Nel suo saggio dove spiega «perché mio padre non resterà tutta la vita bloccato in ascensore», Dubois tratta del rapporto fra mondo creato e mondo eterno. E osserva come ci sia un evento – l’ascensione di Gesù al Cielo – che per la prima volta proietta l’uomo nel luogo preparato dall’eternità per riceverlo. L’ascensione è il nuovo Adamo che prende possesso del giardino da cui il primo Adamo era stato bandito. Nell’ascensione Gesù «porta con sé al Cielo le primizie di una terra ancora presa nei dolori del parto, ma di cui egli è il primogenito». Non solo, ma il Gesù glorificato, assiso alla destra del Padre, prepara la venuta dei suoi fratelli e amici (Gv 15,15) nel suo Regno. È splendido leggere come Dubois immagina il modo in cui si svolge la scena. Gustiamoci questo passo commovente, tratto dal cap. 3 di Perché le mucche risuscitano (probabilmente).
Da tutta l’eternità, il Figlio è nel seno del Padre (Gv 1,18): non l’ha mai lasciato e non lo lascerà mai. Non si può separare il Padre dal Figlio. Ma, nell’ascensione, il Figlio introduce l’umanità nel seno in cui egli riposa. Bisogna saper essere un pochino mistici quando la teologia diviene troppo speculativa. Vediamo dunque questa scena, così capitale, in cui Gesù si presenta al Padre.
Egli è là, in piedi davanti al Padre, segnato da tutta questa folla che ha appena lasciato qualche piano più sotto sulle strade di Galilea, nella polvere dei villaggi dove giacciono poveri e indigenti, dove attendono malati e vedove, dove giocano i bambini e dove i novelli sposi banchettano. Egli è là, in piedi, e suo Padre intuisce anche sul suo amato volto inchinato dinanzi a lui le tracce delle lacrime versate per amore su Lazzaro, e sui suoi piedi il segno ancora arrossato delle mani di Maria Maddalena che voleva trattenerlo, e poi sente da quel corpo risalito dagli inferi il dolce odore del profumo versato dalla donna… Il Padre lo guarda: è davvero suo Figlio? Com’è cambiato! Se almeno Gesù potesse alzare verso di lui il suo sguardo tenero e dolce come un tempo sul giovane ricco… ma Gesù abbassa gli occhi. È talmente unito con tutta questa umanità di cui ha appena condiviso la vita che ha colmato e riempito, in un colpo, tutta la distanza che separava il peccato dalla gloria. Si è immischiato così tanto con tutti loro, che ha fatto ritorno come il figlio prodigo, dopo aver vagato lontano da casa sua. Gesù, «colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore» (2 Cor 5,21). Il Padre ha inviato suo Figlio sulla terra per mescolarsi alla vita di ogni essere umano e di tutti gli esseri umani, fino all’ultimo. Il Figlio ha portato a compimento la sua missione, identificandosi con i peccatori, dal più piccolo al più grande. Lui che è Dio, che non conosce il peccato, che non può fare altro che il bene, ha scelto di farsi così vicino ai peccatori che ne ha rivestito la maschera e la bruttezza. Egli porta il peccato del mondo all’ingresso del Regno. Quanto fango ne profana ora la soglia!
Allora Gesù, muto come pecora, alza le mani trafitte dai due fori, le ferite ispezionate ieri da Tommaso nella stanza sprangata dove i discepoli si erano rinchiusi per paura. Gesù leva ben in alto le sue mani forate ancora lucenti del balsamo versato da Nicodemo, grondanti sangue, sudore e mirra… e non si sa se sia un saluto o un’ardente preghiera. «Padre, queste mani hanno pescato tanti uomini sulla terra e anche nel più profondo degli inferi. Ti consegno il loro spirito. Ti presento con il mio corpo il corpo di tutti loro. Erano tuoi figli, essi sono ora miei fratelli. Se tu mi accetti ancora presso di te, insieme a me sono loro che entreranno nei Cieli». E il Padre della maestà stringe suo Figlio e sente quel sacro cuore battere nel suo petto consumato di passione per la salvezza del mondo.
Avendo sperimentato tutto ciò che forma la vita di una persona umana, Gesù ne porta la speranza e la sofferenza, la miseria e la gloria nell’intimità del Padre. Egli intercede incessantemente per gli uomini, suoi fratelli, di cui condivide ormai per sempre il destino. E, proprio come Cristo fece riconoscere agli apostoli increduli la sua divinità mostrando loro le piaghe aperte, Gesù mostra le sue stesse stimmate al Padre e gli fa riconoscere il mistero della sua umanità. Il suo corpo esprime in totalità la storia di cui è stato segnato: la traccia dei colpi di frusta, il segno dei chiodi, ma anche – chi lo sa? – l’odore del profumo, l’ebrezza del banchetto, il ricordo impresso in tutti i suoi sensi di una umanità di cui ha condiviso intensamente la vita. In piedi davanti al Padre, mostrando le sue ferite e il suo costato, Gesù prega per gli uomini, e il suo corpo, marcato dalla storia della sua vita terrena, esprime perfettamente l’angoscia e la speranza dell’umanità per la quale intercede.
Una grande mistica, santa Margherita-Maria Alacoque, ha mostrato con la devozione al sacro Cuore di Gesù tutta la realtà espressa dal mistero dell’ascensione. Un cuore di carne batte nei Cieli. Il sacro Cuore al quale si affidano tanti fedeli attesta in modo radicale il fatto che Gesù intercede sempre oggi con cuore di uomo presso il Padre.
In cambio, il Padre, vedendo suo Figlio raggiante di un’umanità già trasfigurata, si glorifica in lui. Egli vede al suo cospetto il compimento del disegno che si era eternamente prefissato creando il mondo: la glorificazione dell’umanità. Sotto gli occhi del Padre, Gesù appare come l’uomo creato a sua immagine e somiglianza, il modello perfetto di un’umanità che ha adempiuto liberamente all’alleanza che le era stata proposta. Gesù, insieme uomo e Dio, fa la gioia del Padre. Per mezzo di lui Dio si rallegra delle sue opere, secondo la preghiera: «Gioisca il Signore delle sue opere!» (Sal 104,31) e così come era in principio, quando Dio vide che ciò che aveva fatto era «molto buono» (Gen 1,31). In Cristo l’uomo glorificato fa la gioia e il riposo del Padre. Allora si compie anche l’ammirabile scambio di cui parla sant’Ireneo di Lione: «La gloria di Dio è l’uomo vivente e la vita dell’uomo è la manifestazione di Dio!». Dio Padre si glorifica nel suo Figlio, il Vivente (Ap 1,17). E, poiché riconosce in quell’uomo suo Figlio, la fonte della sua gioia, Dio Padre può accogliere nel suo seno tutti i suoi fratelli. Dio accetta di condividere l’intimità della sua divinità con l’umanità, le cui primizie riceve con il Figlio. Ecco come il Figlio di Dio fatto uomo, nel seno del Padre, prepara un posto per tutti i suoi fratelli e le sue sorelle.
E tuttavia, come osserva la Lettera agli Efesini (4,9), se Gesù è salito, è proprio perché era disceso. Gesù è il Figlio eterno del Padre, nato prima di tutti i secoli. Ma non rimane là. Discende innanzitutto prendendo la natura umana, discende ancora morendo, e discende più ancora andando giù nel fondo degli inferi. Poi è asceso e si è assiso alla destra di Dio, suo Padre. Il Figlio discende – una prima volta divenendo uomo, una seconda morendo, una terza visitando il fondo degli inferi –, poi ritorna di nuovo in alto. È esattamente ciò che dice la Lettera ai Filippesi (2,6-9). È esattamente anche ciò che dice il Credo:
Credo in Gesù Cristo,
suo unico Figlio, nostro Signore,
il quale fu concepito di Spirito santo,
nacque da Maria Vergine,
patì sotto Ponzio Pilato,
fu crocifisso, morì e fu sepolto;
discese agli inferi;
il terzo giorno risuscitò da morte;
salì al Cielo, siede alla destra
di Dio Padre onnipotente.
Il Figlio è caduto, volontariamente, ben più in basso dell’ultimo degli angeli. È andato all’altro capo del mondo, a prendere l’ultimo posto negli inferi, perché nessun uomo, neanche il più peccatore, sia privato dell’aiuto di Dio. Ha abbracciato il fondo della terra dal sommo dei Cieli, per riunire tutto dal più basso al più alto, per ricapitolare tutte le cose (Ef 1,10). E nella sua ascesa, ovviamente, coinvolge chiunque vuole seguirlo, portandolo con sé. A papà basterà, in ascensore, tendere la mano a Cristo quando lo vedrà passare. Il che significa che avrà finito di ordinare le foto, e che avrà le mani libere.
Il Figlio nel più basso, il Padre nel più alto. È una piccola grande differenza. Com’è possibile? Come fa Gesù, ricoperto dal fango del peccato, senza tuttavia essere egli stesso peccatore, essere ancora in relazione con suo Padre immacolato nella sua gloria? Semplicemente perché lo Spirito santo, che sta tra i due, non smette di collegarli. Lo Spirito non cessa di colmare ogni distanza, per riempire tutto di Dio. Se vi foste mai chiesti a che serve la Trinità, vi propongo un fermo immagine: tra il Padre nella gloria e il Figlio agli inferi, sta tutta la distanza che ci permette di vivere liberamente tra i due. Possiamo andare e venire tra la santità e il peccato, senza timore di uscire dallo spazio aperto tra il Padre e il Figlio. Qualunque cosa l’essere umano faccia, sarà sempre compresa nello spazio aperto da Dio tra gli inferi e il Cielo. Tra la gloria del Padre e il Figlio agli inferi c’è abbastanza posto per far entrare l’universo intero con la sua storia, i nostri smarrimenti, il nostro cadere e il nostro rialzarci.
Questo spazio di libertà aperto tra inferi e Cieli, tuttavia, non è eterno. Lo Spirito santo compie la sua opera nel mondo per attirare progressivamente tutto verso l’alto, avvicinare la terra al Cielo, ispirando agli uomini di essere santi. Lo Spirito santo configura gli esseri umani a Cristo. In breve, lo Spirito è lì perché tutti facciano il tragitto compiuto dal Figlio: risalire dal basso verso l’alto.
Esercizio pratico: fai il segno della croce. Nel nome del Padre, in alto, e del Figlio, in basso, e dello Spirito santo, collegando i due e attraversando il tuo corpo. Comprendi dunque, se vuoi, che gli inferi dove il Cristo discende, li portiamo un po’ tutti. Gesù discende anche, e forse innanzitutto, nei nostri inferi, nel fondo del più oscuro delle nostre colpe, dei nostri fallimenti, delle nostre morti volontarie o involontarie. Se siamo aperti allo Spirito, allora potremo essere configurati a Cristo, che opererà in noi la sua ascesa abbagliante, per squarciare le nostre tenebre e lasciarvi passare la luce dei Cieli. Al termine della storia si compirà ciò che dice il libro della Sapienza (1,7): «Lo Spirito del Signore riempie la terra, lui che tiene insieme ogni cosa e ne conosce la voce». Lo Spirito porterà Cristo in ogni essere, per lasciargli compiere la sua opera. Allora Cristo sarà «tutto» in «tutti» (Col 3,11).
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