16/04/2014
282. LA FESTA DELLA GIOIA ETERNA di Jürgen Moltmann
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Anastasis

La risurrezione di Cristo è vittoria sul potere della morte e apparizione della vita eterna, di una vita che non passerà mai. La prima reazione da parte degli uomini è quella della gioia spontanea che erompe al mattino di Pasqua, quando questa vita divina si dischiude e si partecipa. È quella che la Bibbia chiama cháris. Anche la vita comunicata, divina, è vita eterna, vita di partecipazione al vivere divino, non però solo vita nell'aldilà del 'dopo morte', ma fin d'ora risveglio, rinascita, vita vissuta su questa terra con energie nuove.

La cháris si comunica in numerosi charísmata, che non sono soltanto 'doni' di grazia, ma nuove energie vitali. Sarebbe troppo unilaterale intendere questa cháris in termini prettamente giuridici, come la grazia che viene accordata al peccatore. Cháris è vita che si riceve dalla pienezza di Dio e che si esprime in una vitalità nuova e nella gioia prorompente. Alla cháris si reagisce con la chára, appunto la gioia. E questa gioia è quella che si dice anche 'fede vera'.

Per delle creature umane che vogliono vivere, ma sono costrette a morire, tutto ruota attorno alla morte. E se la morte dovesse rappresentare la fine, tutta la gioia di vivere sarebbe destinata a svanire, come svanisce la nostra vita sulla terra. Ma se la vita viene dalla pienezza di Dio, essa sarà vita divina, quella che si manifesterà in noi nella vita da risorti. Proprio per questo fin dagli inizi per la cristianità la risurrezione di Cristo significava pienezza di Dio, e quella gioia che noi chiamiamo 'fede' si traduceva nel giubilo pasquale.

«Giorno di risurrezione. Diventiamo anche noi luce in questa festa. Ed abbracciamoci. Noi che ci odiamo riprendiamo a parlarci. È la risurrezione, perdoniamoci tutto e gridiamo: Cristo è risuscitato dai morti» (Liturgia pasquale ortodossa).

Nella gioia che questa pienezza di Dio c'infonde, "dalla quale noi attingiamo non soltanto 'grazia su grazia', ma anche - come ora possiamo dire - 'vita su vita', fin d'ora la nostra esistenza viene 'trasfigurata' in una vita festosa. E la gioia porta in essa musica e fantasia, dove non si tratta soltanto di vivere la vita, ma anche di organizzarla ed esibirla. È una vita non solo ri-stabilita [her-gestellt], ma anche rap-presentata [dar-gestellt]: davanti a Dio e davanti agli uomini, e che si traduce essa stessa in un inno di lode. Nelle stesse sofferenze ed angosce di cui essa è disseminata, la comunione con il Cristo crocifisso fa sprizzare scintille di fiducia ed accende luci di speranza.

Ed i credenti possono trattenere per se stessi questa gioia, in un mondo loro ostile ed ostile alla stessa vita? No! La trasfigurazione della vita, com'essi l'hanno sperimentata nella gioia pasquale, rappresenta per loro soltanto un piccolo inizio della trasfigurazione del cosmo intero. Il Cristo risorto non arriva soltanto ai morti, per risvegliarli e comunicar loro la sua vita eterna, ma attrae tutte le cose nel suo futuro, per rinnovarle e renderle partecipi dell'eterna gioia di Dio:

«Mediante la tua risurrezione, o Signore, l'universo s'illumina... E l'intero creato ti loda, giorno dopo giorno a te eleva il suo inno» (Liturgia pasquale ortodossa).

La gioia che scaturisce dalla risurrezione di Cristo spalanca sulla redenzione del cosmo le sue prospettive cosmiche ed escatologiche. Perché una redenzione? Nella festa della gioia eterna tutte le creature e l'intera comunità creaturale devono cantare i loro inni e le loro lodi. E non lo intendiamo solo in termini squisitamente antropomorfi: gli inni e le lodi che le creature umane elevano a Dio per il Cristo risorto sono, come esse ben riconoscono, soltanto una debole eco della liturgia cosmica, dei cantici celesti e della gioia di vivere che sale da tutti gli altri viventi.

La festa dell'eterna gioia viene preparata dalla pienezza di Dio e dal giubilo di tutte le creature. Non si avverte in profondità tale pienezza quando ci si limita a parlare di essere e volere di Dio. Meglio sarebbe, pur ammettendo tutti i limiti che questa metafora comporta, parlare di una fantasia di Dio, di quella sua immaginazione creativa dalla quale ha origine la vita in tutta la sua pittoresca varietà. Un creato che, come si è visto, conosce una sua trasfigurazione e glorificazione non può essere semplicemente effetto di un volere di Dio e nemmeno solo una risultanza del suo modo di realizzarsi, ma è come un grandioso cantico od una possente poesia od una meravigliosa danza della sua fantasia, dove si esprime la sua voglia di comunicare la divina pienezza. Il riso dell'universo è l'estasi di Dio.




© 1998 by Queriniana, da L’avvento di Dio. Escatologia cristiana (BTC 100), 366-368
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