È in arrivo nelle librerie – da lunedì 20 settembre – il libro Maschilità in questione. Sguardi sulla figura di san Giuseppe, curato da Antonio Autiero, teologo morale dell’Università di Münster (Germania), con Marinella Perroni, biblista e docente presso il Pontificio Ateneo S. Anselmo (Roma). L’opera raccoglie un insieme di firme prestigiose (Daniele Bouchard, Arianna De Simone, Elizabeth E. Green, Andrea Grillo, Adreas Heek, Michela Murgia, Paolo Naso, Cristina Oddone, Giusi Quarenghi, Simona Segoloni Ruta, Silvia Zanconato), grazie alle quali i lettori e le lettrici scopriranno sotto diverse prospettive – storica, biblica, sociologica, teologica, pastorale… – la figura di san Giuseppe, emblema di una maschilità oggi più che mai in questione. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con i curatori del volume; le trovate qui di seguito! Buona lettura – in attesa del libro!
- Quale è stata la scintilla da cui, alla fine dello scorso anno, è scaturita l’idea di questo libro?
PERRONI: Posso parlare proprio di “scintilla”. Ero al telefono con una collega che lamentava l’indizione da parte di Papa Francesco dell’anno di San Giuseppe, e la mia reazione è stata immediata. Non potevo darle torto, ma perché non approfittare invece dell’occasione per affrontare un tema che, almeno in Italia, ancora non ha trovato spazio se non in dibattiti marginali e non ha ricevuto nessuna attenzione da parte del mondo teologico? La maschilità è davvero una quaestio che merita di essere finalmente “disputata”.
- Nell’attuale contesto ecclesiale, che senso ha scomodare sociologia, antropologia, studi di genere, arte e narrativa, per parlare di Giuseppe?
AUTIERO: Sviluppare discorsi di carattere religioso e fare teologia richiedono una scelta di fondo: essa è di metodo, ma tocca anche la sostanza del loro contenuto. Ci si può fermare a riflettere su nozioni interne al sapere religioso oppure si può allargare lo sguardo e riflettere sul contesto, sull’orizzonte, sulla portata e sulla tenuta di un buon discorso teologico. Il libro si mette decisamente in questa seconda lunghezza d’onda. La quale per altro riflette lo stile e l’appello che viene dal Concilio Vaticano II. L’apporto delle scienze umane e sociali veniva riconosciuto dal Concilio come decisivo, sia per situare che per svolgere il discorso teologico. La visione di uomo non è esclusiva del sapere religioso, ma partecipata e condivisa con le altre scienze. Per questo è determinante tenere aperto il compasso e tracciare un perimetro ampio che vive proprio del tenore interdisciplinare, di cui il libro vuole offrire un esempio.
- Nella mente e nel cuore di papa Francesco, che ha inaugurato l’Anno di san Giuseppe, che idee e sentimenti sorgerebbero se sfogliasse queste pagine intriganti? Vi piacerebbe discuterne con lui di persona?
AUTIERO: Mi è capitato una volta, in un incontro molto ristretto, ma intenso per il clima di discussione e per i contenuti affrontati, di vedere come papa Francesco reagisse spontaneo e deciso a osservazioni riguardanti l’etica femminista: “Maggiore importanza alla donna nella chiesa, sì. Femminismo, no” furono le sue parole. Ora al di là di una valutazione sulla posizione assunta, mi va di pensare che ragionando con papa Francesco del fatto che le figure del maschile che girano nella chiesa e nella società di guasti ne hanno prodotti non pochi, si potrà facilmente convenire sul fatto che c’è enorme bisogno di revisione e che lo spunto dell’anno dedicato a San Giuseppe potrebbe essere una bella occasione per farlo in profondità. In fondo anche a lui porterebbe un vantaggio dare un’occhiata a questo libro.
PERRONI: Se l’invito partisse da lui, mi piacerebbe molto. So, però, che sarebbe una discussione anche accesa che metterebbe entrambi in imbarazzo. Senza nulla togliere agli sforzi che Francesco ha fatto per aprire le strutture ecclesiastiche alla partecipazione delle donne, io credo che, finché non si libera il campo dalla paura del fantasma del femminismo, la nostra chiesa non avrà gli estremi per entrare seriamente nel dibattito culturale e teologico di oggi.
- Un’ipotesi distopica: il PC su cui tenete il dattiloscritto del progetto va irrimediabilmente in panne. Se doveste riscriverlo da capo, prima di consegnarlo all’editore, che cosa cambiereste o aggiungereste, ora?
AUTIERO: Pur augurandomi che il mio PC non mi faccia questi brutti scherzi, ma dovendo rimettere mano al libro non potrei farlo senza pensare a quello che sta accadendo in questi ultimi giorni: parlo degli eventi in Afghanistan. C’è un tarlo che mi inquieta e che esprimo qui in modo lapidario: “Non tutti i maschi sono talebani – ma tutti i talebani sono maschi!” Gli eventi che si consumano sotto gli occhi di tutti parlano di modelli di maschilità che tentano di reggere il mondo con quello che si ritiene sia il diritto e la forza: leggi accostate a sapere sacro e armi per spegnere la forza della vita. Questo mi fa pensare a come sia importante rimaneggiare gli ideali di maschilità, dediti alla cura del mondo e non al suo dominio e come sia decisivo costruire modelli del maschile, lontani dalla sopraffazione e sensibili a relazioni che lasciano fiorire ogni fiore. Proprio come questo libro ispira a fare, traendo spunto dal falegname di Nazareth, uomo giusto e non un qualsiasi barbuto vegliardo.
- C’è almeno un episodio curioso del back stage di questo libro che vorreste raccontare ai lettori? Una qualche “dietro le quinte” che ha sorpreso voi stessi?
PERRONI: Il back stage di un libro a cui collaborano dodici persone potrebbe essere pirotecnico ma, in realtà, i rapporti non sono mai stati circolari, ma sempre singolari, tenuti cioè dai curatori con ciascun collega. Una sorpresa per noi curatori però c’è stata: l’entusiasmo con cui tutti hanno condiviso il progetto, lo hanno interpretato e sono stati alle scadenze previste.
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