21/09/2020
469. LA NUOVA TRADUZIONE DEL PADRE NOSTRO E DEL GLORIA di Carlo Broccardo
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Proponiamo di seguito alcuni stralci dell’intervento di Carlo Broccardo – vicepreside della Facoltà Teologica del Triveneto – che sarà pubblicato nel prossimo numero della rivista «Servizio della Parola» (521/522). L’articolo intende puntualizzare e fare chiarezza sulla nuova traduzione del Messale, in particolare del Gloria e del Padre nostro. A fronte di preoccupazioni e malumori, spesso dettati solo dall’abitudine, don Carlo offre una sintesi chiara ed efficace per comprendere correttamente la pertinenza e il valore teologico della nuova traduzione di questi testi ormai “classici” della liturgia domenicale.

 


Ricordo ancora piacevolmente il tardo pomeriggio di qualche anno fa quando, camminando per i chiostri del seminario, mi è capitato di incontrare uno dei responsabili della formazione permanente del clero. L’équipe incaricata aveva già organizzato e pubblicizzato alcune settimane residenziali, alle quali aveva dato un titolo bello ed evocativo, tratto dal Sal 37: «Abita la terra e vivi con fede». Poco dopo, però, era uscita la nuova traduzione ufficiale della Bibbia, la cosiddetta “CEI 2008”, che aveva cambiato completamente la frase: «Abiterai la terra e vi pascolerai con sicurezza» (Sal 37,3). «Come mai hanno cambiato così tanto?», mi si chiese.

In realtà la CEI 2008 non ha modificato più di tanto la traduzione precedente. Certo, le differenze si notano maggiormente nei testi poetici, come i Salmi o gli inni del Nuovo Testamento; ma per il resto è addirittura probabile che molti dei nostri parrocchiani non si siano neanche accorti che c’è una traduzione nuova. Ora però, con la nuova traduzione del Messale, capiterà che verranno cambiate alcune parole del Padre nostro e del Gloria, adattandole alla CEI 2008. Finché si tratta del salmo responsoriale è un conto; ma quando si toccano testi così noti è difficile che il cambiamento passi inosservato.

Non è un caso, infatti, che da quando le modifiche sono state annunciate (novembre 2018) ci sono state molte reazioni, spesso contrastanti tra di loro, e sono stati scritti anche molti articoli sia scientifici che di carattere divulgativo. Noi qui non vogliamo sviscerare tutti i risvolti del caso, né affrontare tutte le possibili traduzioni alternative. Ci proponiamo semplicemente di capire quali sono le differenze tra la precedente traduzione e la nuova, e perché sia stato utile il cambiamento.

Si sente spesso dire che bisognava cambiare l’espressione: «non ci indurre in tentazione», perché ci farebbe immaginare Dio come un padre che subdolamente tende agguati ai propri figli, spingendoli verso il peccato. Se fosse questo il problema, la nuova traduzione non sarebbe migliore della precedente: dobbiamo forse immaginare, in alternativa, un padre che abbandona i suoi figli nelle mani della tentazione? Se ci fa problema questo tipo di linguaggio, allora dobbiamo cancellare dalle nostre Bibbie almeno la metà dei salmi!

Ci saranno sempre discussioni – ed è positivo che ci siano! – sulla traduzione del Padre nostro, come sempre ci sono state: nei primi secoli, per esempio, si è dibattuto a lungo su come tradurre l’espressione «pane quotidiano». […] Evidentemente, l’esattezza verbale non è la priorità degli evangelisti e dei primi credenti; conta di più lo spirito della preghiera. E in questo bisogna dire che la nuova traduzione sia del Gloria che del Padre nostro è migliore, perché aiuta ad entrare maggiormente in sintonia con l’idea di un Dio che è Padre, che ha un disegno d’amore sulla nostra vita, a cui possiamo affidarci completamente.





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