Jean-Paul Vesco, vescovo d’Oran (Algeria), è autore già noto al pubblico italiano per l’opera Ogni amore vero è indissolubile (Queriniana 2015), dedicata all’amore, al matrimonio e – realisticamente – al suo fallimento e ai possibili modi per affrontarlo. In questa breve intervista, mons. Vesco si concentra invece su un altro valore universale, l’amicizia. Sebbene spesso trascurata dai teologi a tutto beneficio della fraternità, all’amicizia Vesco ha dedicato il suo ultimo piccolo libro, in uscita in questi giorni per i tipi di Queriniana. Lasciamo la parola all’autore.
Qual è la sua definizione di amicizia?
Definirei innanzitutto ciò che non è. Non si tratta di amore nel senso dell’innamoramento e nemmeno di una relazione fraterna. L’amico è colui nei cui occhi io mi riconosco, e che si riconosce a sua volta nei miei. Questo legame può essere molto evidente (per esempio quando si è cresciuti insieme o quando si condivide la medesima passione) oppure può essere invisibile. L’amicizia vera coinvolge tutto l’essere: con un amico, si è veramente liberi di essere se stessi. Non è cosa da poco!
Lei ha affermato che l’amico è «colui nel quale io mi riposo».
Sì: in sua compagnia, io trovo riposo. Non per dormire sugli allori, ma per riposarmi in una relazione in cui non temo d’essere giudicato. Lo sguardo dell’amico è più benevolo di quello che rivolgiamo a noi stessi. È un amore incondizionato, come quello dei genitori per i figli.
L’amicizia è dunque questione di sguardi?
Sì. Pensi a Zaccheo (Lc 19): quando Gesù rivolge a lui il proprio sguardo, egli si riconosce per come è nel profondo. Egli ne è liberato. Gesù può osservarmi nella mia miseria senza giudicarmi, con uno sguardo che dona sollievo. Non è vero che non è esigente! Lo sguardo dell’amico rende liberi, però dice la verità.
Nel suo libro, lei stabilisce un legame tra amicizia ed eucaristia…
Quando sono stato ordinato sacerdote, ho deciso che la celebrazione dell’eucaristia non sarebbe stata un lavoro da fare, bensì un momento di riposo. Quando la celebro, infatti, le mie preoccupazioni quotidiane svaniscono. Da qui viene il legame con l’amicizia. Basta andare con la memoria alle parole di Cristo durante l’ultima cena: «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15,15). Non possiamo annunciare il vangelo senza allacciare un legame d’amicizia.
Quale è la differenza tra fraternità e amicizia?
La fraternità non la scegliamo: nel cristianesimo la riceviamo, essendo tutti dei figli di Dio. La fraternità cristiana non può essere messa in atto se non per scelta: anche se è complicato, si deve amare il prossimo, e farlo nella stessa maniera in cui l’ha fatto Gesù – perché ciascuno è unico. Quando entriamo in relazione con qualcuno, con una persona ben precisa, allacciamo un legame d’amicizia.
Si può essere amici dei propri fratelli e sorelle, dei propri genitori?
Se così non avviene, con il passare del tempo questi rapporti si complicano. Nel diventare adulti, ci si sceglie di nuovo come fratelli e sorelle: si diventa amici. La stessa cosa avviene tra genitori e figli. Impariamo a gustare il piacere dello stare insieme.
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