura, se non a colui che si espone a simili legami personali? Chi ama un/a altro/a rimane libero, anche se come amante si trova coinvolto nella responsabilità, negli obblighi, ma anche in un diverso livello di realtà che amplia la sua vita.
Esistono legami che liberano. E a questi appartiene la fede cristiana in Dio. Tali vincoli non si possono però dimostrare. Vanno provati per manifestare la loro interna evidenza. È analogo al nostro impegno in merito ai valori: se non si è mossi da questi, i tentativi di impararli ponendosi come traguardo la loro interiorizzazione sono per lo più senza speranza. Quel che però si può fare è questo: si possono testimoniare tali legami, se ne può parlare, li si può raccomandare (“proporre” – proposer – come formula la nota lettera dei vescovi francesi)2. E precisamente questi – testimoniare, raccontare, proporre – sono i campi all’interno dei quali può aver luogo una pastorale missionaria.
Quel che desidero definire il compito fondamentale per la nostra chiesa in Germania lo prendo dalle parole del papa (nella sua lettera ai vescovi del 10 marzo 2009)3: «Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio». E ancora qualche riga sotto: «Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia: questa è la priorità suprema e fondamentale della chiesa».
La Conferenza episcopale tedesca negli ultimi anni ha espressamente manifestato l’idea di una nuova presenza missionaria del vangelo in Germania. Ciò ha trovato in molti una eco di consenso. Ma si sono mostrate anche le perplessità. Sì, è di nuovo “tempo di semina”, per usare la metafora biblica. Ma esiste il terreno ricettivo? C’è bisogno di credenti che di fronte agli altri aprano il loro cuore alle cose della fede e testimonino «la speranza alla quale sono chiamati». Ma dove si trovano queste donne e questi uomini credenti che in modo convincente, tranquillo, con una “presa sulla realtà” e in modo umano, possono parlare della fede in Dio e di ciò che nella loro vita egli opera?
Il compito è abbozzato. Occorre una chiesa che sia disposta a diventare nuovamente una “chiesa di missione” in un’epoca di trasformazione – dove ciò appare diverso in Baviera o nella regione del Reno piuttosto che in Turingia e in Sassonia. Ogni cosa, che è a servizio di questa meta, dovrebbe avere la precedenza nelle nostre diocesi. Per assicurare una comprensione maggiore tra i responsabili di ufficio e tutti i fedeli, tra la cura d’anime parrocchiale e il lavoro delle associazioni cattoliche, tra la teologia, l’attività formativa e i servizi caritativi – persino nella fascia di coloro a cui è affidata una presenza del vangelo qui in Germania anche per il futuro, non da ultimo anche nell’intesa ecumenica – ogni sforzo ha valore. Questo nuovo Ufficio per la pastorale è precisamente ordinato al presente campo di attività, come servizio per tutte le diocesi del nostro paese.
In questa opzione di fondo di una pastorale missionaria ne è di certo data implicitamente un’altra: c’è bisogno di un’intima accettazione della situazione in cui Dio conduce la nostra chiesa con la sua cura pastorale. Aggiungo subito: accogliere non significa adeguamento o addirittura capitolazione allo spirito del tempo, comunque sia. Chi riconosce di vivere in una società aperta, culturalmente plurale, non accetta di fatto anche il pluralismo che alcuni in questa società esercitano fino all’eccesso dell’uniformità indistinta di ogni ricerca di verità e di senso della vita.
Intendo piuttosto una disponibilità ad accettare questa nostra società aperta, liberale, ma anche che si interroga e ricerca, e le persone così come sono oggi, non come dovrebbero essere secondo le nostre idee cristiane. È necessaria una interna empatia per i nostri contemporanei che, nel profondo del loro cuore sono affascinati, ma anche disorientati dalle sfide della modernità, quali l’enorme espansione del sapere e delle nostre capacità. Ciò è visto in parte diversamente all’Est più che all’Ovest. Ma in complesso è uguale, in Occidente come da noi, l’ambito culturale a cui dobbiamo portare il vangelo: vale resistere ad una perplessità che si domanda cosa il Dio annunciato della fede cristiana possa avere a che fare con la propria vita e la condizione della nostra società.
Le opzioni di vita sono oggi diventate così multiformi e differenziate, le origini dei singoli e le tradizioni che vi stanno dietro sono ora così fragili, che le persone si interrogano anche al cuore delle nostre comunità sulle certezze che hanno sostenuto sin qui la realtà cattolica cristiana e se debbono per sé rifondarle. «Qui ci sono – ma potrei anche esserci in tutt’altra maniera!». In breve è la diagnosi di una condizione che riconosce come giusto il pluralismo e le esperienze di contingenza del presente. Accogliere questa situazione, accettarla e farsi di nuovo presenti in questo ambito non più dominato dalla fede cristiana è la vera sfida di fronte a cui stiamo noi come chiesa.
Che conseguenze ha questo per il cammino della nostra chiesa? Indico qui tre compiti in cui essa deve mostrarsi rafforzata nelle proprie risorse quantitative e qualitative sempre attualmente considerevoli:
1) Ci vuole un approfondimento e una “attualizzazione” del nostro annuncio di Dio. È una sfida intellettuale, in cui devono dare buona prova di sé la teologia e il lavoro di formazione della chiesa di fronte alle esperienze del mondo e della vita attuali; ma è anche una sfida per l’annuncio pubblico, per la catechesi e l’insegnamento della religione. Bisogna poter “pensare Dio” responsabilmente davanti alle messe in questione attuali della fede, altrimenti incombe il pericolo di dividerci tra noi in gruppi settari.
Legato a questo c’è una provocazione pratico-pastorale: in futuro saranno necessari molto più “cammini di una fede adulta” che oggi avviano i singoli e i piccoli gruppi ad una forma matura di essere cristiani, desiderosa e capace di apprendere, fino all’acquisizione di questa identità vissuta nella quotidianità della vita moderna con i suoi interrogativi e i suoi paradossi. Le comunità parrocchiali resteranno un “luogo della fede” importante ma, per un numero crescente di persone, non l’unico. Dove sono oggi tali luoghi di vita in grado di diventare per il singolo luoghi di fede personali e comunitari? che ruolo esercita in questo il mondo dei media, che ci influenza sempre di più? Esplorare e sondare queste e simili domande sarà un compito importante di questo Ufficio per la pastorale missionaria. E qui devono coinvolgersi pure la Facoltà teologica di Erfurt e la teologia nel suo complesso e con le sue possibilità.
2) I luoghi importanti della presenza ecclesiastico-missionaria saranno anche in futuro luoghi di diaconia. La nostra chiesa avrà bisogno di tali spazi anche se le istituzioni pubbliche non potranno più promuovere finanziariamente molto come hanno fatto una volta. Il segno meno potrebbe anche valere di più. Ma senza tali luoghi, in cui «il sacramento del fratello e della sorella è impartito davanti alle porte della chiesa» (come si espresse Hans Urs von Balthasar), la chiesa non può farcela. Ci potranno essere scuole, asili, istituzioni formative; ci potranno essere iniziative minori di singoli individui e di gruppi sulla base dell’impegno civile; ma anche luoghi nuovi o tradizionali di cura delle anime e dei corpi, nei quali la chiesa presta il servizio della lavande dai piedi così come fece il Signore. Sono grato che stia crescendo la disponibilità a riscoprire e rafforzare i luoghi della diaconia come luoghi della pastorale da parte dell’Associazione tedesca Caritas (DCV) e di altri sostenitori dell’attività sociale cattolica, ma anche nelle parrocchie che crescono. Anche sotto questo profilo il nuovo Ufficio per la pastorale sarà chiamato ad analizzare e valutare le tendenze e i cambiamenti della società, che riguardano gli attori del lavoro sociale e le forme dell’impegno volontario civile. In quanto chiesa possiamo solo trarre vantaggio da questo.
3) E infine abbiamo bisogno, in tempi non troppo lunghi e di fronte al conflitto attuale sull’eredità dell’ultimo concilio, di un approfondimento delle competenze teologiche, liturgiche e spirituali – sia nel clero sia nel popolo di Dio. Se appartiene alla pratica caratteristica della chiesa celebrare ciò che confessa e pregare ciò che crede, acquisteranno significato i sedimenti di una solida pietà liturgica e di una formazione spirituale.
La comunicazione della fede è e resta un desideratum pressante e per questo ancora una volta è grato il ricordo di coloro che, negli uffici per la pastorale ad Hamm e Francoforte sul Meno, per molto tempo si sono dedicati a questo compito. Certo, esistono molti sforzi analoghi sull’informazione e la formazione della fede da parte delle diocesi, che a volte superano i confini diocesani come è per Theologie im Fernkurs – Teologia per corrispondenza o per Fernkurs Liturgie – Imparare la liturgia a distanza, offerti dall’Istituto liturgico di Treviri. E ricordiamo qui anche i servizi on-line di alcune diocesi.
Il cattolico di domani deve essere un cattolico informato – e dovrà alimentarsi ai sedimenti di una pietà che sia in grado di reggere alle provocazioni attuali, persino alle sfide rivolte alla fede cristiana. Io sostengo che il termine “pietà educata” nuovamente riceva nella nostra chiesa il giusto spessore.
E che tutti questi compiti siano compresi nella domanda di come si possa comunicare anche con i media la ragione dell’orizzonte di Dio e la possibilità di un contatto con la chiesa sarebbe, ancora una volta, da approfondire. Pure questo sarà particolare compito del nuovo Ufficio per la pastorale, dove si dovranno cogliere e comunicare ad altri, con attenzione, gli sforzi che già si fanno nelle nostre diocesi in Germania e all’estero.
Forse si potrebbe indicare con le parole-chiave “prospettare le possibilità di aggancio al vangelo” il compito fondamentale della chiesa e della sua pastorale oggi.
E sarà molto differente nelle diverse regioni del nostro paese. Anche l’Est non è così areligioso come alcuni pensano. Anche qui si trovano impronte del cristianesimo: una cultura dei giorni festivi, alcune tradizioni, interesse alla storia e alle esperienze personali a cui si può far riferimento; e poi la realtà del proprio battesimo, i rudimenti di una conoscenza religiosa, l’incontro con altre religioni.
Tuttavia vanno considerati anche altre connessioni, forse poste ancor più nel profondo dell’essere umano. Per mia esperienza personale queste sono particolarmente l’esperienza di un rapporto riuscito, a volte anche solo la nostalgia di questo, oppure l’esperienza di un fallimento di tali rapporti. Simili conoscenze formano per così dire una “porta verso la trascendenza”. Le relazioni non si può già conoscerle; esse sono profondamente dono. E tuttavia il loro successo o il loro fallimento determinano la qualità della vita. Esempi di questo genere di aggancio dell’annuncio cristiano alla situazione di vita degli esseri umani sono stati sviluppati nella diocesi di Erfurt, come le celebrazioni di benedizione, che rafforzano la comprensione del dono dell’amicizia e del partenariato, la lode notturna di Natale per i non cristiani, la celebrazione dei cicli della vita per persone giovani, non battezzate, la commemorazione mensile dei defunti per gli abitanti della città di Erfurt, che i loro congiunti hanno sepolto in modo anonimo, la “liturgia di Cosma e Damiano” per chi da tempo è malato e per quanti sono disabili, che devono continuare a vivere con i loro limiti nonostante l’aiuto medico, o da tre anni l’azione degli studenti di teologia per i visitatori del mercatino di Natale di Erfurt “Segui la stella”, che vuole dischiudere loro il senso della festa di Natale.
In una società non cristiana, alimentata da un’etica secolare è importante procedere per nuove vie, nell’annuncio di fede, in modo più marcato che in una società improntata cristianamente. Si tratta qui di presentare la fede che non viene “dall’alto”, ma che, da un atteggiamento di simpatia con le persone, faccia brillare quei momenti del vangelo che rendono possibile agli individui una identificazione interiore con il messaggio cristiano. L’annuncio di fede e la cura d’anime sono in grado di svolgere solo un “servizio da levatrice” rispetto al rapporto con Dio degli essere umani, ma non possono “produrre” la fede. Questo sapere impedisce, da un lato, di etichettare e deprezzare gli individui in modo precipitoso come areligiosi senza speranza. E dà ali, dall’altro, alla fantasia della cura d’anime per seguire, nelle circostanze, nuove vie nell’annuncio ai non cristiani. Spero vivamente che questo nuovo Ufficio per la pastorale riceva degli impulsi propositivi perché certamente non possiamo, tirando un sospiro di sollievo, delegare questi compiti qui a Erfurt.
Ciò che mi fa guardare con fiducia alla nostra pastorale è il fatto che esiste una crescente nostalgia del sacro nella società, anche se bisogna registrare una petulanza atea e tendenze alla blasfemia (forse proprio a causa della prima?). La presenza del religioso nella società si trasforma – ma il religioso non scompare. Anche se la forma della chiesa e la prassi della sua pastorale cambieranno fortemente, sono convinto della permanente attualità del vangelo, che la chiesa può offrire in ogni tempo alle persone.
La fede cristiana in futuro si presenterà di certo più forte qualitativamente e più piccola quantitativamente. Anche oggi vale la parola: «È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla» (Gv 6,63). Occorre, in una modernità che si perde nel soggettivo e nell’arbitrario, una spiritualità che dia al singolo cristiano la dimensione di stabilità e che lo aiuti a mostrarsi capace di dialogo con le altre posizioni.
L’antica ovvietà acquista di nuovo evidenza: solo chi prega esisterà come cristiano. Una chiesa, che è radicata nel misero di Dio, rimane interessante anche oggi agli uomini. Che ciò sia vero fonda la mia speranza – anche per la nostra chiesa in Germania che è incamminata verso un tempo nuovo.

La relazione è stata tenuta il 15 gennaio 2010 nel Regional-Priesterseminar di Erfurt (Germania).


Note
1) Joachim Wanke è stato professore di Nuovo Testamento all’Istituto filosofico-teologico di Erfurt.
2) CONFÉRENCE DES ÉVÊQUES DE FRANCE, Proposer la foi dans la société actuelle. Lettres aux catholiques de France, Cerf, Paris 1996 [anche in Il Regno-documenti 11/1996, 340s.].
3) Lettera ai vescovi sulla remissione della scomunica dei vescovi lefebvriani, in Il Regno-documenti 7/2009, 193s., qui 195.

 

© 2010 by www.bistum-erfurt.de (visitato il 18 agosto 2010).
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Traduzione dal tedesco della Redazione Queriniana
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