L’ex-cancelliere della Repubblica Federale Tedesca, Helmut Schmidt, in un attento articolo pubblicato su Die Zeit e ripreso da Repubblica (2 ottobre 2001) ha lamentato: «Per troppo tempo i nostri sacerdoti e pastori, come del resto i mullah e i rabbini, hanno omesso di educare i fedeli al superamento delle ostilità tra le religioni». Il problema è piuttosto recente. In campo cattolico si è avviato solo con il concilio Vaticano II e ha trovato sviluppo in coraggiosi teologi, che hanno realizzato la svolta, che il teologo della Gregoriana, Jacques Dupuis, nel suo recentissimo libro Il cristianesimo e le religioni (Queriniana, Brescia 2001) ha definito «Dallo scontro all’incontro».
Tra le voci teologiche più significative si deve nominare il teologo di Tubinga (Germania), Hans Küng, autore dell’importante Progetto per un’etica mondiale (1990; Rizzoli, Milano 1991). Secondo Küng, se il cristianesimo, come le religioni sono al servizio dell’Humanum, non è sufficiente l’informazione, la discussione e il dialogo; si deve procedere oltre verso un’intesa e una collaborazione, non però nel senso di una religione unitaria, che integri le diverse tradizioni religiose, ma in direzione di una teologia-creativa-della-pace tra le religioni e tra i popoli. Su questa linea si muove l’ultimo numero della rivista internazionale di teologia Concilium 2001/4, dal titolo Alla ricerca di valori universali.
Proponiamo qui, in una nostra traduzione, la recente intervista di Hans Küng concessa alla rivista tedesca Publik-Forum, intervista che si muove nell’orizzonte del Progetto per un’etica mondiale.
Intervista ad Hans Küng
© Publik-Forum (18/2001)
Publik-Forum: Come si può sanare l’onta e la ferita culturale, che è stata inflitta all’Islam dai tempi del colonialismo e dell’imperialismo?
Küng: Certamente è necessaria anche una riflessione da parte musulmana. Io sarei l’ultimo a voler criticare unilateralmente solo l’Occidente, l’America e lo Stato di Israele. No, è semplicemente un fatto che sia il Cristianesimo come anche in misura minore l’Ebraismo sono passati attraverso due cambiamenti di paradigma, che l’Islam non ha compiuto. Sia per l’Islam come anche per il Cristianesimo il medioevo è stato l’«età d’oro». All’inizio erano i musulmani superiori, più tardi, nell’alto medioevo, lo furono i cristiani. Gli stati cristiani, poi, in gran parte, hanno fatto la Riforma. L’Islam non conosce una tale Riforma religiosa e conseguentemente esso è ancora legato largamente alla teologia islamica e alla concezione giuridica del medioevo. Più tardi, poi, il Cristianesimo come anche prima l’Ebraismo è passato attraverso un secondo cambiamento di paradigma, e cioè l’Illuminismo. Cristianesimo ed Ebraismo si sono confrontati costruttivamente con la Modernità. Questo è stato tentato solo in parte dall’Islam e solo in parte è riuscito. Ma senza la Riforma religiosa è riuscito solo parzialmente.
P.-F.: In Egitto esiste dal punto di vista teologico e dal punto di vista politico la situazione, in forza della quale teologi musulmani illuminati, che hanno tentato di spiegare linguisticamente o anche secondo il metodo storico-critico il Corano, sono stati perseguitati, anzi perfino uccisi. Di fronte a una tale repressione e mancanza di libertà, si può attendere molto da una discussione teologica?
K.: Lei ha ragione; la situazione per i teologi islamici non è facile. Mi ricordo per esempio di una discussione teologica tenuta nel 1971 in Afghanistan. Già allora ho parlato con un professore dell’università di Kabul e con amici per tutta una notte su queste questioni dell’esegesi del Corano. Il collega musulmano ha ammesso che la parola di Allah è insieme anche la parola del Profeta. E appunto per questo deve essere naturalmente accettata anche una determinata evoluzione e condizionatezza storica. Io gli ho chiesto se egli avesse potuto sostenere questo anche all’università. Ma lui ha risposto: «No, questo non lo posso, altrimenti dovrei emigrare», e nel frattempo è emigrato.
È evidente pertanto che nell’Islam sono stati repressi dei problemi. E tuttavia noi come cristiani non dovremmo menare vanto. Infatti, nella Chiesa cattolica l’interpretazione della Bibbia secondo il metodo storico-critico è stata altrettanto repressa fin dentro il XX secolo. Non ci sono stati invero dei casi di morte, e tuttavia vittime: esegeti che hanno perduto la loro cattedra accademica o la loro salute. Fino all’enciclica «Divino Afflante Spiritu» di papa Pio XII nel 1943 il vertice della Chiesa cattolica ha combattuto contro una interpretazione della Bibbia secondo il metodo storico-critico. Non si deve dunque disperare. Infatti, anche un’esegesi storico-critica del Corano finirà per imporsi nell’Islam. Dico questo apertamente, in quanto i teologi cristiani su questo punto dovrebbero rivolgere domande critiche ai teologi musulmani.
P.-F.: Cosa significano gli eventi dell’11 settembre del 2001 per il suo Progetto per un’etica mondiale?
K.: I recenti eventi rappresentano per il nostro Progetto di un’etica mondiale una conferma così drammatica che mai uno si sarebbe potuto aspettare e augurare. Gli attacci terroristici mostrano l’importanza estrema della pace tra le religioni come presupposto per la pace tra le nazioni e si mostra anche quanto sia importante rendere chiaro che per tutte le religioni ci sono comuni valori etici, che in nessun modo dovrebbero essere violati. Anche il Corano prende decisa posizione contro l’uccisione di innocenti.
P.-F.: Ma c’è la possibilità di un dialogo teologico che abbia senso e porti ad un risultato con i fondamentalisti islamici?
K.: Si deve distinguere. Ci sono fondamentalisti che insieme sono fanatici terroristi. Con questi non si può condurre nessun dialogo. Questi li si deve combattere. Poi ci sono fondamentalisti che vorrebbero semplicemente la religione islamica come fondamento anche degli stati. Ci sono tendenze nell’Islam, che non sono poi così lontane da ciò che ha perseguito l’Unione Cristiano-Democratica, quando questo partito è stato fondato dopo il 1945. Essi vorrebbero una democrazia islamica. Non si può parlare in modo indifferenziato dei fondamentalisti. Non tutti i musulmani sono fondamentalisti. E solo molto pochi fondamentalisti sono terroristi.
P.-F.: I politici responsabili dell’Occidente a che cosa dovrebbero prestare maggiormente attenzione?
K.: Il presidente Bush deve prestare molta attenzione a non evocare ciò che vuol evitare: che tutti i musulmani si sentano aggrediti, perché il presidente degli USA fa appello indistintamente alla «guerra». Il termine guerra non è per nulla appropriato in una lotta, che non è contro una nazione o una religione, ma solo contro un gruppo di terroristi – molto efficiente e tuttavia molto piccolo. Se il presidente degli USA vuole avere successo con l’alleanza mondiale deve in prima linea coinvolgere gli stati arabici. E del resto ha poi parlato in maniera più differenziata.
P.-F.: Si arriva a quello che il politologo americano Samuel Hungtinton ha pronosticato come «scontro delle culture»?
K.: Hungtinton con la sua formula del «Clash of Civilizations» ha offerto false categorie. Non c’è nessuno «scontro delle civiltà». Si tratta di un conflitto con un gruppo di terroristi che non vogliono aggredire il Cristianesimo e neppure il mondo occidentale come tale, bensì gli Stati Uniti, perché gli USA sono visti come i principali responsabili della repressione dei palestinesi e dell’umiliazione dei musulmani.
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Editrice Queriniana, Brescia