16/09/2011
199. LE VIE DELLA MISSIONE CRISTIANA OGGI di Stephen Bevans (Chicago, USA)
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Il missiologo nordamericano della Catholic Theological Union di Chicago, Stephen Bevans, autore di Teologia per la missione oggi (New York 2004), pubblicata in edizione italiana dall’Editrice Queriniana in “Biblioteca di teologica contemporanea” (BTC 148, 2010) ha guidato un seminario di studio presso l’accogliente Casa Natale di san Daniele Comboni a Limone sul Garda (Brescia), promosso dalla rivista Ad Gentes della Conferenza degli Istituti esclusivamente Missionari presenti in Italia (CIMI), sul tema “Lo Spirito Santo e la missione oggi”. Proponiamo il testo della relazione di Bevans.



Introduzione

Sono stato incaricato di offrire una prospettiva fenomenologica e missionologica sul tema «Spirito Santo e Missione». Spero che questo contributo sia veramente fenomenologico e missionologico, ma penso che debba essere anche profondamente teologico. 

Pertanto, questo contributo si baserà su due affermazioni teologiche sullo  Spirito Santo e sul suo ruolo nella missione di Dio condivisa dalla Chiesa. La prima è di papa Paolo VI nella Evangelii nuntiandi, ripetuta da papa Giovanni Paolo II nella Redemptoris missio: lo Spirito Santo è l’«agente principale» dell’evangelizzazione-missione. La seconda affermazione è di Rowan Williams, arcivescovo di Canterbury: la missione è «scoprire dove opera lo Spirito Santo e unirsi alla sua azione». Entrambe le affermazioni sono strettamente collegate all’idea che la missione è prima di tutto la missio Dei, con l’ulteriore sfumatura che essa riceve il suo slancio dalla missio Spiritus. La missione di Dio è svolta dallo Spirito, inviato dal primo momento della creazione dal Padre; si concretizza nella missione del Figlio, Gesù di Nazaret, nella «pienezza dei tempi» (Gal 4,4) ed è «affidata a noi» (2Cor 5,19). 

Il presente contributo si basa su una terza affermazione teologica, dalla Redemptoris missio – benché compaia anche in documenti precedenti –. Parlando delle varie «vie della missione», Giovanni Paolo descrive la missione come «una realtà unitaria, ma complessa». Nel mio lavoro insieme ai colleghi E. Doidge e R. Schroeder, ho interpretato questo poliedrico significato della missione nei termini di sei elementi base. Bisogna tenere presente che la missione non può essere ridotta a uno qualunque di essi, e tuttavia ciascuno è costitutivo della missione stessa. Questi elementi sono: (1) Testimonianza e annuncio; (2) Liturgia, preghiera e contemplazione; (3) Giustizia, pace e integrità del creato; (4) Dialogo interreligioso e con la società laica; (5) Inculturazione; (6) Riconciliazione. 

Poiché devo offrire una riflessione fenomenologica e missionologica sul modo in cui è vissuta oggi la missione, alla luce dell’azione e della presenza dello Spirito Santo, questi sei elementi possono fornire un buon quadro di riferimento intorno al quale organizzare le idee. La missione di Dio attraverso la presenza misteriosa e dinamica dello Spirito, concretizzata in Gesù e condivisa dalla Chiesa, avviene attraverso questi sei elementi. Quanto segue, dunque, è una serie di riflessioni su come lo Spirito Santo opera e si manifesta in ciascuno di tali elementi, e su come questa azione venga esperita e riceva risposte in varie parti del nostro mondo di oggi. 

Il mio scopo non è quello di essere esaustivo, bensì di offrire spunti e orientamenti particolari ai partecipanti a questo seminario, affinché possano individuare vari percorsi di studio. Spero che la successiva discussione aggiungerà nuove esperienze ed esempi ai pochi che posso presentare ora.


Testimonianza e annuncio

Il giornalista statunitense John Allen scrive che «le future storie del cristianesimo probabilmente presenteranno la fine del ventesimo secolo come l’“era dell’esplosione pentecostale”». 

È risaputo che il pentecostalismo è il movimento religioso che cresce più velocemente nel mondo d’oggi. È cresciuto da meno del 6% negli anni Settanta del Novecento a circa il 20% nel primo decennio del XXI secolo. Secondo il documento scritto dai teologi asiatici nel 1997 sullo Spirito Santo, il movimento carismatico nelle Filippine coinvolge circa il 30% della popolazione, cioè 51 milioni di persone. E questo ormai quindici anni fa! Il pentecostale malaysiano-americano Amos Yong ha descritto la fioritura del pentecostalismo in Guatemala, Cile, Corea, India, Zimbabwe e Sudafrica. 

Allen fornisce molte plausibili ragioni sociologiche di questa crescita fenomenale, ma afferma che, dal punto di vista dei pentecostali e dei carismatici, la ragione è lo Spirito Santo. Mi sembra chiaro che la vitalità tanto evidente nelle comunità pentecostali e carismatiche è una prova dell’opera dello Spirito. Queste comunità testimoniano ciò che la fede in Cristo può essere: sono gioiose, offrono una buona assistenza pastorale, leggono e studiano la Bibbia insieme, manifestano un senso di responsabilizzazione (empowerment) del laicato e una crescita del ruolo delle donne nella chiesa. In India un sondaggio sul perché le persone sono attratte dalle chiese pentecostali ha concluso che esse vogliono integrarsi in una comunità calda e accogliente e desiderano una maggiore cura pastorale per sostenere la loro vita spirituale. Lo Spirito opera per fare della comunità ecclesiale un testimone della potenza del vangelo. Molto spesso è la forza di attrazione di questa testimonianza a persuadere i cattolici a entrare nelle chiese pentecostali, come è stato notato dalla Conferenza di Aparecida (Brasile) nel 2007. I cattolici farebbero bene a unirsi all’opera dello Spirito Santo e a far sì che le loro comunità siano vivaci quanto le pentecostali. 

Allen inizia il suo rapporto sul pentecostalismo con un ritratto di Oscar Osorio, honduregno, predicatore laico cattolico carismatico e televangelista. Osorio era originariamente un avventista del Settimo giorno, ma si è sposato con una cattolica e in seguito ha partecipato a un ritiro che lo ha portato a una conversione profonda. Oggi è un ardente evangelizzatore. Predicare il vangelo, dice, è «una cosa che noi laici dobbiamo fare ... Non possiamo starcene seduti ad aspettare di essere guidati. Dobbiamo volerlo, sentirlo, bruciare dalla voglia di evangelizzare». 

Una dedizione così appassionata all’annuncio del vangelo è rara al di fuori dei circoli pentecostali o evangelici, eppure è stata invocata da Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI; quest’ultimo ha istituito il Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione. Tutti questi papi invocano la Potenza dello Spirito, il Solo che rende i cristiani capaci di proclamare il vangelo. Anche la Conferenza di Aparecida ha affermato che quando una persona è toccata dallo Spirito, è spinta ad annunciare la propria fede ad altri: «La vita nello Spirito non ci rinchiude in un’intimità raccolta, bensì ci rende persone generose e creative, felici di annunciare il vangelo e svolgere il servizio missionario».


Liturgia, preghiera e contemplazione

Liturgia, preghiera e contemplazione non vengono considerate immediatamente elementi della missione. Se ne riconosce certamente l’importanza, ma sono viste più come azioni per il bene della Chiesa che come azioni della Chiesa verso l’esterno. Tuttavia, da parecchi anni il pensiero missionologico le vede come contributi preziosi all’azione missionaria in quanto tale, e la riflessione su questi temi costituisce l’avanguardia del pensiero missionologico. Liturgia, preghiera e contemplazione sono atti missionari, modi per unirsi all’opera dello Spirito. 

Diversi anni fa un missionario di Papua Nuova Guinea mi disse che è quasi impossibile svolgere un’azione missionaria efficace in quel paese senza essere in qualche modo carismatici; per molti versi questo è vero anche in molte altre parti dell’Asia (per es. nelle Filippine, in Corea), nell’America Latina e in Africa. Recentemente ho dettato un ritiro per missionari verbiti che operano nei Caraibi e la loro testimonianza era molto simile. La gente in questi paesi vuole liturgie vivaci, belle, gioiose, dinamiche, piene di Spirito e di preghiere. Vogliono meno preghiere formali e prestabilite e più invocazioni spontanee. Forse con queste richieste lo Spirito Santo ci dice che abbiamo bisogno di essere più vivi quando celebriamo la liturgia; che la nostra musica deve essere più adeguata alle culture locali e deve avere una maggiore base biblica; che le nostre preghiere devono essere più sincere e più libere. 

I teologi della FABC [Federazione asiatica delle Conferenze episcopali] elencano molti «segni della presenza dello Spirito» nelle comunità cristiane di base della Chiesa asiatica di oggi, e alcuni di essi riflettono l’importanza della liturgia, della preghiera e della contemplazione. In primo luogo c’è «come una sete di preghiera, sia personale che comunitaria», e i fedeli hanno un senso della contemplazione che li guida «ad atti concreti di servizio all’umanità». Secondariamente, c’è «un’autentica fame della parola di Dio». La gente dell’Asia vuole ascoltare la parola di Dio, rifletterci sopra personalmente e in comunità, e «applicarla alla propria vita». In terzo luogo, i cristiani asiatici hanno un amore per l’eucaristia che porta alla piena partecipazione di tutti i membri della comunità. E «quando il pane eucaristico è condiviso, essi si sentono rafforzati nella solidarietà, nella loro attenzione e cura reciproca». 

Paolo parla dello Spirito Santo come della fonte della nostra preghiera, attraverso la quale gridiamo nei nostri cuori «Abba» (Rom 8,15). I cristiani devono lasciare che lo Spirito li guidi a pregare per il mondo. La preghiera non è solo per se stessi, ma anche e forse soprattutto per i bisogni degli altri. Noi preghiamo per vari popoli nel mondo, per la chiesa in tutta la terra, per la pace globale, per la fine della povertà e della discriminazione, per la riconciliazione, per uno spirito di dialogo tra i popoli, per i cristiani perseguitati. Preghiamo anche, mossi dallo Spirito, per situazioni particolari nel mondo: per le vittime dei terremoti ad Haiti e in Giappone, per la libertà politica dei popoli del Medio Oriente, per i rifugiati in Italia e nel resto d’Europa. La preghiera nello Spirito è un atto missionario. 

Il biblista britannico James Dunn ha mostrato, come sostiene il teologo britannico Kirsteen Kim, che «se la missione è intesa come missio Dei, allora andare in missione equivale a partecipare alla missione di Dio svolta dallo Spirito (Rom 8,14-17). Se questo è vero, allora il primo atto missionario è il discernimento, per scoprire il modo in cui lo Spirito si sta muovendo nel mondo, per unirsi a quel movimento». La condizione per operare un simile discernimento è il senso della contemplazione, la capacità di essere attenti, aperti, percettivi. Solo coltivando questo atteggiamento si può riconoscere l’azione dello Spirito nella propria vita e nel mondo. La contemplazione, quindi, come la preghiera, è un atto missionario.


Giustizia, pace e integrità del creato

Il teologo della liberazione José Comblin descrive eloquentemente lo Spirito Santo come il Dios Liberador che è presente nel tessuto della storia e chiama le persone ad agire per la liberazione e la giustizia. Comblin cita il documento della Conferenza dei vescovi latinoamericani svoltasi a Puebla, Messico, nel 1979, da cui risulta che «il rinnovamento degli esseri umani, e conseguentemente della società, dipenderà prima di tutto dall’azione dello Spirito Santo». Lo Spirito è la forza e  l’energia che è presente nelle persone ordinarie, nei cuori di leader carismatici che organizzano uomini e donne per azioni di giustizia, nelle comunità che educano e ispirano le persone a muoversi nella direzione della liberazione. «I cristiani latinoamericani», scrive Comblin, «riconoscono il Dio della liberazione e sentono che questo Dio è presente in mezzo a loro e agisce nelle loro azioni e nei loro impegni». Questo è lo Spirito Santo, dice Comblin, «che sia conosciuto con il suo nome oppure no». Similmente i teologi asiatici parlano dello Spirito come del «Potere dei senza potere». La presenza dello Spirito nelle Chiese asiatiche, scrivono, «sarà visto nel fatto che diventiamo realmente chiese dei poveri, infondendo nelle masse in lotta la speranza di una maggiore umanità e di una maggiore pienezza di vita». Le opere di giustizia sono ispirate e guidate dallo Spirito. Si tratta veramente di discernere dove opera lo Spirito e unirsi alla sua azione.

La teologa femminista statunitense Elizabeth Johnson afferma in maniera convincente che tanto l’emarginazione delle donne nella chiesa e nella società, quanto lo sfruttamento indiscriminato della terra sono «intrinsecamente legati all’oblio dello Spirito creatore che pervade il mondo nella danza della vita». Sia il cattivo trattamento riservato alle donne, sia quello riservato alla terra si basano sulla visione di un Dio essenzialmente monarchico, che è esterno rispetto agli esseri umani e al mondo, e li domina. Il riconoscimento del potere creativo dello Spirito Santo, tuttavia, indica che nel mondo è all’opera un tipo differente di potere. Lo Spirito è la potenza di Dio immanente nei processi della storia, costantemente operante con il potere di Dio in Cristo nella creazione del mondo; e chiama l’umanità, in particolare, a partecipare a quella creazione. Inoltre, come scrive il teologo australiano Denis Edwards, lo Spirito non solo soffia nei cuori degli esseri umani, ma è «l’amore che circonda e sostiene gli innumerevoli insetti, animali e alberi che condividono la vita esuberante di una foresta pluviale; l’amore che è all’opera nella natura misteriosa e inimmaginabile della realtà dei quanti e nelle fornaci nucleari che fanno splendere le stelle». La creazione è il primo atto di Dio in missione – nello Spirito e attraverso la Parola – e così la partecipazione umana alla creazione è partecipazione alla missione. Lavorare in particolare per proteggere la creazione di Dio, per restaurarla e riconciliarla attraverso l’impegno nell’ecologia e nell’ecogiustizia è quindi uno speciale partenariato con lo Spirito nella missione dell’atto continuativo della creazione.


Dialogo interreligioso e con la società laica

L’insegnamento della Chiesa pone coerentemente in rilievo che lo Spirito diffonde i «semi del Verbo» nelle culture del mondo, e ispira tutti «gli sforzi dell’attività umana tesi alla verità, al bene, a Dio». Nelle varie religioni del mondo è possibile discernere raggi della Verità che è pienamente rivelata in Cristo. La Chiesa riconosce che chiunque segue sinceramente i dettami della coscienza può ricevere la salvezza. Infatti, lo Spirito Santo dà a tutti «la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale».

È il riconoscimento dell’attività dello Spirito nelle religioni del mondo, e persino tra sinceri non credenti, a spingere i cristiani a cooperare con lo Spirito nelle varie forme di dialogo: di vita, di azione, di scambio teologico, di esperienze spirituali. Questo dialogo fa parte della missione evangelizzatrice della Chiesa. 

La FABC conduce un’ampia riflessione sulla presenza dello Spirito nelle religioni asiatiche, incluse le cosiddette religioni primitive (primal religions), e definisce il dialogo «il lavoro dello Spirito». Questi teologi asiatici fanno un importante collegamento con l’elemento contemplativo quando affermano che «è lo Spirito che guida [le persone che partecipano al dialogo] a discernere il volto di Dio e a contemplare il Suo splendore nell’altro». Collaborare con lo Spirito richiede apertura, umiltà, pazienza, ma anche il coraggio di proclamare la propria fede cristiana quando se ne presenta l’opportunità. 

I vescovi latinoamericani sostengono con molta convinzione l’importanza del dialogo ecumenico e interreligioso nel documento finale della Conferenza di Aparecida. La grazia di Dio, scrivono i vescovi, entra nel mondo attraverso il soffio dello Spirito Santo, e «spiegare e promuovere questa salvezza già all’opera nel mondo è uno dei compiti della chiesa riguardo alle parole del Signore: "Sarete miei testimoni ... fino ai confini della terra" (At 1,8). L’Instrumentum laboris del Sinodo per l’Africa del 1993 parla della presenza dello Spirito tra le religioni di tutti i popoli e pone la ricerca di quella presenza nelle altre religioni come parte integrante della missione della Chiesa. «Alla Chiesa», dichiara, «in quanto ’sacramento universale di salvezza’, è stato affidato il ministero dell’unità ed essa ha il dovere di proseguire il ’dialogo della salvezza’ con tutti gli uomini. Essa è chiamata a continuare a scoprire e riconoscere i segni della presenza e dell’opera di Cristo nella storia, e a cooperare con tutti gli uomini e le donne di buona volontà per la salvezza e il benessere di tutti».


Inculturazione

Come hanno affermato i teologi della FABC, «lo Spirito ci unisce in maniera meravigliosa a tutti coloro che hanno lasciato l’impronta indelebile dei loro spiriti, cuori e menti, in forme innumerevoli, nelle nostre culture e tradizioni». È questo legame con la cultura e la tradizione, dicono i vescovi latinoamericani ad Aparecida, a rendere possibile l’inculturazione, specialmente in quanto tale inculturazione si rivela nella religiosità popolare latinoamericana. Dobbiamo «valutare positivamente ciò che lo Spirito Santo ha già seminato», e così quando parliamo dell’inculturazione che purifica e perfeziona la fede in un determinato contesto o cultura, riconosciamo che non partiamo da un’assenza dello Spirito, ma dalla sua costante presenza nella storia e nella cultura. La teologia aborigena australiana afferma questa presenza, come anche la teologia coreana di Tong-Shik Ryu. È nel discernimento dello Spirito nelle culture e nei contesti locali che si trova la «stoffa» per realizzare un’autentica inculturazione del vangelo. 

Lo Spirito non è mai uno spirito di uniformità, ma opera sempre per l’unità nella pluralità. La pluralità non è semplicemente un dato provvisorio, una tappa sul percorso verso una sola teologia «universale». La pluralità stessa è opera dello Spirito, deve essere riconosciuta in quanto tale e celebrata dalla Chiesa in missione. Quando i vescovi asiatici invocano un «pluralismo ricettivo», intendono che «i molti modi di rispondere ai suggerimenti dello Spirito Santo devono mantenersi in continuo colloquio tra loro». Il dialogo, quindi, non è solo un’attività da svolgere con le altre religioni, ma anche con le varie culture e contesti nelle nazioni asiatiche e all’interno di tutta l’Asia. In questo modo potranno emergere varie teologie particolari, così come una teologia asiatica distinta. 

Lo Spirito non pone solamente la base per l’inculturazione, ma guida anche il processo. Non c’è dubbio che il processo dell’inculturazione è rischioso. Esiste sempre il pericolo di cadere in qualche sincretismo inappropriato. Proprio per questo il bisogno di discernere l’azione dello Spirito è tanto importante per coloro che operano nel processo dell’inculturazione. Dei cinque criteri presentati dal teologo nordamericano Robert Schreiter per verificare la genuinità di una teologia locale, sembra che gli ultimi due – la disponibilità alla correzione da parte di altre teologie locali e la forza, da parte di una simile espressione locale, di correggere gli altri – siano particolarmente rilevanti per il nostro discorso. Entrambi i criteri mettono in evidenza il ricco pluralismo che lo Spirito diffonde tra le culture e le situazioni del mondo. Il pluralismo creato dallo Spirito diventa così un criterio di autenticità per una teologia.


Riconciliazione

Nei suoi numerosi scritti sulla missione come riconciliazione, R. Schreiter insiste particolarmente su due elementi del processo di riconciliazione. Prima di tutto, dice, la riconciliazione è possibile solo perché è Dio a prendere l’iniziativa, a offrire a una particolare vittima o gruppo di vittime la comprensione e il coraggio di perdonare la violenza che è stata commessa contro di loro. In secondo luogo, Schreiter mostra che la riconciliazione non ripristina lo stato di cose che c’era prima, lo status qua ante; piuttosto, trasporta sia la vittima che il reo della violenza in un luogo nuovo, una situazione nuova creata dalla grazia. Schreiter parla in termini generali di «Dio» quale agente di questa opera di riconciliazione, ma sarebbe più appropriato dire che questa è opera dello Spirito Santo, soprattutto perché la guarigione, la riconciliazione e la novità sorprendente sono sempre segni della sua azione: «Emitte Spiritum tuum, et creabuntur, et renovabis faciem terrae». 

L’opera dello Spirito nella riconciliazione è stata sottolineata in particolare dal convegno della Commissione sulla missione e l’evangelizzazione, che si è svolto ad Atene nel 2005 e aveva per titolo «Vieni, Santo Spirito, guarisci e riconcilia». Al convegno parteciparono donne e uomini di tutto il mondo, con una partecipazione speciale di pentecostali e ortodossi. In un documento scritto dopo la conferenza leggiamo: «Guardiamo allo Spirito Santo, che nella Bibbia è messo in relazione con la comunione (2Cor 13,13), perché guidi noi e tutta la creazione nell’integrità e nella pienezza verso la riconciliazione con Dio e gli uni con gli altri». 

Nel mondo violento di oggi la riconciliazione va cercata a vari livelli, ed è chiaramente una priorità della missione evangelizzatrice della Chiesa, perché la possibilità di riconciliarsi è davvero una buona notizia, spesso sorprendente. Lo Spirito può operare a livello individuale riconciliando mariti e mogli, o figli vittime di abusi e i loro genitori. Può anche operare a livello politico, portando la riconciliazione alle vittime di tortura o genocidio in paesi come il Sudafrica, l’Argentina o il Ruanda; o tra nazioni che si sono divise, come in passato la Germania o ancora oggi la Corea, separata tra Nord e Sud. Lo Spirito può operare anche a livello culturale, riconciliando i nativi americani nel Nord America, o gli aborigeni Maori in Nuova Zelanda. Infine, la missione può includere l’opera dello Spirito all’interno della Chiesa stessa, riconciliando le donne, che nel passato sono state sottovalutate, o le vittime di abusi sessuali in paesi come gli Stati Uniti, il Belgio e l’Irlanda. 

Kirsteen Kim immagina lo Spirito all’opera nella riconciliazione come «una colomba colorata e forte». Spesso la colomba come rappresentazione dello Spirito diventa un’immagine sviante, che ricorda «il tacchino ingrassato del consumismo» o «l’aquila dell’impero». Perché la colomba sia una vera rappresentazione dello Spirito, dobbiamo riconoscere che la riconciliazione «ha luogo sotto le ali del dinamico e vigoroso Spirito di Dio, che aleggiava sulle acque per dare alla luce la creazione, e si libra in volo ancora oggi». Lo Spirito guida l’umanità nella vera lotta per la riconciliazione, che richiede forza e coraggio, e che unifica l’umanità in tutta la sua colorata varietà. La partecipazione a questa opera dello Spirito è il compito della missione oggi.


Conclusione

Lo Spirito Santo è il «principio agente della missione». La missione non è altro che «scoprire dove opera lo Spirito e unirsi alla sua azione». Queste due affermazioni dei vescovi di Roma e di un arcivescovo di Canterbury sono state i due princìpi che hanno operato in questo contributo, in dialogo con una terza: la missione è «una realtà unitaria, ma complessa». Nei limiti che mi sono stati assegnati, spero di aver delineato come è la missione, e come deve essere svolta nel mondo di oggi, in collaborazione con lo Spirito di Dio. Spero anche che il successivo dibattito ci aiuterà a cogliere le ricchezze a cui questo contributo ha solamente accennato.



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Forum teologico diretto da Rosino Gibellini
Editrice Queriniana, Brescia (UE)




    Stephen B. Bevans, Roger P. Schroeder
    Teologia per la missione oggi
    Costanti nel contesto
   
    Biblioteca di teologia contemporanea 148
    Queriniana, Brescia 2010.








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