20/01/2004
27. L'islam – una religione aggressiva? di Hans Küng
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È da poco uscito, nella collana “Giornale di teologia” (299) un interessante libro-intervista di Hans Küng, “Perché un’etica mondiale? Religione ed etica in tempi di globalizzazione”, dove, intervistato dal giornalista tedesco Jürgen Hoeren, il teologo tedesco situa il cristianesimo nel contesto delle religioni e delle culture, affrontando temi di grande attualità. Pubblichiamo alcuni brani sull’Islam.



Una delle esigenze fondamentali è: non c’è pace nel mondo senza pace tra le religioni. A proposito dell’Islam dobbiamo pur far menzione della parola chiave “jihad”. L’Islam oggi non ha pur sempre la fama – o la pretesa – di essere una religione particolarmente aggressiva? Proprio nelle discussioni attuali a proposito dei Taliban e di Osama bin Laden diventa un concetto centrale la parola “guerra santa”.



Per lunghi secoli anche il cristianesimo ha destato questa impressione. Noi cristiani abbiamo, certo, parlato sempre di amore, ma la nostra politica coloniale, dalla scoperta dell’America fino al XIX secolo, anzi fino alla prima guerra mondiale, ha, di fatto, dimostrato il contrario. Perciò io penso che dovremmo essere un po’ più cauti quando vogliamo presentarci come la religione dell’amore istitutrice di pace, e l’Islam come la religione dello jih_d.

Jih_d” propriamente non significa “guerra santa”, ma “sforzo”, sforzo morale; è questa una nozione che nel frattempo dovrebbe essere stata divulgata. Ora sicuramente neppure un musulmano può contestare che jih_d nel Corano, e nella shar_’a – la legge religiosa islamica -, viene spesso usato in connessione con la guerra. È anche vero che ci si poteva attendere che il guerriero della fede intraprendesse sforzi militari. Ma analoghi fenomeni si trovano anche nella Bibbia ebraica; e questi racconti non li abbiamo cancellati solo perché parlano delle “guerre sante di Dio”. In questi testi si parla di molto sangue sparso, e ci sono descrizioni in cui si narra, in parte molto drasticamente, come si sia arrivati a questo. Abbiamo anche dei Salmi di maledizione, che anche oggi si potrebbero indirizzare al nostro peggior nemico. Si deve quindi leggere criticamente sia la tradizione ebraica che quella cristiana – in ogni caso ci si può attendere che anche i musulmani leggano criticamente la propria tradizione. Ciò cercano oggi di fare anche i musulmani aperti, nel senso che cercano di interpretare lo jih_d soprattutto come sforzo morale sulla via della salvezza e di venire così a capo dei problemi della violenza nell’Islam. Noi però attraverso l’11 settembre 2001 facciamo anche l’esperienza di come il concetto di “jih_d” possa venire abusato dai fanatici politici. Si pone perciò fondamentalmente il problema dell’interpretazione del Corano. L’Islam deve porsi lealmente a confronto con la modernità.

Il problema della violenza per l’Islam è indubbiamente una questione centrale. Non si può, infatti, ignorare che il profeta Maometto, in opposizione a Gesù di Nazaret, non è soltanto un uomo di stato, ma fu anche un generale che ha combattuto militarmente e perciò venne e viene ancora altamente celebrato. A partire da questa storia delle origini l’Islam ha una nota militare, che naturalmente non possiede il cristianesimo. Certo, pure noi cristiani abbiamo fatto nostro l’elemento militante fin dalla svolta costantiniana e abbiamo violentemente sviluppato l’elemento militare nelle crociate, e in questo senso non siamo secondi ai musulmani in fatto di aggressività. Perciò il papa chiede scusa, almeno oggigiorno.

Ciononostante la situazione del problema è diversa nel Cristianesimo e nell’Islam. Infatti, i musulmani che applicano la violenza, in certe circostanze posso richiamarsi al Profeta, mentre il cristiano, che applica la violenza, non può mai richiamarsi a Gesù, il non violento di Nazaret. Sicuramente su questo punto i musulmani devono ancor più riflettere in quanto vogliano confrontarsi con il problema della violenza. Nel cristianesimo oggi il problema è meno quello della violenza che quello dell’esclusività dogmatica, che si fonda su determinati passi, ad esempio del vangelo di Giovanni, o su una frase così bella come: «Io sono la via, la verità e la vita». La pretesa della verità salvifica lungo il tempo venne intesa proprio dalla chiesa cattolica in maniera così esclusiva che si sono mandati all’inferno tutti coloro che avevano una fede diversa. E ci sono molti fondamentalisti protestanti che ancora oggi vorrebbero mandare all’inferno tutti i credenti in maniera diversa e i non credenti.

Ogni religione ha il suo problema, con cui deve combattere, che trova origine nelle sue stesse fonti, il quale, quindi, non si aggiunge solo secondariamente, ma è dato primamente. Ma al riguardo non si può soltanto parlare, ma anche migliorare concretamente qualcosa. In ogni caso, secondo la mia osservazione, è un fatto che la maggior parte dei musulmani che vivono oggi a Gerusalemme, Amman, Islamabad o a Teheran sono esattamente così pacifici come la maggior parte dei cristiani. Crede forse che, ad esempio, i molti milioni di persone che vivono al Cairo provino un qualche piacere ad entrare in guerra contro Israele? Nessuna traccia. Anche se si sarebbe infinitamente contenti – per citare un altro esempio – se si avesse pace in Algeria. È comunque male quello che sta avvenendo, ad esempio, nel Kashmir tra indù e musulmani, tra India e Pakistan. Non di rado si deve osservare che i conflitti religiosi di determinati capi politici vengono sfruttati per accendere le passioni delle masse. Ma anche questo è un problema che noi spesso abbiamo conosciuto nel cristianesimo. L’appello di Bernardo di Chiaravalle alla crociata non era proprio nel senso del discorso della montagna. I paesi arabi soffrono del fatto che hanno avuto ed hanno moltissimi capi, che aizzano emotivamente le masse invece di migliorare la desolata situazione dei loro popoli. Dovrebbe essere fatto qualcosa nel senso dell’intesa tra i popoli anche in relazione alla politica internazionale, specialmente a livello dell’ONU.

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Forum teologico, a cura di Rosino Gibellini
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