Cinquant’anni fa, nel giorno di Pentecoste, Jürgen Moltmann firmava questo testo che apre il suo libro La chiesa nella forza dello Spirito. Un libro che non è solo una ecclesiologia, ma nell’intenzione del suo autore anche una pneumatologia, che va a concludere la “trilogia della speranza” (Teologia della speranza; Il Dio crocifisso; e La chiesa nella forza dello Spirito). Un libro che, a cinquant’anni di distanza e a un anno dalla scomparsa del suo autore, rimane attuale: ci parla di crisi, e del modo corretto di porvisi davanti come chiesa.

Questo libro, dal titolo La chiesa nella forza dello Spirito, vuol servire a un orientamento in campo ecclesiale. I rapidi mutamenti nella sfera dei rapporti esterni, i progressi rivoluzionari operati dalla scienza e dalla tecnica, ma anche i pericoli sempre più gravi che derivano dai conflitti di tipo sociale, militare ed ecologico, hanno fatto sorgere in larghi strati della nostra società la sensazione di un’insicurezza generale. Non per nulla tutti si sentono ai nostri giorni profondamente “inquieti”. Il discorso della crisi è sulle labbra di tutti, si tratti della crisi petrolifera o di crisi morali. La labilità aumenta, sia all’interno che all’esterno. I sistemi politici, economici, etici e religiosi sono più vulnerabili di quanto molti pensassero. Cresce dunque, in tutti i settori, anche il bisogno di sicurezza. Nemmeno le chiese vengono risparmiate da questa inquietudine diffusa. I suoi membri s’interrogano criticamente sul senso della liturgia e, non senza scetticismo, sul senso delle riforme che si attuano in questo campo. I parroci, i responsabili del governo ecclesiastico e i Sinodi discutono delle crisi che osservano e di quelle che in prima persona vivono. Anche da queste sfere s’ascolta l’appello ad una maggior sicurezza, ad una stabilità religiosa.
La crisi come occasione di rinnovamento
Ogni crisi impone degli orientamenti nuovi. Gli stessi interrogativi di fondo esigono nuove risposte: da dove vieni? dove vai? chi sei? Ogni crisi, infatti, pone in questione le risposte che si erano date nel passato e che ci erano diventate ormai familiari. Ma ogni crisi ci offre pure la singolare chance di dare una risposta nuova, appropriata e valida, una risposta per la quale valga la pena vivere e morire. Colui che si limita a parlare di “crisi”, ma non riesce ad intravedere questa possibilità, parla per paura e dimostra di non possedere alcuna speranza. Colui che vuol sfruttare soltanto delle nuove “possibilità”, senza tener conto della crisi che coinvolge le risposte date in passato, si muove nel campo delle illusioni. La chiesa non avrebbe alcuna speranza nel caso in cui si limitasse a condividere l’inquietudine generale,magari traducendola nella sensazione che il mondo volga ormai al termine. La chiesa non possiederebbe alcuna tradizione nel caso in cui si limitasse a rincorrere delle nuove possibilità. Nelle crisi che coinvolgono la sua tradizione e nelle possibilità che si aprono alla sua speranza, la chiesa si orienterà verso il proprio fondamento, al proprio futuro e al proprio compito.
Una chiesa che venga attaccata nelle sue tradizioni deve richiamarsi radicalmente al proprio fondamento ultimo. Con maggior decisione che in passato essa si orienterà verso Gesù, verso la sua storia, la sua presenza e il suo futuro. In quanto “chiesa di Gesù Cristo” essa è riferita sostanzialmente a lui, e a lui soltanto. Ciò che essa è e ciò in cui essa trova la propria consistenza le deriva da lui, quali che siano le sicurezze o insicurezze che il tempo le riserva. Avremo quindi sempre presente il problema del rapporto Cristo-chiesa, che verrà evoluto più in dettaglio nella Parte III. Per una chiesa che si qualifica con il nome di Cristo, questo orientamento deve emergere in primo piano.
Verso il futuro: una Chiesa della speranza nel regno di Dio
Quando la chiesa non scorge più chiaramente i lineamenti del proprio futuro, e il suo rapporto con Israele, le altre religioni e la politica statale, economica e culturale della società diventa problematico, si progetterà, e in modo non meno radicale, secondo quel futuro che per lei è certezza, poiché è il futuro di Cristo il quale l’ha chiamata all’esistenza: il regno di Dio. Nella Parte IV approfondiremo dunque il rapporto esistente fra chiesa e regno di Dio. Speranza significa forza vitale, e la vita viene vissuta in rapporti ‘aperti’, per cui il regno di Dio non va illustrato in modo astratto bensì in termini concreti, sul piano delle relazioni vitali che si stabiliscono nella cristianità. Il futuro della chiesa potrà venire esposto soltanto mediante una chiesa della speranza per gli altri e con gli altri.
Essendo fondata in Cristo e orientata verso il futuro del regno di Dio, la chiesa si trova, in tutto ciò che essa in verità è e può fare, nella presenza e nella forza dello Spirito santo. Lo Spirito la rinnova nella comunione con Cristo. Le infonde le forze della nuova creazione e della libertà e pace che in essa abitano. Nelle Parti V e VI illustreremo dunque le energie, le possibilità e le forme vitali della chiesa inserita nel movimento di Dio, dello Spirito «che scende su ogni carne».
Origini e contesto del libro: di quale Chiesa sto parlando?
Questo libro è preceduto dalle lezioni di ecclesiologia che tenni a Bonn nel 1966 e a Tübingen nel 1968 e 1972. Dal 1968 circola una dispensa non autorizzata, che è stata distribuita in numerosi esemplari. Per alcuni uditori questa dottrina della chiesa era troppo conservatrice, per altri troppo progressista. Io spero che, con la presente rielaborazione e completamento delle mie lezioni, ai fini della stampa, sia gli uni che gli altri si rendano conto che, per non tradire il dinamismo del messaggio cristiano, è necessario trattare in modo conservatore gli elementi progressisti contenuti nella tradizione cristiana e in modo progressista le sue forme conservatrici. Mi sono dunque sforzato di scoprire il dato originario contenuto nelle più antiche confessioni di fede cristiane e nelle prime forme della comunità cristiana, e di cogliere in esse alcune indicazioni per il futuro.
Il contenuto del presente scritto non è stato confezionato a tavolino o nell’aula dell’Università di Tübingen. A buon diritto i lettori si chiederanno: ma di quale chiesa sta parlando, propriamente? A prescindere dal fatto che per cinque anni ho svolto l’attività di pastore a Wasserhorst (nel Land di Brema), i viaggi che in questi ultimi anni ho intrapreso per le mie relazioni e conferenze ecumeniche mi hanno fatto conoscere chiese di altri Paesi e situazioni differenti. Le esperienze dei cristiani in Corea, il loro ardore missionario, e le difficoltà che incontrano nell’attività politica della resistenza; le esperienze carismatiche delle chiese indipendenti del Kenya e del Ghana, e le loro danze sfrenate; il lavoro delle comunità cristiane negli slums di Manila e nei villaggi dei campesinos dell’America latina, la loro vita con il popolo e le persecuzioni cui sono sottoposte dalla polizia, tutto questo mi ha impressionato molto più profondamente di quanto non ne abbia forse coscienza. E mi ha mostrato anche i limiti della chiesa in Germania. Ai lettori stranieri non vorrei nascondere il fatto che quanto scrivo lo scrivo nella Repubblica Federale Tedesca, immerso nell’ambiente della mia chiesa evangelica territoriale. Ma non è questo punto di partenza ciò che caratterizza il contenuto del presente libro. La mia situazione è soltanto una fra le tante. Esistono certamente situazioni molto div erse, in cui la cristianità sta oggi vivendo. Fare teologia in un contesto ecumenico non significa rendersi astratti, ma per quanto possibile partire dalle diverse esperienze che la chiesa sta facendo e comunicarle in modo efficace. Mi sono quindi sforzato, nello stendere questo studio teologico, di mantenere sempre sotto lo sguardo le chiese territoriali e quelle libere, le chiese nazionali e quelle missionarie. Il mio intento non era però quello di elencare le diverse forme di vita in cui si concreta la comunità cristiana, bensì di illustrare la fede e credibilità dell’unica chiesa di Cristo. 
La crisi delle chiese tradizionali come opportunità
Dopo aver accennato all’impostazione teologica e alle mie esperienze di questi ultimi anni, vorrei formulare anche l’intenzione pratica dell’opera: favorire il passaggio da una chiesa che svolge l’attività di assistenza a favore del popolo, a una comunità ecclesiale del popolo nel popolo! E se non si opera questo passaggio, io credo che la chiesa non possa annunciare, in modo teologicamente responsabile, il vangelo, né celebrare la cena del Signore, battezzare nel segno del rinnovamento radicale e vivere nell’amicizia di Gesù. È inevitabile che le chiese missionarie, le chiese confessanti e le «chiese sotto la croce» siano, o diventino, comunità ecclesiali. Esse non sfociano nell’isolamento sociale ma diventano vitale speranza nel popolo. La crisi, spesso descritta, delle chiese nazionali e territoriali nei vecchi paesi ‘cristiani’, la loro manifesta perdita di funzione, l’apatia in cui versano i membri che le compongono e la loro flemma costituiscono una chance per l’edificazione di una chiesa comunitaria e realizzazione del principio della comunità. I pericoli di un adattamento sociale e del ghetto sociale verranno superati quando la chiesa acquisirà e percepirà la sua libertà d’azione. Ma per essere libera, essa ha bisogno di una comunità capace di creare dei vincoli più stretti che in passato. E le esperienze condotte dalle chiese di altri Paesi mi hanno rafforzato nella convinzione teologica che è proprio questa la figura che la chiesa deve assumere.
Una trilogia
Una parola, infine, sul rapporto di questo libro, La chiesa nella forza dello Spirito, con i due che l’hanno preceduto: La teologia della speranza del 1964 e Il Dio crocifisso del 1972. Sembra dunque che il mio itinerario teologico sia stato il seguente: partito dalla Pasqua per motivare la speranza cristiana, sarei poi giunto al Venerdì santo con un approfondimento della passione di Dio, per arrivare infine alla Pentecoste e all’invio dello Spirito. Un modo di procedere che rispecchierebbe dunque, ma troppo perfettamente, il ciclo dell’anno liturgico. In verità, le lezioni che stanno a fondamento dell’opera non vennero tenute secondo questo schema. Esiste una stretta connessione fra i tre libri e molteplici sono le interferenze a livello di contenuto. È però anche vero che per motivi teologici mi sono visto costretto a passare da una tematica all’altra e a modificare le prospettive, al fine di ottenere una migliore comprensione della ricchezza della storia di liberazione di Dio con il mondo. Anche l’accentuazione risulta, così, diversa: dalla «risurrezione del Crocifisso» nella Teologia della speranza, alla «croce del Risorto» ne Il Dio crocifisso. Le due prospettive rimarrebbero incomplete, se non si aggiungesse anche l’«invio dello Spirito», la sua storia messianica e la forza carismatica di cui la sua comunità dispone. Questo libro su La chiesa nella forza dello Spirito vorrebbe dunque essere un completamento degli altri due che l’hanno preceduto.
Tübingen, Pentecoste 1975
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