Ogni Papa ha un suo stile di comunicazione, e anche di predicazione (o annuncio della parola rivelata). Giovanni Paolo II proponeva una predicazione pastorale; Benedetto, una predicazione prevalentemente dottrinale, che aveva teorizzata da teologo con l’opera Dogma e predicazione (München 1973; ed. it., Queriniana 1974, 2005², BTC 19); di papa Francesco credo si possa dire che propone una predicazione kerygmatica (oltre che popolare).
Di papa Francesco si osserva ripetutamente sulla stampa che non entra nei temi dottrinali di attualità – come aborto, omosessualità, e in genere temi discussi di bioetica – come facevano i suoi predecessori.
Può aiutare a chiarire l’osservazione la recente intervista alla Civiltà Cattolica, pubblicata anche in “edizione definitiva” in Papa Francesco, La mia porta è sempre aperta. Una conversazione con Antonio Spadaro, La Civiltà Cattolica/Rizzoli/Corriere della Sera 2013 (da cui citiamo).
Nell’intervista il papa dice: «La Chiesa a volte si è fatta rinchiudere in piccole cose, in piccoli precetti. La cosa più importante è invece il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ha salvato”» (58). «Dobbiamo annunciare il Vangelo su ogni strada, predicando la buona notizia del Regno» (60). «La proposta evangelica deve essere più semplice, profonda, irradiante. È da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali» (62).
Il primo annuncio non è la dottrina o la catechesi, ma il kerygma, come annota l’intervistatore (l’intervista si fa conversazione): «A Bergoglio interessa in maniera suprema il kerygma, l’annuncio del messaggio cristiano, mentre, mi ha detto, teme una pastorale “ossessionata dalla trasmissione di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza”» (81); «Il timore di papa Francesco è che si smarriscano le priorità e che si verifichi lo “svilimento della bellezza del kerygma a bieca morale sessuale”» (82); «Non sono le crepe esteriori che lo preoccupano, ma la mancanza di solidità nell’annuncio kerygmatico» (82). E ancora: «Una Chiesa missionaria è una Chiesa che proclama l’annuncio della salvezza, un annuncio che “fa ardere il cuore”» (87).
Questa insistenza sul “primo annuncio”, “annuncio della salvezza”, e dunque kerygma come interpreta l’autorevole intervistatore (a cui dovrà, certo, seguire catechesi e dottrina), richiama una discussione degli Anni Trenta, avvenuta nella Facoltà di teologia di Innsbruck (Austria), retta dai gesuiti, e che illustro nella sua articolazione in La teologia del XX secolo (Queriniana 1992; sesta ed. attualizzata 2007, 225-231). Riprendo l’essenziale.
Si sentiva il disagio di una teologia (allora neoscolastica), che si sviluppava nella esplicazione dottrinale, e non era al servizio di una predicazione, che sia “lieta notizia”, qual è il senso originario di Vangelo. Il testo fondamentale era il libro di Joseph A. Jungmann, La lieta notizia e la nostra predicazione della fede del 1936. Lo storico della liturgia vede stendersi un’«ombra sull’odierna coscienza di fede»: il cristianesimo non è più percepito come lieta notizia, ma è decaduto ad «arido cristianesimo abitudinario», senza presa sull’orientamento della vita. Deriva da qui la necessità di un rinnovamento della predicazione, che non si limiti a trattare questioni metodologiche e pratiche, ma entri nel merito degli stessi contenuti della predicazione, ricuperando il carattere salvifico delle verità della fede e il cristocentrismo del kerygma: «La teologia vuole servire innanzitutto alla conoscenza; essa studia pertanto la realtà religiosa fino agli estremi limiti del conoscibile (verum), e si batte perfino per l’ultimo brandello di verità, che possa essere raggiunta, senza interrogarsi sull’interesse vitale, che anima la ricerca. La predicazione, invece, è tutta rivolta alla vita, ed essa pertanto considera la stessa realtà religiosa solo come il bene finale della nostra ricerca (bonum). […] Il suo oggetto proprio è e rimane la lieta notizia, e precisamente quello che nel cristianesimo primitivo è stato chiamato il kerygma. Noi dobbiamo conoscere il dogma, ma dobbiamo annunciare il kerygma […]. La stessa predicazione rimane sempre annuncio-di-salvezza; infatti il senso del cristianesimo non è il sapere, bensì la vita; non la teologia, bensì la santità» 1.
La proposta della Facoltà di Innsbruck andava sotto il nome di “teologia kerygmatica” e aggregava teologi gesuiti come Jungmann, Lackner, Dander, Lotz, Hugo Rahner (fratello del più famoso Karl Rahner), e – sotto il profilo storico – contribuirà al realizzarsi della “svolta antropologica” in teologia (Karl Rahner).
Ma, qui, si voleva sottolineare una consonanza tra la proposta della “teologia kerygmatica” e l’insistenza di papa Francesco per una predicazione (che certo non esclude la dimensione catechistica e dottrinale), che sia in primis, “annuncio di salvezza” e “lieta notizia”. Una osservazione da raccogliere per un annuncio missionario, che – come si esprime papa Francesco – «fa ardere il cuore»; o, integrando con la recente Esortazione apostolica Evangelii gaudium: il kerygma, che è «il cuore del messaggio di Gesù Cristo» (n. 34, 164-165), dà la «gioia del vangelo».
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1) J.A. JUNGMANN, Die Frohbotschaft und unsere Glaubensverkündigung, Regensburg 1936, 60-61.
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