22/01/2010
154. Martin Lutero e la Chiesa cattolica 2. di Otto Hermann Pesch
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Quanto “cattolico” è Lutero? Quanto “luterana” è oggi la Chiesa cattolica e quanto lo sono i cattolici? In un primo contributo sono stati considerati da questo punto di vista la “Parola di Dio” e i sacramenti. Ora occorre considerare la concezione del ministero.


Tempo fa i cristiani cattolici ritenevano, del tutto naturalmente, che il detentore del ministero, cioè il vescovo e il sacerdote, era il “mediatore” tra Dio e i fedeli, e che la grazia di Dio viene donata a noi mediante i sacramenti in un modo misterioso. Il fatto che anche la parola di Dio a noi rivolta già produca comunione tra Dio e l’uomo veniva celato dall’idea della parola di Dio quale (semplice) informazione, come è stato spiegato nel precedente contributo. La conseguenza era che se il sacerdote – e questo egli lo poteva fare sulla base di un debito giudizio - rifiutava ad un fedele il sacramento lo privava così della grazia di Dio. Da ciò deriva non di rado la falsa idea, diffusa fra gli evangelici fino ad oggi, che secondo la dottrina cattolica ogni forma di grazia è “sacramentale”, cioè mediata esclusivamente dai sacramenti.

Martin Lutero polemizzò già nelle tesi sull’indulgenza contro questa concezione della funzione “mediatrice” di chi detiene un ministero. Come può un essere umano decidere, con un atto ministeriale, a chi Dio faccia giungere la sua grazia e a chi la neghi?! E’ difficile pensare come le chiare affermazioni soprattutto della lettera agli Ebrei, che escludono qualsiasi “mediazione” tra uomo e Dio ad eccezione di quella dell’unico sommo sacerdote Gesù Cristo, siano state tanto rimosse.


Un macigno nel dialogo ecumenico

Poi arrivò il concilio Vaticano II. Sulla base di lavori preparatori nella teologia del tempo che lo ha preceduto, non ultimo sulla base delle profonde convinzioni maturate sul tema “Parola di Dio” e sulla comprensione dei sacramenti, non fu più possibile dire che il ministero ecclesiale si pone “tra” Dio e uomo. Accade così che, secondo le affermazioni del concilio nel decreto sull’ufficio pastorale dei vescovi e nel decreto sul ministero e la vita sacerdotale, per ben due volte quasi con le stesse parole si afferma: i detentori del ministero guidano le loro diocesi o le loro comunità con la predicazione del vangelo e l’amministrazione dei sacramenti - in questa sequenza “totalmente luterana”. Se dunque c’è qualcosa come una “mediazione”, essa consiste letteralmente nella con-divisione del vangelo attraverso la parola e l’evento sacramentale, mediante i quali Dio direttamente opera e rafforza la fede.

E proprio così anche i cristiani cattolici avvertono oggi il servizio dei loro parroci e vescovi. Essi possono ben indignarsi se costoro li trattano in qualche modo autoritariamente e non vengono loro incontro soltanto come segno istituzionale che rinvia a Dio e a Gesù Cristo, specialmente nella celebrazione della liturgia.

Non ci si dovrebbe vantare di nulla. Nel dialogo ecumenico si continua a sentire, quasi come un mantra, il ritornello che la concezione del ministero è la pietra di inciampo decisiva, anzi il macigno del dialogo ecumenico, contro il quale tutti gli altri accordi già raggiunti si infrangono. Se poi si continua a interrogarsi, ci si imbatte nel rimando al fatto che gli evangelici detentori di ministeri non sarebbero però nella “successione apostolica”, cioè nella successione ininterrotta della trasmissione del ministero per via sacramentale a partire dal tempo degli apostoli. Questa trasmissione si sarebbe invece “spezzata” al tempo della Riforma.

Il tema equivale ad un “pasto da elefanti”. Non possiamo qui trattarlo in modo esaustivo. Tuttavia - pur brevemente – possiamo dire questo:

1. In riferimento alla riserva formulata nell’articolo 22 del decreto dell’ultimo concilio sull’ecumenismo, secondo cui alle chiese evangeliche manca il sacramento dell’ordine (defectus ordinis), tale questione è stata discussa, da quarant’anni a questa parte, in tutte le direzioni. Tutti gli argomenti, sia quelli a favore di un consenso sia quelli contro, sono da tempo disponibili.

2. In questo dibattito l’atmosfera, soprattutto da parte cattolica, è carica di incoerenze e di rifiuti mentali.

3. Nel gruppo ecumenico di lavoro, formato da teologi evangelici e cattolici, chiamato all’inizio, dal nome dei vescovi fondatori, “il circolo Jaeger-Stählin”, a partire dal 2002 abbiano trasformato questo tema in un progetto. Da qui sono nati tre volumi (Das kirchliche Amt in apostolischer Nachfolge [Il ministero della Chiesa nella successione apostolica], Freiburg/Göttingen 2004, 2006, 2008). E’ un vero compendio sul tema, da tutti i punti di vista: scienza bibliche, storia della teologia, storia della liturgia e teologia sistematica. Il terzo volume, dopo un resoconto ricapitolativo fondamentalissimo, conclude con un votum, con l’auspicio di elaborare una “Dichiarazione congiunta II” internazionale sul tema “Il ministero della chiesa nella successione apostolica”. E’ evidente il riferimento alla dichiarazione del 1999, sottoscritta dalla Federazione mondiale luterana e dal Vaticano, sulla dottrina della giustificazione, che è stata da poco solennemente ricordata ad Augsburg.

4. Decisivo nel gruppo ecumenico di lavoro è stata l’idea che in nessun caso la “successione apostolica” può consistere, in modo vincolante, in una catena priva di lacune - comunque mai dimostrabile - di imposizioni delle mani dai giorni dei dodici apostoli, bensì nella successione/sequela nella dottrina apostolica.

5. Che noi però siamo rimasti insieme in questa dottrina apostolica, lo abbiamo reciprocamente asserito proprio nella “Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione”. Che cosa dunque ci impedisce un reciproco riconoscimento dei ministeri - al di là di una pigrizia di intelletto e di cuore? La prassi secondo cui sono venuti a configurarsi i ministeri deve qui essere tanto poco uniforme quanto le differenti forme della dottrina della giustificazione non impediscono il consenso di fondo. Necessarie sarebbero al massimo alcune intese reciproche e vincolanti per eliminare eventuali scandali da entrambi le parti.

Non occorre discussione alcuna per constatare che un papato come attualmente esso si presenta, nell’autocomprensione e nella prassi, nel secolo XXI non ha nessuna chance ecumenica. Nella misura in cui tutti gli accordi hanno bisogno alla fine, così come stanno ora le cose, dell’assenso del papa, tutto può e deve necessariamente, alla fin fine, di nuovo scontrarsi nel papato e fallire, se le cose non cambiano. Sia papa Paolo VI sia, dopo di lui, papa Giovanni Paolo II hanno dichiarato con tutta chiarezza di essere consapevoli del fatto che il loro ministero è il maggiore ostacolo per un accordo ecumenico.

D’altra parte, proprio negli ultimi anni l’entusiasmo attorno al papa nel popolo della chiesa cattolica è cresciuto enormemente. Non nel senso che si segua tutto o si trovi giusto tutto ciò che il papa dice; neppure negli incontri mondiali della gioventù, sui quali non si dovrebbero nutrire illusioni di nessun tipo. Ma il papa è la figura di identificazione dell’essere-cattolici – e per ora nessun rappresentante, per quanto altolocato, della cristianità evangelica può qui competere. Per questo i cattolici non possono immaginare una chiesa senza il papa. Che cosa dunque pensare e fare? Restare per sempre fermi alla riserva di Peter Brunner? Il professore di teologia sistematica di Heildelberg aveva detto, negli anni cinquanta, che malgrado tutti i progressi nel movimento ecumenico dal punto di vista evangelico il dogma sulla infallibilità papale è per ora un ostacolo insuperabile.


Passando per Costantinopoli

Sebbene sia qui impossibile affrontare in modo esaustivo anche questo tema tanto complesso nei suoi dettagli, possiamo però fare chiarezza su alcune prospettive del tutto semplici e far crescere la speranza:

1. A differenza del ministero episcopale non c’è, nel Nuovo Testamento, alcun vantaggio vincolante per un ministero petrino, dove l’accento cade su ministero! Il primato del vescovo di Roma, con l’attuale giurisdizione universale e i pieni poteri in fatto di dottrina, è un prodotto della storia e perciò può anche di nuovo cambiare.

2. C’è da chiedersi se questo ministero petrino, formatosi storicamente, abbia compiuto nella chiesa un buon servizio petrino e se possa continuare a compierlo. In questa prospettiva la storia dei papi non è, malgrado tutto, una semplice storia di scandali. Nella vicenda storica e fino ad oggi c’è piuttosto il faro di un servizio petrino ricco di carità.

3. Se si guarda indietro a quanti cambiamenti sono stati introdotti, anche solo nello stile dell’esercizio del ministero dei papi, a partire dalla regale figura spirituale di papa Pio XII, soprattutto da Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, ma anche attualmente da Benedetto XVI, molto si può ancora ritenere possibile. Oggi possono essere avanzate coraggiosamente da cattolici, singoli o in gruppi, richieste di riforma del papato, cosa che sotto Pio XII era ancora impensabile.

4. Cosa assai più importante: le chiese orientali non riconosceranno mai neppure la forma più mite di un primato di giurisdizione del vescovo di Roma. Ciononostante in Vaticano si ritiene possibile trovare con le chiese orientali una nuova comunione ecclesiale – e ciò sulla base della tradizione del primo millennio. Questo però significa che si può stabilire comunione ecclesiale con chiese che rifiutano una dottrina e una prassi che nella chiesa romano-cattolica continua ad avere dignità di un dogma solennemente proclamato. Se ciò è possibile nei confronti delle chiese orientali, un giorno questo deve tornare a vantaggio anche delle chiese della Riforma. Si potrebbe anche dire: nella questione del papa la via conduce a Wittenberg passando per Costantinopoli.

5. Nel frattempo anche da parte evangelica ci sono, da alcuni anni, delle prime voci che si chiedono se non ci possa essere un “ministero dell’unità ecumenica”, un “ministero di portavoce universale” per tutta la cristianità. Naturalmente scoppia subito la protesta: “Mai e poi mai io lascerò che il papa parli per me!” Chiaro, un papa secondo l’immagine che di lui si è avuta finora non può esercitare questo ufficio di portavoce per tutto il mondo cristiano, sebbene il papa, per la sua particolare presenza nei media, è di fatto percepito dal mondo extracristiano già come tale portavoce. Tuttavia chi può sapere per quali strade lo Spirito Santo condurrà noi e il Vaticano? Il sociologo Franz-Xaver Kaufmann si è un giorno così espresso: “La semplice bara in legno di papa Paolo VI in piazza San Pietro dice, sui cambiamenti in atto nella chiesa cattolica, assai più di numerosi documenti dottrinali messi insieme”.


Il nascondimento di Dio

La cosa più importante che i cattolici hanno imparato da Martin Lutero – certamente spesso senza conoscerne la fonte - è la sua visione del Dio nascosto. Lutero aveva detto: se si guarda al corso del mondo si può pensare che Dio non esista oppure che Dio sia il diavolo. Egli lo chiama il “nascondimento di Dio sotto il suo opposto (sub contrario)”. Con questo egli intende il contrario di come gli uomini pensano, con la loro ragione, che Dio dovrebbe essere; ossia colui che dirige sovranamente la storia del mondo e che perciò è riconoscibile nella sua creazione.

Martin Lutero ha così anticipato una esperienza tutta moderna: l’esperienza della “assenza” di Dio negli accadimenti del mondo, i quali si svolgono secondo leggi proprie. Per il cristiano Lutero questa “assenza” di Dio non è infatti solamente una esperienza, ma la conseguenza della sua teologia della croce. Sulla croce del Figlio Dio ha nascosto la sua potenza sotto il contrario: nella impotenza del crocifisso. Da allora è in certo qual modo normale che noi non riconosciamo Dio senza problemi dalle opere della creazione. Attraverso la croce egli ha reso evidente dove noi lo dobbiamo e possiamo trovare; proprio in ciò che sembra contraddirlo: nella croce e perciò anche nella sofferenza, nelle esperienze negative della vita.

Forse oggi non colleghiamo così direttamente l’esperienza del radicale nascondimento con la croce. Ma il fatto che Lutero qui abbia anticipato una esperienza del tutto moderna, su ciò non c’è dubbio alcuno. E ciò ha una conseguenza molto significativa per la fede. Questa conseguenza sperimentano a loro volta anche tutti i cattolici: la fede è sempre contrastata, resa insicura, sempre accerchiata da problemi e interrogativi. Tempi addietro lo si chiamava il “dubbio di fede”, e i cattolici erano sollecitati proprio a riflettere, a studiare, a prendere consiglio - allora le persone ragionevoli e desiderose di credere avrebbero superato il dubbio. Da Martin Lutero in poi – e nel frattempo di nuovo anche senza Lutero – sappiamo che il conflitto interiore e il dubbio appartengono fondamentalmente e strutturalmente alla fede. I cristiani non devono – come avveniva prima - ritenersi già mezzo increduli se si pongono degli interrogativi, anzi se di certe affermazioni di fede probabilmente non vengono a capo per tutta la vita. A noi si addice una opportuna variazione della famosa formula di Lutero, secondo la quale il cristiano è simul iustus et peccator, cioè i cristiani sono “allo stesso tempo giusti e peccatori”, allo stesso tempo “credenti e increduli”.


Sul tema:



Otto Hermann Pesch
Martin Lutero. Introduzione storica e teologica
Biblioteca di teologia contemporanea, 135










© 2010 by Otto Hermann Pesch
© 2010 by Christ in der Gegenwart (Verlag Herder, Freiburg i.B.)
© 2010 by Teologi@Internet
Traduzione dal tedesco di Gianni Francesconi
Forum teologico, a cura di Rosino Gibellini
Editrice Queriniana, Brescia (UE)"
Teologi@Internet: giornale telematico fondato da Rosino Gibellini