18/12/2002
14. Pace in tempi di oscurità di Gregory Baum
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Gregory Baum è un teologo tedesco-canadese, noto anche in Europa dai tempi del Concilio come esperto delle relazioni cristiano-ebraiche. Nato a Berlino da famiglia ebraica liberale, in un campo di prigionia ha incontrato la fede cristiana ed è entrato nella Chiesa cattolica. Emigrato in Canada, ha svolto e svolge la sua attività di teologo e di sociologo della religione, intrattenendo sempre contatti con la cultura e la teologia europea. Docente prima all’università di lingua inglese di Toronto, insegna ora all’università di lingua francese di Montréal nel Québec. È noto anche perché ha diretto per molti anni la sezione Sociologia della religione della rivista internazionale di teologia Concilium, ed è tuttora membro del Comitato scientifico della stessa rivista.
Proponiamo questo testo, che sta avendo larga circolazione negli USA e in Canada, come un contributo di riflessione teologica sul tempo che l’Occidente sta attraversando in questo inizio di secolo.



L’attacco terroristico agli Stati Uniti dell’11 settembre 2001 ha scosso molte vite e molte speranze. Mentre siamo in lutto per le vittime dobbiamo anche chiederci quali condizioni hanno reso possibile un tale scoppio di odio e di violenza mortali. Alcune voci in America ci dicono che il porci questa domanda è uno sleale tentativo di giustificare questo terribile attacco. Ma secondo il rappresentante del Vaticano alle Nazioni Unite, Renato Raffaele Martino, noi dobbiamo proprio alle vittime il fatto di domandarci «Perché?». Quale squilibrio di ricchezza, di potere e di rispetto ha prodotto un odio così violento? Se non ci poniamo questa domanda, noi possiamo scegliere di agire in modi che aumenteranno la rabbia e offriranno nuovi argomenti a sostegno della ideologia dell’odio.
I bombardamenti sul popolo afgano perché i loro governanti hanno aiutato i terroristi hanno diviso la comunità cristiana. Molti cristiani ritengono che questa guerra ha violato parecchi articoli della legge internazionale. Fare la guerra bombardando la popolazione è una tremenda invenzione del XX secolo, totalmente in contrasto con la tradizionale “teoria della guerra giusta”, che proibiva di colpire i non-combattenti. Giovanni Paolo II ha parlato contro una reazione che coinvolgesse gli innocenti. Egli ha riconosciuto il diritto dell’uso della forza militare contro i terroristi, ma ha ammonito a non estenderla alla nazione, all’etnicità o alla religione alla quale i terroristi appartengono. Nel suo messaggio sulla pace, reso pubblico l’8 dicembre 2001, il Papa sviluppava un’idea audace e provocatoria, secondo la quale «non c’è pace senza giustizia, e non c’è giustizia senza perdono».
Pochi danno ascolto al Papa. Ma noi ci meravigliamo quando leggiamo che un gruppo di madri negli Stati Uniti che hanno perso i loro figli nell’attacco terroristico dell’11 settembre si è opposto pubblicamente ai bombardamenti nell’Afganistan, perché non volevano che altre madri passassero attraverso la stessa sofferenza.
Sarebbe stato possibile combattere le reti terroristiche usando le istituzioni delle Nazioni Unite e chiamando alla co-operazione tutti i governi nazionali. Questo avrebbe rafforzato una solidarietà mondiale. E tuttavia questo non è avvenuto. I governi nazionali sono stati invitati a co-operare ad una guerra contro il terrorismo che è stata pianificata, senza la loro partecipazione, da un singolo potere.
La domanda sollevata dal rappresentante del Vaticano all’ONU, Renato Raffaele Martino, «Perché?», ci fa vedere il lato oscuro della civiltà occidentale. Mentre abbiamo ereditato i valori cristiani di giustizia e pace, e gli statuti universali dei diritti umani, noi abbiamo anche una sinistra eredità: l’Occidente ha accresciuto il suo potere e la sua ricchezza con mezzi violenti, creando colonie in altri continenti, umiliando le popolazioni locali, sfruttando il loro lavoro e le loro risorse naturali e disprezzando le razze e le etnie colonizzate. Abbiamo creato il mondo nel quale noi, una minoranza sul globo, ha accesso al 75% delle risorse del pianeta. Questo lato oscuro non invalida i valori umanisti che abbiamo ereditato; e in realtà questi valori stanno ora sopra di noi come giudici. Può un sistema che crea una tale massiccia maldistribuzione di ricchezza e di potere sopravvivere? Potrà Dio sostenerlo, o non lo abbandonerà?
In un giornale ho letto la sorprendente osservazione che l’attacco terroristico dell’11 settembre potrebbe essere paragonato al sacco di Roma dell’anno 410, un evento che ha preoccupato s. Agostino. I teologi cattolici hanno spesso detto che il grande santo nordafricano era eccessivamente pessimista. Ma in questo nostro tempo siamo in grado di riascoltare il vescovo di Ippona con orecchie nuove.
Agostino è vissuto nelle decadi che vanno dal IV al V secolo, quando l’impero romano era in uno stato di crisi. Il sacco di Roma del 410 da parte di tribù straniere, “i barbari”, scosse e debilitò la civiltà romana e fu interpretato da molti come un segnale che il collasso del potere romano era vicino. Alcuni pensatori pagani, sfavorevoli al fatto che l’impero avesse adottato il cristianesimo come la religione ufficiale, avanzarono l’idea che il cristianesimo, avendo minato le virtù pagane, era responsabile della presente crisi. Agostino ha risposto a questi autori nella sua famosa opera, La Città di Dio, mettendo allo scoperto il lato sinistro della civiltà romana. Nonostante le virtù di molti l’impero era una società costruita sulla base dell’egoismo. Riforma e rinnovamento non potevano più operare a causa dell’egotismo, della voracità e del desiderio di potere che erano diventati l’anima dell’impero. Quando Agostino dichiarò che il mondo è cattivo e non può essere reso buono, egli pensava alla società alla quale apparteneva. Tardivi lettori hanno spesso dimenticato questo, e di conseguenza hanno pensato che Agostino fosse un pessimista eccessivo. È risultato che Agostino aveva ragione: egli prediceva il collasso dell’impero romano.
Tuttavia il pessimismo di Agostino non lo ha reso passivo; al contrario, ha offerto una speranza alternativa che incoraggiava all’azione. Egli credeva che Dio fosse presente nella formazione di comunità ispirate dall’amore di Dio e del prossimo, e dall’impegno contrastante il disamore e l’egoismo che sostenevano l’impero. In molti passi s. Agostino identificava queste comunità contro-culturali con le chiese cristiane, anche se in pochi passi riconosceva che le comunità create da un amore altruistico potevano anche esistere al di fuori della Chiesa, là dove le persone erano toccate da Dio per definire la loro esistenza collettiva in termini di amore, giustizia e pace.
È questa una teologia appropriata per i nostri giorni? Mentre noi siamo impotenti ad influenzare il corso degli eventi politici, siamo però in grado di sostenere comunità alternative che stanno contro l’ethos dominante. Gli ordini e le congregazioni religiosi sono comunità contro-culturali che incarnano principi contrastanti la società. Ma anche gruppi e reti secolari si definiscono in termini di solidarietà, giustizia e pace. E si possono promuovere movimenti sociali nella società o impegnarsi in un lavoro intellettuale critico in opposizione alla corrente dominante.
Negli anni Sessanta e Settanta molti cristiani sostenevano varie teologie della liberazione: essi pensavano di vivere in condizioni storiche che rendevano possibile una trasformazione radicale della società. Questa speranza è svanita. Molti cristiani critici sono arrivati al punto di condividere il pessimismo di Agostino nei confronti di una riforma sociale, ma sono pure arrivati alla sua speranza nella vita piena-di-grazia di comunità e di reti contro-culturali. Ubi caritas et amor, Deus ibi est.

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Editrice Queriniana, Brescia
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