21/12/2001
5. Natale, memoria liberatrice di Johann Baptist Metz
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Il teologo tedesco propone in questo breve e denso testo le due dimensioni del Natale cristiano: la dimensione mistica, in quanto memoria dell’evento salvifico del Natale, ma insieme la dimensione politica, in quanto la memoria suscita le azioni per l’avvento del Regno.


La fede cristiana vive della memoria di Cristo. Le feste cristiane sono le articolazioni solenni di questa memoria. A Natale noi cristiani commemoriamo la nascita di Gesù. Ci ricordiamo di quell’avvenimento che la fede cristiana chiama: avvento di Dio e del suo regno fra gli uomini. Ma perché è giunta a noi questa «memoria Jesu Christi»?
C’è ricordo e ricordo. Ci sono ricordi con cui rendiamo facile il nostro rapporto col passato, quelli in cui il tempo trascorso diventa un paradiso incontestato, un rifugio delle illusioni presenti, un «buon tempo antico»; ci sono ricordi che circondano tutte le cose che furono d’una luce mite e conciliante. «La memoria abbellisce», noi diciamo, e talvolta ci tocca di farne drastica esperienza: quando gli ex-commilitoni siedono al tavolo usato e si raccontano le loro avventure di guerra, l’aspetto infernale di questa passa in ombra; nella memoria sembra sia rimasto solo il senso dei pericoli superati. Il passato filtra attraverso un cliché disarmante; perde tutto ciò che aveva di pericolo, oppressione e sfida; sembra derubato d’ogni futuro. Così è facile che la memoria diventi «la falsa coscienza» del nostro passato.
Però esiste un altro tipo di ricordi: ricordi pericolosi, ricordi di speranze o terrori, vissuti molto tempo fa e poi ammutoliti o repressi, che risorgono improvvisamente, in mezzo al mondo unidimensionale della nostra vita quotidiana. Per qualche istante essi mettono in luce dura e stridente la problematicità di ciò con cui ci siamo apparentemente conciliati e la banalità del nostro presunto ‘realismo’. Ci sono dei ricordi con cui dobbiamo fare i conti, ricordi, per dire così, che son gravidi di futuro, che non ci alleggeriscono illusoriamente; anzi, essi spezzano il canone delle evidenze dominanti e mettono a nudo l’inganno della sicurezza di coloro «la cui ora è sempre qui» (cfr. Giovanni 7,6). Questi ricordi son simili a visite pericolose e imprevedibili del passato. Non sono adatti a confermare o abbellire le nostre convinzioni prevalenti, ma a scuoterle e sottoporle a domande a cui non possono rispondere. Son ricordi che ci costringono a camminare con loro se vogliamo tener loro fronte.
La memoria della nostra fede si esprime in questo tipo di ricordi? Traspariscono nella nostra memoria natalizia della nascita di Gesù i tratti d’un ricordo pericoloso? O non è invece una memoria troppo determinata ed alienata da quella forma di abbellimento che ho cercato di descrivere? Non ci siamo riconciliati troppo presto con i contenuti della nostra memoria cristiana? Il pio ricordo della nascita di Gesù non s’è troppo risolto nell’immagine idillica del bambino nella greppia? Il ricordo del regno di Dio apparso in Gesù non è diventato troppo rapidamente un discorso sul «buon Dio»? Non siamo proprio in questo punto diventati vittime della tendenza dei nostri ricordi ad abbellire e disarmare? Dobbiamo quindi meravigliarci se questa commemorazione nataliza – come usiamo spesso lamentarcene – sembra essere una festa riservata ai bambini, una festa che quasi ignora l’esperienza oscura e dolorosa del nostro mondo quotidiano? E ciò avviene benché i contenuti di questa memoria siano stati testimoniati e scritti originariamente proprio in quanto fatti sovvertitori e pericolosi, «segni di contraddizione», cose avvenute «per la caduta e la risurrezione di molti», affinché «una spada trapassi il nostro cuore» e «i sentimenti di molti cuori diventino manifesti» (cfr. Luca 2, 34 ss.).

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Editrice Queriniana, Brescia
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