L’unione personale con Gesù Cristo significa partecipazione alla sua proesistenza; perciò la misericordia cristiana è in ultima analisi esistenza cristiana in rappresentanza. Lo possiamo mostrare osservando i diversi piani di significato della chiamata di Gesù alla sequela. La chiamata alla sequela significa qualcosa di più di un invito ad andare dietro a Gesù e ad accompagnarlo nelle sue peregrinazioni. La sequela include la comunione di vita e la comunione nella missione (Mc 3,14 par.), alla fine significa anche comunione nel destino, nella passione e nella croce. «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mc 8,34 par.). Come Gesù si è fatto servo di tutti, così devono fare anche i suoi discepoli. Chi tra i suoi discepoli vuole essere primo, sia il servo di tutti (Mc 10,45; cf. Gv 13,15). Come nel caso di Gesù Cristo, così questo conmorire con Cristo può arrivare sino alla sequela della croce e al dono della vita per amore suo (Mc 8,34s. par.).
La sera prima della propria passione Gesù diede un esempio concreto ai suoi discepoli. Come egli compì verso di loro il servizio più umile prestato dagli schiavi e lavò loro i piedi, così devono fare anch’essi (Gv 13,14s.). I suoi discepoli, gratificati da Gesù, devono fare a loro volta della loro vita un dono per gli altri. Ciò può arrivare anche fino all’estremo. Nessuno ha infatti un amore più grande di colui che dà la sua vita per i suoi amici (Gv 15,13; cf. Gv 12,25s.). L’esistenza del discepolo sarà concepita, come l’esistenza di Gesù, come essere per altri, come proesistenza.
La partecipazione alla morte in rappresentanza vicaria e alla risurrezione di Gesù Cristo attraverso il battesimo (1 Cor 12,13; Gal 3,28) e attraverso la partecipazione alla celebrazione dell’eucaristia (1 Cor 10,16s.) riprende dopo la Pasqua in modo nuovo e approfondito questa idea. Essere in Cristo significa essere nel corpo di Cristo con e per gli altri. «Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui» (1 Cor 12,26). Perciò vale la regola: «Portate i pesi gli uni degli altri: così adempirete la legge di Cristo» (Gal 6,2). Paolo vuole perciò farsi schiavo di tutti per guadagnare il maggior numero possibile di persone. «Mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno» (1 Cor 9,22). Egli si logora e si consuma, e concepisce questo fatto come un sacrificio per la fede della sua comunità (Fil 2,17; cf. 2 Cor 12,15). Ministero apostolico e pastorale significa consumarsi nel senso letterale del termine e rendere presente in esso la passione di Gesù Cristo, la sua morte e la sua risurrezione in favore degli altri. L’esistenza apostolica non si verifica solo a parole, ma con tutta la propria esistenza. Perciò l’idea della rappresentanza vicaria è diventata un concetto chiave dell’esistenza cristiana.
L’idea della sequela come rappresentanza vicaria ha assunto varie forme nel corso della storia. Dapprima nei martiri, il cui sangue divenne il seme di nuovi cristiani, poi negli eremiti e nei monaci, nei monaci iroscozzesi itineranti, che peregrinavano e non avevano una patria per amore di Cristo e della missione (peregrinatio propter Christum), poi ancora nella sequela di Gesù in povertà e umiltà intrapresa da Francesco d’Assisi.
tratto da
Walter Kasper
Misericordia
Concetto fondamentale del vangelo –
Chiave della vita cristiana
Editrice Queriniana, Brescia 2013
Giornale di teologia 361
ISBN: 978-88-399-0861-2
pagine: 336
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