Il teologo brasiliano Clodovis Boff è noto in campo internazionale soprattutto per il suo libro (tesi di laurea in teologia a Louvain-la-Neuve),
Teologia e Pratica. Teologia do Político e suas mediaçoes (Vozes, Petrópolis 1978), che appartiene alla letteratura essenziale della teologia latino-americana della liberazione, di cui analizza la metodologia. L’approfondita analisi metodologica di
Teologia e Pratica individua gli elementi strutturali del discorso della teologia della liberazione indicando nell’assunzione della mediazione socio-analitica la sua peculiarità epistemologica. Si potrebbe dire che Clodovis Boff è stato con questo suo libro il metodologo della teologia della liberazione, che si era sviluppata nei suoi testi fondativi tra il 1968 e il 1975 (Gustavo Gutiérrez, Hugo Assmann, Leonardo Boff, Enrique Dussel, Juan Luis Segundo, José Comblin). Il suo libro era espressione della seconda generazione dei teologi della liberazione, che si impegnavano nell’approfondimento della nuova tematica (metodologia, cristologia, ecclesiologia, spiritualità), e che si può ritenere concluso con l’opera sistematica
Mysterium Liberationis. Conceptos fundamentales de la teología de la Liberación (Trotta, Madrid 1990; trad. it., Borla, Roma 1992), edita da Ignacio Ellacuría e Jon Sobrino in occasione dei 500 anni (1492-1992) dell’America Latina.
Con il suo nuovo libro (
Mariologia sociale. Il significato della Vergine per la società, Sâo Paulo 2006; trad. it., Queriniana, Brescia 2007), il teologo brasiliano si colloca in questa nuova fase di teologia sistematica. Il suo problema ora è: come introdurre nella trattatistica teologica l’istanza e la prospettiva della teologia della liberazione come chiave di lettura, storiografica e teoretica, dei temi cristiani. La teologia della liberazione viene così svincolata dalla sua settorialità e contestualità e viene fatta valere nei suoi elementi universalizzabili (Robert Schreiter) in termini di teologia sistematica.
L’opera si articola in
sei parti. La
prima parte esplora la metodologia della «mariologia sociale», che vuole operare una «ri-connessione» tra pietà mariana e impegno sociale della comunità cristiana. Egli scrive: «Il
locus di esercizio della mariologia sociale non si può ridurre alle sedi accademiche, ma è anche e soprattutto la comunità ecclesiale in quanto agisce nel mondo. Il
Sitz im Leben della mariologia sociale è la chiesa stessa nella misura in cui vive la pietà mariana e, nello stesso tempo, si impegna nel sociale. [...] E nella chiesa sono le comunità, i gruppi, i movimenti e le organizzazioni pastorali più coinvolte nel lavoro sociale che costituiscono gli spazi privilegiati della pratica di una mariologia sociale, poiché sono essi che hanno bisogno della produzione di questo tipo di mariologia e, allo stesso tempo, la favoriscono» (45). Il teologo, quindi, propone una mariologia sociale, come teoria e come pratica, e in questa sottolineatura si sente l’eco delle analisi di
Teologia e Pratica, dove si evidenzia l’«interferenza» tra il «dove» si fa teologia sul «luogo epistemico», sul «come» il teologo e la comunità fanno teologia.
La
seconda parte analizza la mariologia sociale presente nei documenti recenti del Magistero pastorale, dalla esortazione apostolica di Paolo VI,
Marialis cultus (1974), al Documento dell’episcopato latino-americano di Puebla (1979), fino ai discorsi di Giovanni Paolo II. Da queste analisi settoriali si evidenzia in particolare la «figura
liberatrice» di Maria, così come emerge dal
Magnificat «il
locus maior biblico e teologico» (99). Ma non è sempre stato così. Annota l’Autore: «È istruttivo, a tale proposito, constatare la poca attenzione che è stata data precisamente al
Magnificat lungo tutto il periodo della cristianità. E, quando meritò qualche considerazione, fu letto esclusivamente in chiave metaforica e spiritualistica. È stato provato che il cantico alla Vergine non ebbe nei Padri un posto centrale. [...] In verità fu soltanto negli anni recenti e, soprattutto, grazie alla teologia della liberazione che la figura di Maria assunse tratti sociali decisamente trasformatori o liberatori» (278).
La
terza parte è una interessante carrellata storica sulla figura di Maria nella storia sociale dei popoli, che porta il teologo a concordare con il giudizio del sociologo nordamericano Andrew Greely, secondo il quale Maria è «il simbolo culturale più potente e popolare degli ultimi 2000 anni in Occidente», aggiungendo l’annotazione «a eccezione naturalmente della croce» (268). In questo senso Maria «ha fatto storia», in quanto figura pubblica, come fonte di ispirazione, che muove all’azione. L’Autore evidenzia anche l’evoluzione che ha subito il simbolo di Maria, che, nell’immagine dell’antichità di Maria Regina ha svolto un ruolo di conservazione, nell’immagine medioevale e moderna di Maria Protettrice un ruolo di resistenza, e finalmente nell’immagine contemporanea di Maria Liberatrice ha svolto e svolge un ruolo di avanzamento. È da registrare, quindi, anche l’ambiguità di forme di culto a Maria, che si possono superare con due criteri: «Quello
evangelico, secondo il quale ci si deve chiedere quale immagine di Maria corrisponde meglio a quanto ci dicono i Vangeli; e quello
etico, secondo il quale è necessario esaminare in coscienza la “giustezza” della causa in questione, tenendo anche conto dell’opzione preferenziale per i poveri» (291).
La
quarta parte presenta una dettagliata lettura sociale dei testi mariani del Nuovo Testamento, in particolare del
Magnificat, presentato come il canto della liberazione messianica; della Donna vestita di sole di
Apocalisse 12 come figura della lotta con il Drago e con le sue ipostasi sociali; e dell’Annunciazione, dove Maria appare come persona libera, che mette in atto un processo di liberazione. Vengono poi date solo alcune indicazioni sul significato sociale delle altre pericopi mariane, che l’Autore vorrebbe riprendere e sviluppare in un successivo lavoro.
La
quinta parte, che illustra la rilevanza sociopolitica dei dogmi mariani (maternità divina, verginità perpetua, immacolata concezione, assunzione), è la più rilevante sotto il profilo teologico. Si potrebbe dire che il teologo brasiliano incrocia qui le istanze della teologia politica europea. Per Johann Baptist Metz i dogmi della chiesa cristiana sono le articolazioni di una memoria pericolosa, da narrare e da vivere in una solidarietà mistico-politica. E il teologo di Münster aveva anche progettato un commento al
Credo, che svolgesse la dimensione politico-sociale delle verità professate dalla comunità cristiana, ma che è rimasto finora solo allo stato di progetto. Clodovis Boff focalizza la sua attenzione solo sui dogmi mariani, andando così oltre l’evento storico-salvifico e il significato teologico, che essi esprimono, per esporre e commentare la loro rilevanza storica: antropologica, culturale e sociale. La maternità divina presenta Maria come «generatrice della vita» (456); la verginità perpetua presenta Maria come «modello della persona disponibile e generatrice di
vita nuova» (464); l’Immacolata «ci fa credere nella forza radicale del bene, della verità e della giustizia su tutti i poteri della malvagità, della menzogna e dell’oppressione» (494-495); l’Assunzione ci mostra «l’immenso valore della
vita umana, destinata a partecipare […] alla vita eterna di Dio» (508). Abbiamo segnalato qui solo alcune piste di «applicazione sociale», tra le molte indicate dall’Autore. Si tratta di pagine dense teologicamente, ma ricche anche sotto il profilo kerygmatico e catechetico, che saranno di aiuto alle guide delle comunità cristiane nelle molte celebrazioni di festività mariane, che ricorrono nell’anno liturgico.
La
sesta parte, finale, studia la dimensione socioliberatrice della pietà popolare mariana, caratterizzata «dal sentimento, dall’esuberanza, dall’espressività, dalla vitalità, e dal carattere meraviglioso» (537). La pietà popolare può portare «all’alienazione, quando è manifestata a partire dall’esterno», ma anche «alla resistenza e al miglioramento, quando è lasciata a se stessa», e «all’evangelizzazione, quando è evangelizzata: a partire dalle sue virtualità interne» (557). L’Autore studia anche distesamente le principali apparizioni mariane nel loro potenziale socioliberatore. Il teologo sa bene che, come fatto e come messaggio, esse cadono al di fuori del
depositum fidei della rivelazione, ma egli si muove, qui, non sul versante teologico, ma su quello sociopolitico: «Restando a quest’ultimo livello, ciò che interessa è la funzione sociale e l’effetto oggettivo delle credenze, sebbene queste possano essere, entro certi limiti, prodotti dell’illusione» (587). L’esposizione è estesa e le puntualizzazioni sono numerose, in particolare su «Fatima: la più politica delle apparizioni mariane» (630-689), sempre nel tentativo di discernere il significato permanente del fenomeno delle apparizioni e della loro rilevanza sociale.
La conclusione è breve: l’Autore considera la sua ricerca come un inizio: «Lasciamo ad altri il compito di portare verso nuove frontiere l’analisi e la riflessione della mariologia sociale – nuovo campo teorico, del quale il nostro studio ha voluto solo aprire le principali prospettive» (694).
L’opera, che abbiamo esaminato nel contesto della teologia contemporanea, non è un trattato sistematico di mariologia (Laurentin, Alfaro, Beinert, per citare i più noti), né una storia dei dogmi mariani (Söll), ma una ricerca sul significato sociale e pubblico della figura di Maria, e dunque una «mariologia sociale», o anche, espressione più dinamica ma più controversa, una «mariologia della liberazione», che intende ricuperare e sviluppare «l’influsso sociale della Vergine a partire dalla sua posizione soteriologica» (692). Il diffuso e documentato studio del teologo brasiliano non si pone problemi di teologia ecumenica (Brown, Gruppo di Dombes); non si interessa ai problemi di revisione critica, storico-teologica, della mariologia tradizionale (Cerbelaud); disattende i contributi della teologia femminista in campo mariologico (Johnson). La ricerca si inserisce tranquillamente nella linea massimalista mariana, che è andata sviluppandosi nell’Occidente latino nel corso del secondo millennio cristiano, ma è tutta tesa – e in questo sta la sua novità – a mostrare l’incidenza sociale della figura di Maria e del culto mariale nelle sue molteplici manifestazioni, proponendo così una dinamizzazione della mariologia tradizionale.
© Testo già pubblicato in Il Regno – Attualità
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Forum teologico, a cura di Rosino Gibellini
Editrice Queriniana, Brescia (UE)"