12/05/2006
71. La verità scomoda della fede di Rosino Gibellini
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Il primo anniversario della elezione di Joseph Ratzinger al soglio pontificio con il nome di Benedetto XVI è stato ricordato in molteplici trasmissioni televisive (di grande interesse la trasmissione della televisione tedesca con la partecipazione del card. Walter Kasper e del teologo Hans Küng), ma anche con saggi e pubblicazioni varie. Tra queste si segnala, oltre al libro dello storico Alberto Melloni, il libro del vaticanista Carlo Di Cicco dell’Agenzia ASCA che ripercorre nel libro: “Ratzinger – Benedetto XVI – e le conseguenze dell’amore” (edizioni Memory) il primo anno di pontificato di Benedetto XVI con puntigliosità nello scoprire le novità e nel cogliere impostazioni teologiche. La Prefazione è stata affidata a Rosino Gibellini, e viene qui riproposta.


Coincidenze. Nel 60° anniversario della caduta della Germania hitleriana (1945), mentre nelle sale cinematografiche europee si stava proiettando il film che racconta i giorni cupi e tragici di quella “Caduta”, un giovane soldato tedesco in fuga verso casa «su un camion del latte che andava a gas» in quei giorni di sfacelo e di distruzione – come lui stesso racconta nelle sue Memorie del 1997 – diventa papa. Era dal 482 che non arrivava a Roma un papa dalla Germania. Nel 40° anniversario della conclusione del concilio Vaticano II (1965), un giovane teologo conciliare – allora definito con Hans Küng il teologo teen-ager del concilio – diventa papa, dopo 26 ore di conclave, nel pomeriggio del 19 aprile 2005 con il nome Benedetto XVI.

Sorpresa. Non si pensava a un cardinale così ben definito nella sua severa configurazione teologica. Si attendeva un pastore, ed è arrivato un teologo, come alcuni giornali hanno titolato: «Un teologo diventa Papa». Siamo lontani dai titoli che salutavano nel 1978 l’elezione del vescovo di Cracovia Karol Wojtyla al soglio pontificio, come Le Figaro, che scriveva a lettere cubitali: «La Chiesa cattolica sfida il comunismo internazionale».

Se Giovanni XXIII e Paolo VI sono i papi del concilio e della nuova stagione di dialogo della Chiesa; se il breve pontificato di Giovanni Paolo I passerà alla storia per l’attribuzione del nome di “Madre” a Dio (un atto che vale più di una enciclica); se Giovanni Paolo II ha dato visibilità alla Chiesa con i suoi molteplici viaggi apostolici (sono mancate solo: Mosca e Pechino) e con la sua azione geopolitica: quale previsione per il “papa teologo”?

Come teologo, Joseph Ratzinger, dopo gli studi su Agostino, da cui ha attinto la percezione dell’ambiguità del divenire storico; e su Bonaventura, da cui ha derivato l’attenzione alla dimensione mistica della teologia; ha scritto il suo libro più importante e più letto, Introduzione al cristianesimo. Si tratta di un ciclo di lezioni, tenute all’università di Tubinga nel semestre estivo 1967 sul Credo o Simbolo apostolico, destinate agli studenti di tutte le facoltà, sull’esempio del ciclo di lezioni tenute da Karl Adam su L’essenza del cattolicesimo nel semestre invernale 1923-1924. L’Introduzione, pubblicata nel 1968 (e prontamente in edizione italiana nel 1969) è stata tradotta in 17 lingue, e riedita nel 2000 con un importante Saggio introduttivo. Nelle sue Memorie del 1997 il card. Ratzinger scriveva così del suo libro: «Ero e sono pienamente consapevole dei suoi limiti, ma il fatto che esso abbia aperto una porta a molte persone è per me motivo di soddisfazione e, insieme, di gratitudine per Tubinga nella cui atmosfera hanno avuto origine quelle lezioni». L’importanza del libro sta nella centralità del tema scelto, nella essenzialità della trattazione, nella brillantezza linguistica del suo tedesco, e nel pensiero dialettico, che supera le false alternative, come ad esempio tra dogma e metodo storico-critico, e cerca sempre una sintesi proponibile.

Per Ratzinger, sono sei le strutture fondamentali del cristianesimo:

1. il cristianesimo fa appello al singolo ma aprendolo al tutto: l’esistenza cristiana è un’esistenza aperta;

2. l’esistenza cristiana denota essenzialmente il passaggio dall’essere per se stessi all’essere per gli altri: è il principio del pro che è espressione di amore;

3. per il cristianesimo Dio è il totalmente Altro, è il Massimo, ma si manifesta nel Minimo (nella croce di Cristo), sub contrario come si esprime Lutero, rimanendo così misteriosamente sconosciuto; è la legge dell’incognito;

4. il Minimo rimanda al Massimo della sovrabbondanza: Cristo è l’infinita prodigalità e sovrabbondanza di Dio;

5. la rivelazione cristiana è caratterizzata dall’essere definitiva, ma essa apre al futuro del Regno;

6. il cristianesimo afferma il primato del ricevere sul dare, del dono sulle prestazioni: qui si inserisce la lotta di Paolo contro la giustificazione attraverso le opere, e la lotta di Lutero per evidenziarlo.

I sei principi fondamentali sono riconducibili ad un unico principio come “il principio amore”. La fede è uno star-saldi e un porsi-in-relazione con la totalità, inconoscibile, della realtà. Nella fede comprendiamo che l’amore ci precede e rende possibile una esistenza aperta, che, nella speranza, cerca il tutto.

Sono queste, forse, le pagine più belle e più profonde scritte dal teologo Ratzinger nelle alcune decine di libri, grandi e piccoli, che si allineano sullo scaffale delle sue opere. È interessante notare, ora, a quasi quarant’anni da quel testo, la formulazione del “Principio amore” (das Prinzip Liebe), che rimanda alla fede e include la speranza, come la sintesi, l’essenza, il principio del cristianesimo. È da questa fonte che scaturisce la prima enciclica del nuovo papa, che giustamente nel presente documentato Dossier l’esperto giornalista indica come l’espressione più alta del primo anno di pontificato di Benedetto XVI, e la data di pubblicazione, il 25 gennaio 2006, come la data più emblematica del suo ministero petrino svolto fino ad ora.

Un secondo atto importante del nuovo pontificato è la celebrazione, avvenuta in forma discreta, del 40° anniversario della conclusione del concilio Vaticano II, durante la quale il nuovo papa, già perito conciliare tra i più noti e qualificati, oltreché commentatore delle quattro sessioni conciliari, ha indicato l’”ermeneutica della riforma”, come metodo interpretativo e attuativo dei documenti conciliari, confermando così la categoria della “riforma della Chiesa”, concetto che non aveva corso nella teologia preconciliare, e che solo il più grande ecclesiologo della Chiesa cattolica del XX secolo, Yves Congar, aveva timidamente introdotto nel libro, allora sospetto, Vera e falsa riforma nella Chiesa (1950). L’ermeneutica enunciata da Benedetto XVI nel suo misurato discorso commemorativo dell’evento conciliare è aperta – al di là di discussioni varie su continuità e discontinuità – a sviluppi di riforma, aggiornamento e rinnovamento.

Ma il presente Dossier recensisce molti altri aspetti, quasi passando al rallentatore discorsi e gesti del nuovo papa, con competenza e rispetto, raccogliendo gli spunti sparsi di attese largamente diffuse nella Chiesa cattolica, nell’ecumene e nel mondo. Quando fu eletto papa Wojtyla, il papa “venuto da lontano” era pressoché sconosciuto; ma nel caso di Joseph Ratzinger, per il suo lungo soggiorno romano e per i suoi numerosi scritti, si potrebbe dire che è fin troppo conosciuto. Data l’estesa e vasta bibliografia (che comprende in un catalogo del 2002 ben 75 pagine di titoli) si deve sempre distinguere tra i diversi generi letterari, e cioè: gli scritti teologici fino al 1977, gli scritti teologici scritti da vescovo e da prefetto, gli scritti magisteriali scritti da vescovo e da prefetto, e ora discorsi e documenti di Benedetto XVI. Sono generi letterari diversi, che richiedono particolare perizia ai commentatori.

Nella teologia e nel magistero di Joseph Ratzinger la verità rappresenta un concetto-chiave, com’è più volte evidenziato nel presente Saggio. La verità della fede mostra di essere in profonda corrispondenza con le grandi domande dell’esistenza umana; la fede pertanto avanza la sua istanza veritativa non solo nella comunità ecclesiale, ma anche nel discorso pubblico. Ma è una verità scomoda, in quanto è esigente di uno stile di vita e di una pratica di umanità in contrasto con opportunismi e riduzionismi dell’umanità dell’essere umano. Giustamente il profilo teologico del teologo diventato papa è stato caratterizzato con questa espressione: «La verità scomoda della fede» (Die anstössige Wahrheit des Glaubens) (Hoping/Tück, 2005). L’“intellettuale della religione”, com’è stato definito il nuovo papa (Uwe Justus Wenzel), è consapevole sia delle patologie cui va soggetta la fede religiosa, sia delle patologie cui è esposta la ragione secolare; e, nel dialogo con il filosofo Habermas (2004) ha proposto «una correlazione polifonica», secondo la quale «fede e ragione sono chiamate alla reciproca chiarificazione e devono far uso l’una dell’altra e riconoscersi reciprocamente». La fede, pur basandosi su una rivelazione divina, possiede un patrimonio di sapienza e verità, che è fonte di ispirazione per tutti. Il cristianesimo, secondo Ratzinger e la grande tradizione cristiana, è sintesi di fede e ragione. E questo deve essere fatto valere, non solo nel dialogo con la società secolare, ma anche nel dialogo delle culture e delle religioni. Se il suo ex-collega all’università di Tubinga, Hans Küng, ha coniato la formulazione: «Non c’è pace tra i popoli senza pace tra le religioni, e non c’è pace tra le religioni senza un ethos universale condiviso»; Ratzinger ha dato un’altra formulazione. «Non c’è pace nel mondo senza una giusta pace tra fede e ragione». Non sono programmi da contrapporre, ma da integrare in una complessa strategia per una Chiesa «viva» e solidale. Si può prevedere che Benedetto XVI si farà interprete della verità, scomoda, della fede, al servizio di pace e riconciliazione.


Rosino Gibellini
autore di La teologia del XX secolo




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