15/05/2025
583. LEONE XIV, IN CAMMINO PER UN CRISTIANESIMO LIBERATORE di Juan José Tamayo
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In questo articolo, apparso nei giorni scorsi su religiondigital.org, il teologo della liberazione Juan José Tamayo, segretario generale dell’Associazione di teologi e teologhe Giovanni XXIII, commenta a caldo l’elezione al soglio pontificio del cardinale Prevost, che egli conosce bene per la comune esperienza in Perù. Tamayo formula tre auspici per questo pontificato, all’insegna della difesa dei diritti delle masse, dell’uguaglianza di genere e di una Chiesa veramente sinodale.



 

Il cardinale statunitense Prevost, eletto papa con il nome di Leone XIV, mi è parsa un’ottima scelta. Il nome che si è imposto offre il primo indizio di una delle possibili priorità del suo pontificato: la difesa dei diritti dei lavoratori. Leone XIII fu il papa della Rerum novarum (1891), enciclica che diede origine alla dottrina sociale della Chiesa, proseguita dai suoi successori con documenti di grande importanza come l'Octogessima adveniens, del 1971, di papa Paolo VI, la Laborem exercens e la Centessimus annus, di Giovanni Paolo II, e La gioia del Vangelo, del 2013, di papa Francesco, senza dubbio la più rivoluzionaria di tutte, in cui si afferma che il neoliberismo è ingiusto per sua stessa natura. Mi piacerebbe che il nuovo pontefice seguisse l'orientamento sociale di Francesco e continuasse a condannare il neoliberismo, che il vescovo e teopoeta della liberazione Pedro Casaldáliga considerava «la grande blasfemia del XXI secolo».

Negli ultimi venticinque anni sono stato spesso in Perù e ho così seguito da vicino la carriera dell'agostiniano Robert Prevost come missionario e vescovo della diocesi peruviana di Cliclayo. Nutro la massima stima per la sua attività teologica e pastorale, condivisa con colleghi teologi, teologhe e vescovi amici peruviani. Il Perù è stato il paese latinoamericano in cui ha preso avvio la teologia della liberazione. Prevost ha avuto l'opportunità di conoscere e seguire lo sviluppo della teologia della liberazione proprio nel paese in cui è nata sotto la guida del teologo peruviano Gustavo Gutiérrez.

Se c'è qualcosa che caratterizza il suo percorso di vita e religioso è stato il trovarsi nel Sud del mondo, dove ha vissuto per diversi decenni. Spero che tale collocazione contribuisca a far sì che durante il suo pontificato Leone XIV rivolga lo sguardo preferibilmente verso i luoghi in cui la povertà, la fame e l'ingiustizia strutturale colpiscono con particolare durezza la maggioranza della popolazione, e che percorra la via di un cristianesimo liberatore, già avviatosi in America Latina a metà degli anni Sessanta del secolo scorso. Confido che la mia speranza non venga delusa.

Negli ultimi anni p. Robert Prevost è stato uno stretto collaboratore di Papa Francesco, che lo ha nominato vescovo e cardinale, gli ha affidato la presidenza di uno dei dicasteri più importanti della Curia vaticana, quello per la nomina dei vescovi, e lo ha posto a capo della Commissione per l'America Latina. Mi sembra importante sottolineare che l'eredità del papa argentino Francesco passa ora nelle mani del papa di nazionalità peruviana Leone XIV, entrambi latinoamericani. Una continuità geografica che spero si traduca in continuità ecclesiale e di politica liberatrice.

In questo momento vorrei offrire, di getto, al nuovo papa alcuni suggerimenti affinché il suo pontificato sia storicamente significativo e possa rispondere alle grandi sfide del cambiamento epocale che stiamo vivendo. In realtà, si tratta piuttosto di desideri che credo coincidano con quelli di un'importante fetta di cristiani e cristiane di base, congregazioni religiose, teologhe e teologi che percorrono la via della liberazione del XXI secolo. Il primo è il desiderio che continui il pensiero politico, economico, sociale ed ecologico di papa Francesco, esposto nelle sue encicliche La gioia del Vangelo, Laudato si'. Sulla cura della Casa Comune e Fratelli tutti. L'orizzonte in tutte queste encicliche è la difesa del bene comune, la denuncia della globalizzazione dell'indifferenza di fronte alla sofferenza delle masse popolari impoverite e l'idolatria del denaro. Leone XIV sa bene che il pensiero e la pratica di Francesco su questo tema sono in piena sintonia con il Vangelo di Gesù di Nazareth, che dichiara l'incompatibilità tra il servizio a Dio e il servizio al denaro.

Il secondo desiderio, che vorrei si realizzasse, è la democratizzazione della Chiesa, che papa Francesco non è riuscito a portare a termine, nonostante la sua critica al clericalismo e la difesa della sinodalità. La Chiesa cattolica continua ad avere una struttura gerarchica, piramidale, patriarcale e clericale. In essa tutto il potere è detenuto dal papa, dai vescovi e dai sacerdoti. In questo campo credo che essa viva in una chiara contraddizione. Difende i diritti umani e la democrazia nella società, ma non li pratica al suo interno. È necessario che Leone XIV crei canali di partecipazione dei cristiani e delle cristiane alle decisioni più importanti della vita della Chiesa e all'elezione delle sue cariche più importanti. La democratizzazione al suo interno è una condizione necessaria affinché il suo messaggio sia credibile e affinché non si realizzi il proverbio spagnolo, “consigli ne do a tutti, ma per me non ne ho”.

Il mio terzo desiderio è che la democratizzazione avvenga da una prospettiva di genere. La gerarchia cattolica, compreso il Vaticano, è oggi uno dei bastioni più efficaci a difesa del patriarcato. In questo campo, papa Francesco ha fatto alcuni passi avanti, assegnando alle donne incarichi di responsabilità all'interno della Curia vaticana. Ma non è sufficiente. È necessario che la riforma della Chiesa si realizzi secondo due principi, quello dell'uguaglianza e quello della parità, entrambi fondati su basi antropologiche ed evangeliche. La base antropologica sono la pari dignità e gli stessi diritti e doveri di tutti gli esseri umani senza discriminazione di genere. La base evangelica è il movimento egualitario di uomini e donne avviato da Gesù di Nazareth. Se la Chiesa non si democratizza dal punto di vista del genere, porterà il marchio del patriarcato, che è in aperta contraddizione con la democrazia.






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