15/06/2022
512. L'UMORISMO DI GESU' di Stefano Fenaroli
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«Si dice che Gesù non abbia mai riso. Egli ha parlato di peccato e grazia, del regno di Dio e dell’inferno. Nulla di tutto questo, però, è divertente o spiritoso. In ogni caso, il Nuovo Testamento non riferisce in alcuna circostanza che Gesù abbia riso. Si può pensare, però, o anche solo immaginare che Gesù abbia percorso le campagne con le discepole e i discepoli, abbia mangiato e bevuto vino con loro ma che in tutto questo fosse proibito ridere?» (8).



Suona così la domanda che ci viene posta all’inizio di questo libro di Klaus Berger, che vede impegnato il noto esegeta tedesco alle prese con un tema tutt’altro che convenzionale: l’umorismo di Gesù. È possibile rileggere i racconti evangelici canonici, così come le numerose testimonianze apocrife che ci sono pervenute dall’antichità, concentrando la propria attenzione sull’uso apparentemente ironico, umoristico di alcune espressioni e immagini utilizzate da Gesù? Quali tracce o chiari segnali abbiamo per poter parlare di un «umorismo» di Gesù? E quale può essere il suo significato teologico, ovvero per poter parlare “meglio” di Dio?

La risposta dell’autore a tutte queste domande si articola in un denso e variopinto itinerario teologico-biblico, che parte dalla ferma convinzione per cui è certamente possibile parlare di un «umorismo» di Gesù (per quanto solo gli apocrifi parlino esplicitamente del suo «riso»), riconoscendo come questo non sia un semplice espediente letterario, ma nasconda in sé un ben preciso significato teologico. L’uso di esagerazione, paradossi, contraddizioni, contrasti, si rivela una preziosa chiave di lettura per comprendere la novità e il carattere singolare della storia di Gesù e la sua rivelazione del volto autentico di Dio.

Allo stesso tempo, tuttavia, è nella reazione che questo linguaggio suscita che possiamo ritrovare un ulteriore senso dell’umorismo di Gesù, laddove l’uditore, il destinatario di queste parole si ritrova spiazzato nelle proprie convinzioni, gettato in una situazione di disorientamento.

«L’umorismo sorge come reazione, quando l’immagine che uno si fa delle possibilità finora valide per lui s’incontra e sta dinanzi a quelle che gli vengono presentate da Gesù in tutte le loro conseguenze» (158).

È così, allora, che le parabole, le metafore, i racconti, i miracoli che vedono protagonista Gesù, spesso mettono in scena quello che Berger identifica come un «capovolgimento dei valori».

«L’umorismo di Gesù si manifesta come un atteggiamento di fronte alla vita e un modo di vivere complesso, che si potrebbe definire simil-infantile e che è il contrario della serietà che non si lascia avvicinare» (110).

In questo senso, ciò che sembra piccolo viene rimesso al centro e valutato come la cosa più preziosa, per cui val la pena provare la gioia più grande (Lc 15). Similmente, la povertà di una vedova è degna di maggior considerazione della ricchezza di molti (Mc 12).

Gesù dimostra di non preoccuparsi del futuro (Mt 6), di avere una piena fiducia in Dio e nella sovrabbondanza del suo dono, proprio perché è nel riconoscimento di Dio nelle piccole cose che si trova il fondamento per la speranza nel futuro.

«In molti casi, l’umorismo di Gesù equivale a questa visione del mondo: “Mettere a dura prova il buon senso comune delle persone”. Perché, se l’amore e le parole di Gesù sono più forti della morte, se il futuro di ogni potere sovrano è il regno di Dio, allora anche dei bambini che conoscono Gesù sono i più grandi, parole deboli come le preghiere sono la potenza più forte e le parole di Gesù sono come le parole creatrici del mediatore della creazione» (123).

È questa, dunque, la parola-chiave per comprendere l’umorismo di Gesù: una trasformazione radicale del comune modo di sentire, dei valori e delle convenzioni che segnano la vita umana. Persino la morte viene trattata con ironia e spesso con irriverenza.

«Gesù affronta il tema della morte con una quasi incredibile audacia, anzi insolenza e mancanza di tatto. Perché? Perché se lo può permettere» (128).

È proprio questa la principale testimonianza della divinità di Gesù: solo Dio può parlare dell’umano in questo modo, dando peso, rimettendo al “primo posto” e prendendo “sul serio” ciò che secondo l’essere umano stesso è privo di importanza.

Un procedimento che giunge a mettere in ridicolo persino certi aspetti della morale del popolo d’Israele, e che consente di immaginare un Gesù che letteralmente «ride» di alcuni aspetti della prima comunità cristiana, come possiamo leggere in alcuni noti testi apocrifi.

Un aspetto interessante, messo ben in rilievo da parte dell’autore, è il fatto che questo costante e puntuale ricorso al paradosso, alla critica caustica e ironica, così come il caratteristico riferimento al mondo animale (cammelli, uccelli, scorpioni, maiali ecc.), sembra avvicinare Gesù a una certa scuola di retorica così come alla filosofia cinica.

Un itinerario biblico-esegetico, quindi, ricco di riferimenti, citazioni, brani e curiosità; impegnato a offrire una lettura precisa e puntuale del racconto evangelico, canonico e apocrifo, mettendo in evidenza aspetti e passaggi che talvolta possono passare inosservati o venire deliberatamente considerati come “modi di dire” o eccessi trascurabili. È proprio in questi punti, invece, che secondo Berger si nasconde il significato autentico della rivelazione di Gesù, il suo scompaginare modelli di comportamento e di pensiero, per fare spazio al modo di vedere la realtà da parte di Dio stesso.

Non si tratta, quindi, di un’operazione frivola o fantasiosa, bensì di un autentico percorso teologico-biblico finalizzato a lasciar trapelare un’immagine di Gesù forse, a detta dell’autore, persino più autentica e a noi “vicina” di quanto possa fare una più elaborata e sistematica argomentazione teologica.

«Ponendo la domanda circa l’umorismo di Gesù, incontriamo un Gesù estraneo. Perché, anche se fosse vero ciò che è massimamente improbabile, cioè che Gesù non abbia mai riso, resterebbe ancora da interrogarsi circa la reazione alle sue parole e azioni da parte delle persone. Infatti, tra il ridere, lo sbeffeggiare, il sorridere, il ridacchiare e l’applaudire si dà una moltitudine di possibili reazioni. Le parole e le azioni di Gesù […] sono una via di accesso particolare e autonoma a Gesù. Perlomeno per me è stato così. Né l’esegesi, né la dogmatica erano riuscite a portarmi così vicino a Gesù. Spesso ho l’impressione, mentre rifletto su queste annotazioni e narrazioni, di trovarmi in modo del tutto nuovo direttamente davanti a Gesù come un suo simile, un amico o – con rispetto parlando – un collega» (8).




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