22/02/2016
338. MEDICINA E TEOLOGIA A CONFRONTO SULLA SALUTE di Rosino Gibellini
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È stato presentato alla Libreria dell’Università Cattolica, sede di Brescia, l’ultimo fascicolo, da poco pubblicato, della rivista L’Arco di Giano. Rivista di Medical Humanities, sul tema, interessante anche sotto il profilo teologico, “Medicina e Misericordia”. La parola e il programma della misericordia interessa anche i medici, che lo accolgono come un motivo spirituale e culturale per una pratica dell’accoglienza e della cura del malato. Dalla discussione, a cui erano presenti noti medici in città e in Italia (come Rozzini, Bianchetti, e Trabucchi), è risultato che Brescia è una città misericordiosa, che pratica l’accoglienza, unita alla scienza, dei malati. La comprensione della rivista “Medical Humanities” dell’essere umano è questa: l’essere umano è sano, ammalabile, infermo, guaribile, e mortale. Da qui corrisponde tutto un insieme di pratiche mediche e antropologiche. La rivista L’arco di Giano è apparsa nel 1993, e ha rappresentato un’autentica novità culturale e sociale. Il primo numero della rivista era stato presentato all’Università Cattolica del Sacro Cuore nella sede di Brescia in una tavola rotonda. Alla quale ero stato invitato e dove ho presentato un testo sui possibili rapporti o connessioni tra medicina e teologia. Quel testo del 1993 è qui ripresentato, in occasione dell’ultimo numero dell’Arco di Giano, che reca nel titolo anche una categoria teologica, come è quella di “misericordia”. La rivista L’Arco di Giano è ora diretta dall’ex-ministro della sanità, on. Maria Pia Garavaglia. E si è arricchita dai tempi della fondazione negli Anni ’90 di nuove tematiche, con influsso anche sulla medicina, come le neuroscienze, la bioetica, e il dialogo interculturale e interreligioso.



Sotto l'arco quadrifronte di Giano i percorsi si intersecano, e, con la nuova Rivista di MedicaI Humanities l'antica struttura architettonica viene assunta a suggestivo simbolo di luogo d'incontro «non solo occasionale, ma sistematico – come si scrive nell'Editoriale – tra discipline e pratiche diverse». A questo luogo d'incontro la sensibilità culturale della direzione della rivista – che si colloca nella migliore tradizione occidentale – dà convegno anche alla religione e alla teologia in vista della “cura della salute”. Quale contributo può portare la teologia?

Innanzitutto, la parola "salute" risulta centrale non solo in medicina, ma anche in teologia. Nel lessico del Nuovo Testamento si chiama sotería, che significa propriamente "salvezza", ma una salvezza che riguarda tutto l'essere umano nella sua dimensione spirituale e nella sua dimensione corporale; o – utilizzando le parole dello storico della medicina Pedro Laín Entralgo nella interessantissima intervista riprodotta in questo primo numero della rivista, «l'essere umano, in quanto sano, ammalabile, infermo, guaribile e mortale».

Nella visione cristiana, Gesù "salva" l'umanità, ma insieme "cura” e "guarisce", opera “guarigioni”; ciò che nel linguaggio del Nuovo Testamentosi esprime con la parola therapéuo/therapéuein (termine che ricorre 43 volte neivangeli sinottici e negli Atti degli apostoli). Gesù opera "miracoli", ma i miracoli non sono prodigi nel senso di gesta spettacolari, quali compivano quelli che nell'antichità ellenistica venivano chiamati "uomini divini" (theói ánthropoi), ma sono "segni" della venuta del regno di Dio, che è regno di vita sana e integra. Una delle affermazioni centrali della tradizione cristiana antica è l'affermazione di Ireneo di Lione del II secolo: «Gloria Dei, vivens homo», «La gloria di Dio è l'essere umano che vive». La tradizione cristiana conosce anche il titolo di "medico" attribuito a Gesù. Nel concilio di Trento (sec. XVI) ci fu anzi un curioso dibattito, se si potesse attribuire a Cristo il titolo di "medicus", che era patrocinato da alcuni Padri conciliari. La discussione, alla fine, lo evitò, nel senso che Cristo è più che medico. La salvezza, che egli porta e che opera attraverso l'azione dello Spirito e il ministero della chiesa cristiana, è una salvezza escatologica, ossia radicale e definitiva, ma non è una salvezza disincarnata.

Uno dei tratti caratteristici della teologia contemporanea è quello di sviluppare la dimensione storica della salvezza cristiana. La salvezza cristiana è salvezza offerta all'uomo, e deve pertanto essere posta in relazione con l'intero sistema di coordinate entro il quale l'essere umano può realmente vivere la sua vita da essere umano. Secondo un'attenta analisi filosofica e teologica queste coordinate sono:

1)    la dimensione antropologica: un essere umano sano e integro in un ambiente ecologico;

2)    la dimensione di inter-soggettività, o di co-umanità come un essere-con gli altri esseri umani;

3)    la dimensione sociale, in quanto l'identità personale umana esige strutture e istituzioni che rendono possibili la libertà umana e la realizzazione di valori;

4)    la dimensione culturale, che deriva dal carattere storico dell'essere umano e che si traduce in una ricerca di senso;

5)    la dimensione del rapporto tra teoria e prassi, che caratterizza la vita umana, che è fatta di riflessione e di azione;

6)    la dimensione utopica o religiosa, che dona una totalità di senso all'essere umano e alla storia che faticosamente costruisce.

Si tratta di sei costanti o dimensioni della vita umana, che si intrecciano e si condizionano a vicenda. La salvezza è, dunque, una realtà pluridimensionale. Scrive, ad es., il teologo cattolico Edward Schillebeeckx nella sua cristologia (cf. Il Cristo, la storia di una nuova prassi, 1977): «Ritenere che tutto questo sia estraneo a ciò che noi intendiamo per 'salvezza cristiana' significa sognare forse una salvezza per gli angeli, ma non una salvezza per gli uomini». Da qui deriva la denuncia, abbastanza diffusa nella riflessione teologica contemporanea, della distorsione in senso astorico e spiritualistico della concezione della salvezza cristiana. Ciò che caratterizza la cultura nell'epoca moderna e contemporanea è la ricerca non di una salvezza esclusivamente religiosa, come poteva avvenire in epoche passate, bensì la ricerca di un'umanità sana e integra e degna di essere vissuta. Tutte le scienze, che non esistevano nelle epoche passate, lavorano in questa direzione. Certo, la redenzione non è riducibile ai progetti antropologici delle scienze umane, ma rimane tuttavia ad essi legata da un rapporto critico di solidarietà. Scrive ancora il teologo già citato nella sua cristologia, dove svolge le linee di una soteriologia in chiave moderna: «La salvezza cristiana è sulla stessa linea di ciò che nella nostra storia si realizza di sano, di bello e di buono, ma in modo tale che Dio rimanga libero nel fare il suo dono sorprendente che trascende tutte queste cose».

La "cura della salute", dunque, attiene alla salvezza; è un operare, che si situa nella linea della salvezza, anche se è un operare che rimane aperto all'operare salvifico e sanante di Dio, che trascende ogni progettualità e ogni operazione umana.

Più in concreto, la teologia contemporanea ha pure trattato direttamente il tema del suo rapporto con la salute come categoria medica e antropologica. Mi riferisco al saggio del teologo protestante tedesco-americano Paul Tillich, The Meaning of the Health, pubblicato nel 1961 sulla rivista americana Perspectives in Biology and Medicine (5, Autumn 1961). Per Tillich parlare della salute è un rischio, in quanto non si tratta di un argomento settoriale, ma di un tema che abbraccia tutte le dimensioni della vita, che nell'essere umano si trovano unite. È un tema, quindi, che riguarda non solo la medicina, ma anche la filosofia e la teologia, essendo loro compito dare una visione della totalità della vita. L'essere umano è "una unità pluri-dimensionale", in quanto è il punto in cui si incontrano tutte le dimensioni, che noi possiamo invece distinguere l'una dall'altra nel mondo dell'esperienza. Nell'essere umano si incontrano la dimensione fisica, la dimensione chimica, la dimensione biologica, la dimensione psichica, ma anche la dimensione spirituale-religiosa e la dimensione storico-culturale. Se confrontata con le riflessioni di Tillich, la stessa definizione contenuta nella Carta dell'Organizzazione Mondiale della Sanità del 1946 come "completo ben-essere fisico, mentale e sociale", è ancora troppo angusta; la definizione di salute dovrebbe essere inclusiva anche della dimensione spirituale-religiosa e della dimensione storico-culturale. Nella dimensione spirituale-religiosa si pone il problema del senso della vita e di una pienezza di senso; e nella dimensione storico-culturale si pone il problema di come la salute del singolo sia possibile all'interno di una società, che non è una "società sana" (problema posto da Erich Fromm in The Sane Society).

Per Tillich si può delineare una convergenza e attuare una collaborazione tra medicina e teologia: «Solo se si comprende la redenzione come guarigione, non esiste nessun conflitto tra medicina e teologia, ma uno stretto legame. Solo una teologia, che ha dimenticato questo legame e considera la redenzione come innalzamento dell’essere umano in un luogo celeste, può entrare in conflitto con la scienza medica. E solo una scienza medica, che nega il significato della dimensione non-fisiologica per la dimensione fisiologica, può entrare in conflitto con la teologia. Ma, – se si tengono insieme sia le differenze sia il reciproco compenetrarsi delle dimensioni, vengono superati i contrasti tra teologia e medicina (tra Heilslehre come dottrina-delIa-salute e Heilkunde come scienza-delIa-salute), e viene resa possibile la collaborazione tra discipline, la cui professione è il guarire. […] La salute è malattia superata, così come ogni positivo è sempre positivo solo come superamento del negativo. Consiste in questo il significato teologico della medicina».

Sotto l'arco di Giano, nel dialogo e nella collaborazione, la teologia può apprendere dalle altre discipline e pratiche la concretezza dei problemi, la varietà dei progetti antropologici, l'instancabile ricerca di senso, ma, essa, da parte sua, può offrire un suo contributo di riflessione e di ispirazione, capace di preservare il progetto antropologico della medicina immune da ogni "riduzionismo", che, in definitiva, si dimostrerebbe lesivo di una vita umana sana e integra.

 

 

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