Pubblichiamo questo testo in cui il teologo capo-redattore del diffuso settimanale cattolico di lingua tedesca documenta sugli orientamenti della Conferenza episcopale tedesca, che si muovono sulla linea del dialogo e della riforma, a differenza di altre tendenze (conservatrici e tradizionaliste) presenti nella chiesa cattolica.
Quale è la conseguenza della profonda crisi di fiducia che la chiesa cattolica sta attraversando? Thomas Assheuer esprime il timore, come scrive sulla Zeit (16 settembre), di un rafforzamento dell’antimodernismo romano. In effetti papa Benedetto XVI ha sottolineato che i recenti scandali – in particolare gli abusi sessuali su minori da parte di sacerdoti – provengono dall’interno della stessa chiesa. Tuttavia egli vedrebbe le cause storiche e spirituali in un fortissimo adattamento allo spirito del tempo, ossia alla società secolare, al suo liberalismo e alla decadenza morale, alla sua deriva atea. «I segni indicano di nuovo un ritrarsi dalle ‘chiacchiere’ del mondo privo di salvezza», così suppone Assheuer e cita a dimostrazione molte decisioni del Vaticano, che vanno incontro esclusivamente alle forze conservatrici, tradizionaliste, mentre gli sforzi di riforma, da decenni sollecitati dal popolo ecclesiale, vengono sistematicamente ignorati e bloccati. «Tutto ciò depone a favore di una strategia di negazione del mondo protetta dal potere, a favore dell’esodo dall’ ‘Egitto’ della modernità, da un’epoca di ‘smarrimento e disorientamento’».
Tutt’altri segnali – sorprendenti, anzi straordinariamente positivi – vengono invece dalla recentissima assemblea generale della conferenza episcopale tedesca. L’agenzia di informazioni cattolica comunica: «La richiesta di riforme nella chiesa cattolica diventa esplicita anche nella cerchia dei vescovi tedeschi… sia tra di loro come pure in interviste si parla di ‘questioni scottanti’». Heinz Josef Algermissen, il vescovo di Fulda che ospita l’assemblea, ha parlato di una «situazione di ristagno». Ci sono molte questioni già da tempo mature per essere discusse – dalla morale sessuale all’obbligo del celibato per i preti secolari, vigente soltanto nella parte latina della chiesa cattolica, fino al rapporto con i divorziati che si sono risposati. Questi problemi verrebbero ora alla ribalta in modo addirittura esplosivo.
Il cardinale Karl Lehmann, vescovo di Mainz, in una intervista citava proprio questi blocchi di temi. Essi, in realtà, andrebbero tenuti separati gli uni dagli altri, ma allo stesso tempo si dovrebbe considerare «la necessità di affrontarli in modo coraggioso e aperto». Non si conoscono a priori le risposte. «Deve essere però una risposta affidabile e convincente». Lehmann lascia intendere che per far questo occorre e si intende cercare apertamente il dialogo con Roma.
Il discorso di Fulda di Robert Zollitsch
La scintilla iniziale per l’improvviso movimento all’interno della conferenza episcopale tedesca è partita dalla relazione di apertura, degna di molta attenzione, del presidente Robert Zollitsch. Stranamente questo discorso dell’arcivescovo di Friburgo, che ha segnato la direzione con l’effetto addirittura di un moto di liberazione, non ha trovato finora nei media grande eco. Esso però merita di essere accolto in tutto il vasto popolo di Dio, anche se si rivolge in primo luogo, come una specie di esame di coscienza, ai colleghi nell’episcopato. Il titolo suona: «Futuro della chiesa – chiesa per il futuro. Difesa di una chiesa pellegrina, che ascolta e che serve».
Proprio all’inizio Zollitsch dichiara che il vangelo di Gesù Cristo non si esaurisce affatto nelle cose di questo mondo e che nella nostra società la chiesa appare talvolta come straniera. Tuttavia ai credenti è affidato il compito «di operare in questo mondo e di diventare così in esso anche un po’ di casa». Con decisione l’arcivescovo sottolinea la storicità: «La fede cristiana è pellegrinaggio. Di questo fa parte il mettersi in marcia. Pellegrinaggio e partenza non vanno d’accordo con sedentarietà… Alla vita della chiesa dobbiamo dare un nuovo volto. La stagnazione sarebbe un tradimento. Non possiamo aspettare il mondo, come se sia lui che deve venire da noi. Piuttosto dobbiamo essere noi che andiamo verso il mondo: incontro all’uomo di oggi». Zollitsch rimanda al concilio Vaticano II, che ha aperto la strada, e la cui inaugurazione, mezzo secolo fa, sarà ricordata nel 2012: «Il regno di Dio diventa realtà nel corso della storia e nello slancio verso gli estranei sempre nuovi». La comunità di fede dovrebbe essere orgogliosa della sua tradizione, delle convinzioni e degli orientamenti consolidati. «E tuttavia non possiamo adagiarci passivamente in essi».
Zollitsch richiama energicamente i colleghi nell’ufficio episcopale a fare di tutto per riguadagnare fiducia. «Abbiamo lasciato che si insinuasse il dubbio sulla serietà e la chiarezza del nostro discorso e del nostro agire». Dobbiamo «ancora di più imparare ad essere una chiesa che sa ascoltare». I dubbi tormentosi su diverse dottrine della chiesa sarebbero da prendere in seria considerazione, ad esempio nell’ambito della sessualità umana. Molti cattolici hanno messo massicciamente in questione il celibato dei preti nella chiesa latina, si sono scandalizzati per alcune posizioni nell’ecumenismo. Su tutto ciò il governo della chiesa non può e non deve passare sopra, e neppure su alcuni rimproveri, secondo i quali «il nostro personale mondo di vita» è troppo lontano «dal mondo di vita degli uomini». Chiusura e lontananza dalla realtà hanno condotto a durezza d’animo. Di questo, allora, soffre anche il nucleo dell’esperienza religiosa, il mistero della fede, la relazione con Dio. «Forse dimentichiamo le fonti trascendenti di cui la chiesa vive. Sarebbe una autosecolarizzazione, se nella chiesa esaltassimo soprattutto il suo impegno per la giustizia e l’organizzazione efficiente della pastorale e, nel far questo, ponessimo la luce divina sotto il moggio, quella luce che risplende in tutto ciò. Preghiera e liturgia, infatti, predicazione della fede e dedizione agli uomini nelle loro necessità non rivelano soltanto l’umano, ma il divino».
Non il ritrarsi dalla modernità è la cosa necessaria, bensì porre attenzione ai segni del tempo. Zollitsch esorta: «Accogliere la verità dell’altro e ascoltarla dall’altro: forse dobbiamo saper cogliere e valorizzare ancora più fortemente l’opportunità e la sfida del dialogo. Per sperimentare così ampiezza di cuore e apertura al mondo».
Esame di coscienza
Il discorso di Fulda propone alla direzione della chiesa e pure alla chiesa nel suo complesso un «processo di riflessione», un «nuovo, comune e finalizzato processo di dialogo». Esso avrebbe esito felice se ci si parla reciprocamente in modo aperto e libero da paure. Ai confratelli nell’episcopato Zollitsch ha parlato coraggiosamente, invitandoli ad un esame di coscienza: «Il nuovo inizio, che cerchiamo, comincia da noi stessi! Abbiamo bisogno di una profonda autoconsapevolezza, di una presa di coscienza su noi stessi e specialmente su ciò che noi, in quanto vescovi, dobbiamo fare: nella propria diocesi, nella conferenza episcopale e nella chiesa universale, anche per quanto riguarda l’unione con il nostro Santo Padre. Una riflessione su noi stessi che finora piuttosto raramente abbiamo avviato. Neppure sul nostro modo di comunicare. La nostra comunicazione pubblica come anche quella interna, nel primo semestre, non è stata propriamente guidata, a mio avviso, dall’idea della communio».
Qualcosa di più che soltanto riparazioni
Nel processo di dialogo devono essere coinvolti intensamente i laici, in particolare attraverso il comitato centrale dei cattolici tedeschi, attraverso i consigli diocesani e le associazioni. Zollitsch conferma così l’auspicio, già da tempo espresso dagli organismi laicali, che ci debba essere un dialogo ecclesiale e religioso orientato al futuro. Il presidente della conferenza episcopale conferma pure che nel corso degli anni si sono accumulati una enorme inquietudine, un malumore e anzi rabbia sia nel popolo della chiesa sia nel clero. «In molti scritti, in lettere da parte dei lettori, in articoli e ancor più nei colloqui personali avvertiamo che molti preti, diaconi, religiosi e laici sono diventati insicuri. Facciamo però anche l’esperienza che molti di loro, con grande serietà e – per dirla con una parola un po’ fuori moda - per amore verso la chiesa, cercano strade per capire come la chiesa possa compiere la propria missione anche in un tempo di cambiamenti… Perché mai non dovremmo invitare molti a partecipare a questa riflessione con veracità, coraggio e saggezza – e cioè i preti, i diaconi, i religiosi e i ‘laici’, che spesso sono degli esperti?».
Su come precisamente organizzare il processo del dialogo, che deve servire a prendere decisioni, da parte delle diocesi e della conferenza episcopale, gli interessati a livello direttivo devono ancora accordarsi. Ci sono però già delle riflessioni preliminari. L’assemblea generale della conferenza episcopale comunque, nonostante diverse concezioni, ha dato il suo assenso alla proposta di Zollitsch. Nel dialogo, che riguarda tutta la Germania federale, devono essere trattati in maniera strutturata questioni di fede e anche temi sociali. I risultati vanno raccolti, tenendo presente la ricorrenza commemorativa del concilio, nei prossimi due anni presso la conferenza episcopale. Il fatto poi che ciò sfoci in un processo sinodale, come negli anni Settanta, appare al momento piuttosto improbabile, perché – così afferma Zollitsch – una impresa del genere sarebbe molto dispendiosa. Però i risultati non devono restare soltanto espressioni non vincolanti di opinioni, bensì formare la base per proposte, iniziative e decisioni. L’iniziativa deve portare in profondità, alla sostanza: «Si tratta di qualcosa di più che semplici riparazioni. Si tratta di rivitalizzare la vita ecclesiale». Il presidente della conferenza episcopale dice chiaramente che i vescovi devono assumersi la responsabilità «per la forma, la organizzazione e le conseguenze di questo processo». Ciò in definitiva significa anche che i risultati devono essere inseriti in un processo coinvolgente la chiesa universale e vanno sostenuti nei confronti di Roma e davanti al papa.
«Agenda 2012»
Con la sua parola aperta e franca Robert Zollitsch incoraggia a cercare un nuovo equilibrio tra tradizione e orientamento al futuro. Il suo appello si rivolge come invito, tra l’altro, a coloro che pensano «che lo Spirito di Dio operi sempre e soltanto nelle forme e nelle formule note fin dall’antichità. Come se tutta la storia del cristianesimo non sia stata una storia ricca di dinamismo, una storia di continue nuove traduzioni». La tradizione, in quanto un processo di trasmissione della fede, non è affatto qualcosa di statico, che si arresta ad un determinato punto della storia – né al concilio Vaticano primo né al secondo. Zollitsch si rivolge però anche a coloro che pensano di dovere andare avanti senza le ricchezze della tradizione. Adesso sarebbe un tempo in cui, nel senso della communio, della comunità dei credenti, concorrono nella chiesa «le diverse preferenze e i desideri intimi». Il testo elettrizzante di Zollitsch termina con un appello al senso della realtà e alla fiducia. «Non paura e scoraggiamento, non una fuga in avanti e neppure il sogno di ieri ci devono determinare e animare, bensì la salvezza del mondo: una patria altra, ma appunto una patria in compagnia di colui che rimane con noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. La fede cristiana non è assolutamente un residuo del tempo da lungo passato. E’ una forza che contrassegna il presente. Essa opera per una società a misura di uomo – anche in futuro».
L’assemblea episcopale di Fulda, dell’autunno 2010, con la sua «Agenda 2012» potrebbe effettivamente introdurre e mettere le ali ad una svolta significativa verso un rinnovamento religioso, anzitutto per questo paese. Tuttavia ciò può aiutare poi, anche sul piano europeo e pure transcontinentale, ad allacciare nuovi rapporti, per una intesa tra vescovi e nella chiesa universale, al fine di uscire dalla opprimente stagnazione in fatto di riforme. In molte conferenze episcopali, a livello mondiale, si elevano sempre di più voci in questo senso. Ciò che ora importa, in una tale emergenza, è il fatto di consultarsi reciprocamente sulle necessità. E’ un segno che rende felici se il magistero della chiesa fa propria e si prende a cuore l’inquietudine dei credenti circa il futuro dell’amata fede cristiana, nell’orizzonte della nostra moderna esperienza del mondo. Le grandi decisioni, infatti, il magistero può e deve prenderle in un clima di consenso conciliare possibilmente ampio, sostenuto dalla migliore teologia del presente. La via che va dal dialogo alle decisioni di riforma può essere lunga, ma i primi passi sono fatti. La nostra speranza riprende a respirare.
© 2010 by Christ in der Gegenwart (Herder, Freiburg i. Br.) 40/2010
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Traduzione dal tedesco di Gianni Francesconi
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