In occasione del 40° anniversario della promulgazione del decreto conciliare
Ad Gentes (1964) sulla missione della Chiesa e del 10° anniversario del Sinodo sull’Africa (1994) si è tenuto, dall’11 al 17 luglio u.s., a Kinshasa (Repubblica Democratica del Congo) un Congresso internazionale di missiologia, sotto il patrocinio della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, con la presenza di buona parte dell’episcopato congolese, del presidente dello SCEAM (Simposio delle Conferenze Episcopali dell’Africa e del Madagascar), di teologi africani dell’area francofona, di operatori e operatrici missionarie, di studenti delle Facoltà cattoliche di Kinshasa, e di rappresentanti della Chiesa universale nei vari continenti. Ha presieduto e diretto i lavori, con la nota competenza, mons. Tharcisse Tshibangu, uno dei più noti teologi africani, ora vescovo di Mbuji Mayi e presidente del consiglio di amministrazione delle Facoltà cattoliche di Kinshasa.
Secondo la relazione molto dettagliata del prof. Cavallotto, rettore dell’Università Urbaniana di Roma, la presenza cattolica in Africa è in piena espansione. Per offrire solo alcuni dati significativi: se nel 1900 i cattolici rappresentavano l’1,8% in rapporto alla popolazione continentale africana, nel 2000 essi rappresentano il 15,3%; se si fa riferimento alla totalità dei cristiani in rapporto alla popolazione continentale africana, la percentuale dei cristiani in Africa nel XX secolo è passata dal 9,2% al 45,9%: «In Africa l’attività missionaria ha ottenuto la più alta risposta in percentuale». Queste cifre rapportate ad altre cifre continentali dell’Europa e dell’America del Nord, dove invece si verifica una contrazione in percentuale dei cattolici e dei cristiani in generale, fanno constatare che ormai il baricentro cattolico e cristiano si sposta dal Nord al Sud del mondo. In altri termini, «La Chiesa vive in stato di terzo-mondialità», come si esprime il missiologo italo-tedesco dell’università di Münster, Giancarlo Collet, nella sua recente opera di missiologia
«…Fino agli estremi confini della terra» (2002). Le sfide in Africa sono molteplici: il dramma della povertà e della miseria, la frammentazione del mondo cristiano, con la presenza anche di “chiese indipendenti” sempre più numerose, e il dialogo con l’Islam e con le altre religioni: temi che sono emersi in molte relazioni.
Sotto il profilo ecclesiologico, importante la relazione di mons. Monsengwo, presidente della conferenza episcopale del Congo, sulla Chiesa come «famiglia di Dio», categoria che si trova a più riprese nella tradizione teologica liturgica e nei documenti conciliari, anche se il concilio Vaticano II ha privilegiato l’idea-forza di Chiesa come «popolo di Dio». Ma a partire dagli anni Settanta, la visione della Chiesa – famiglia di Dio –, che al concilio faceva timidamente la sua entrata nel vocabolario teologico, è andata imponendosi fino ad entrare con evidenza nell’esortazione post-sinodale
Ecclesia in Africa. È una visione congeniale alla chiesa africana per l’importanza che la categoria di famiglia ha nella cultura africana, soprattutto se viene esplorata nelle lingue originali parlate in Africa. Le relazioni africane del Congresso di Kinshasa hanno fatto un vasto e impressionante uso di questa categoria ecclesiologica: essa dà un senso di appartenenza, non facilmente intuibile, a prima vista, per il non-africano e per chi parla le lingue europee.
Il Congresso di Kinshasa, pur nella sua apertura internazionale, ha registrato gli interventi di teologi africani, come Ngindu, e Bimwenji, noti anche in Europa per i loro contributi alla teologia; ma anche dei teologi della nuova generazione, come Santedi, che ha studiato il rapporto tra dogma e inculturazione in Africa; Malu, che tiene il corso di teologia africana alla facoltà teologica di Kinshasa; Soédé (Abidjan, Costa d’Avorio), che insiste sulla dimensione etica dell’evangelizzazione; Quenum (Abidjan, Costa d’Avorio), autore di un’importante opera storico teologica sul rapporto tra Chiese cristiane e la tratta atlantica degli schiavi dal XV al XIX secolo. Su quest’ultimo tema il teologo Adoukonou (Abidjan, Costa d’Avorio), ha illustrato la purificazione della memoria africana, avvenuta nell’isola di Gorée (Sénégal) nel 2003, dove, nel solco aperto da Giovanni Paolo II nel 1992, la Chiesa-Famiglia in Africa ha chiesto perdono delle colpe proprie degli africani per «la vendita dei neri da parte dei neri», come si è espresso mons. Sarr, arcivescovo di Dakar.
Nel mio intervento ho proposto alcune riflessioni sulla missione in una Chiesa mondiale: «Se si guarda alla recente storia della Chiesa e della sua teologia, si potrebbe definire il XIX secolo come il secolo missionario, il XX secolo come il secolo ecumenico, e già si può intravedere il XXI secolo come il secolo della
Weltkirche (Rahner), di una Chiesa mondiale, che si realizza nelle diverse culture e nei diversi contesti sociali, praticando una inculturazione, che appella nella reciprocità, alla pratica della inculturalità: la Chiesa mondiale è una comunità di apprendimento, una comunità dove si apprende reciprocamente».
Tra le proposte concrete uscite dal Congresso di Kinshasa, importante è quella avanzata da mons. Tshibangu per la creazione di «un Centro comune e inter-africano di studi e di preparazione missionaria».
L’Africa è una frontiera della missione cristiana: è una frontiera per la consistenza, anche numerica, delle sue comunità; è una frontiera nella vicinanza, nell’incontro e nel dialogo con l’Islam; è una frontiera per l’Europa, per le diverse connessioni storiche. È il tempo, nel nuovo secolo, di attivare un’intensa solidarietà e una rinnovata e dilatata comprensione della cattolicità della Chiesa.
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Forum teologico, a cura di Rosino Gibellini
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