21/11/2005
59. L'Islam Mutamenti storici – sfide attuali di Hans Küng
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È in uscita nella prima settimana di dicembre il n. 5, 2005, della rivista internazionale di teologia Concilium sul tema: Islam e Illuminismo: le nuove questioni. Tra i contributi del fascicolo, l’articolo di Hans Kung, di cui è appena apparsa la traduzione italiana del suo denso volume Islam. Passato, presente e futuro (Rizzoli 2005). Anticipiamo, in forma leggermente abbreviata, l’intervento del teologo di Tubinga sulla rivista Concilium.


Introduzione

Incombe un sospetto generale – questa volta non nei confronti di ebrei, bensì nei riguardi dei musulmani : come se essi, istigati dalla loro religione, siano tutti potenzialmente dei violenti. Al contrario, i cristiani, ammaestrati dalla loro religione, sarebbero tutti alieni dalla violenza, pacifici, pieni d’amore… Sarebbe bello.

Siamo onesti: Ovviamente noi, cittadini di un democratico stato di diritto, nel nome della dignità umana rifiutiamo i matrimoni forzati, l’oppressione delle donne, i delitti d’onore e altre forme arcaiche di disumanità. Ma questo lo fa con noi anche la maggior parte dei musulmani, che soffrono per il fatto che ‘i’ musulmani o ‘l’Islam’ vengano condannati. Nella nostra immagine dell’Islam essi non si riconoscono, poiché vogliono essere cittadini leali di religione islamica.

Siamo onesti: chi vuol fare dell’Islam il responsabile delle rapine, degli attentati suicidi, delle autobombe e delle decapitazioni ad opera di alcuni estremisti accecati, dovrebbe contemporaneamente condannare ‘il cristianesimo’ o ‘l’ebraismo’ per i barbari abusi sui prigionieri, i bombardamenti e gli attacchi con carri armati (100.000 morti tra i civili solo in Iraq) dell’esercito USA e il terrorismo dell’esercito israeliano di occupazione in Palestina. Chi spaccia la guerra per il petrolio e l’egemonia nel vicino Oriente e altrove come ‘lotta per la democrazia’ e ‘guerra contro il terrorismo’, inganna il mondo - certamente senza successo.

Il Segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, nel suo discorso sull’ethos mondiale, tenuto a Tubinga nel 2003, ha sottolineato: «Nessuna religione e nessun sistema etico dovrebbero essere condannati a motivo di deviazioni morali di alcuni loro membri. Se io, ad esempio, in quanto cristiano non voglio che la mia fede sia giudicata sulla base delle azioni dei crociati o dell’inquisizione, devo io stesso essere molto attento a non giudicare la fede di un altro in base alle azioni che pochi terroristi compiono nel nome di quella fede».

Dobbiamo dunque continuare a rinfacciarci le colpe a vicenda, cosa che porta soltanto ad una più profonda desolazione? No, è necessario un altro atteggiamento fondamentale nei confronti di violenza e guerra, un atteggiamento che in fondo i popoli auspicano ovunque, se essi - sia nei paesi arabi sia negli USA - non vengono fuorviati da politici ossessionati e accecati dal potere, e se non vengono rincretiniti nei media da ideologi e demagoghi.

La violenza è stata praticata nel segno della mezzaluna, ma anche nel segno della croce, dai ‘crociati’ medioevali e contemporanei, che hanno stravolto la croce, trasformandola da segno di riconciliazione in un segno di guerra. Nella storia entrambe le religioni hanno esteso il loro ambito di influenza aggressivamente ed hanno difeso il loro potere con la violenza. Esse hanno propagandato nel loro ambiente non una ideologia di pace, bensì di guerra. Il problema è dunque complesso.

Corriamo tutti il rischio di lasciarci sommergere dai giganteschi flussi dell’informazione e di perdere così l’orientamento. E perfino da studiosi della religione è dato talora udire l’opinione che nella propria disciplina si tende a vedere gli alberi, ma a stento si vede ancora il bosco. E così alcuni si concentrano - ad esempio in sociologia - su microstudi e non sono più disponibili o non più in grado di pensare in contesti più grandi. A questo riguardo sono necessarie anche delle nuove categorie, per cogliere i cambiamenti.

Io, dunque, cerco di offrire un certo orientamento fondamentale sull’Islam in connessione con le altre due religioni abramiche, ebraismo e cristianesimo. Per questo entro ora direttamente nel tema. Vorrei affrontare tre blocchi di questioni: I. Il centro e fondamento permanente: che cosa va assolutamente conservato; II. Mutamenti epocali: che cosa può cambiare; III. Sfide odierne: che cosa si impone come compito.


I. Il centro e fondamento permanente

Che cosa, in ognuna delle nostre religioni, deve essere conservato, e assolutamente conservato? In tutte tre le religioni profetiche esistono infatti posizioni estreme. Alcuni dicono: «Nulla va conservato», mentre altri sostengono: «Tutto va conservato»:

- ‘Nulla’ deve essere conservato lo dicono i cristiani totalmente secolarizzati: essi spesso non credono né in Dio né in un Figlio di Dio, ignorano la chiesa e rinunciano a predicazione e sacramenti… Nel migliore dei casi apprezzano l’eredità culturale del cristianesimo: le cattedrali o Johann Sebastian Bach, l’estetica della liturgia ortodossa oppure, paradossalmente, il papa, la cui morale sessuale e il cui autoritarismo essi ovviamente rifiutano, come una colonna dell’ordine stabilito.

- ‘Nulla’ deve essere conservato lo dicono, però, anche gli ebrei totalmente secolarizzati: essi non ritengono nulla del Dio di Abramo e dei padri, non credono alle sue promesse, ignorano le preghiere e i riti della sinagoga e si prendono gioco degli ultraortodossi. Spesso, per il loro ebraismo religiosamente svuotato essi hanno trovato un moderno surrogato di religione: lo Stato di Israele e il richiamo alla Shoah, cosa che anche agli ebrei secolarizzati procura pur sempre una identità ebraica e solidarietà, ma non di rado sembra giustificare anche il disumano terrorismo di stato contro i non ebrei .

- ‘Nulla’ deve essere conservato lo dicono, però, anche i musulmani totalmente secolarizzati: essi non credono in Dio, non leggono il Corano, Muhammad non è per loro un profeta e rifiutano nettamente la Sharja; le cinque colonne dell’Islam non giocano per loro alcun ruolo. Nel migliore dei casi l’Islam, certamente svuotato dal punto di vista religioso, è da sfruttare come strumento per un islamismo, un arabismo, un nazionalismo politici.


È comprensibile che in reazione a questo «non conservare nulla» si elevi chiaro il grido contrario: «conservare tutto». Tutto deve restare così come è e come si presume sia sempre stato:

- «Nessuna pietra del grandioso edificio dogmatico cattolico può essere tolta, il tutto vacillerebbe», strombazzano gli integralisti romani.

- «Nessuna parola della Halacha può essere trascurata; dietro ogni parola sta la volontà del Signore (Adonaj)», protestano gli ebrei ultraortodossi.

- «Nessun versetto del Corano può essere ignorato, tutti sono allo stesso modo direttamente parola di Dio», insistono molti musulmani di fede islamica.

Qui sono ovunque pre-programmati conflitti, non solo tra le tre religioni, ma soprattutto dentro le tre religioni, ovunque queste posizioni vengano sostenute con forme di lotta o in modo aggressivo: spesso le posizioni estreme oscillano in modo elevato da una parte all’altra. «Gli estremi si toccano!».

Tuttavia la realtà non si presenta poi tutta così cupa. Le posizioni estreme, infatti, nella maggior parte dei paesi non rappresentano la maggioranza, se non vengono caricate proprio da fattori politici, economici e sociali. C’è pur sempre un numero considerevole - la cui grandezza varia a seconda del paese e del momento - di ebrei, cristiani e musulmani che - sebbene nella loro religione spesso indifferenti, pigri o ignoranti - in nessun caso però vorrebbero abbandonare tutto nella loro fede e vita ebraica, cristiana o musulmana. I quali, d’altra parte, non sono però neppure disponibili a conservare tutto: non vorrebbero, se cattolici, ingoiare tutti i dogmi e le dottrine morali di Roma o, se protestanti, prendere alla lettera ogni frase della parola biblica, oppure in quanto ebrei attenersi in tutto all’Halacha, o in quanto musulmani conservare rigorosamente tutti i precetti della Sharja.

Come pure: Se non si guarda ad una qualche tardiva elaborazione e formazione storica, ma se si riflette sui documenti originari, le testimonianze originarie, le ‘Sacre Scritture’ delle singole religioni – la Bibbia ebraica, il Nuovo Testamento e il Corano – non ci può essere dubbio alcuno che il ‘permanente’ (ciò che deve rimanere) nelle rispettive religioni non coincide semplicemente con l’‘esistente’ (ciò che esiste attualmente) e che ciò che costituisce il ‘nucleo’, la ‘sostanza’, l’essenza’ di tale religione può essere determinato a partire dalle ‘Sacre Scritture’ della rispettiva religione. Qui dunque si tratta di una questione totalmente pratica: Che cosa nelle nostre religioni, che cosa in ognuna delle nostre religioni deve essere il permanentemente valido e costantemente vincolante? Non tutto deve essere conservato, bensì la sostanza della fede, il centro e fondamento della singola religione, della sua Scrittura sacra, della sua fede! Ora però, a domanda concreta, pur se in modo breve, in linea di principio ecco la risposta:


1. Che cosa, dunque, deve essere conservato nel cristianesimo, se non vuole perdere la sua ‘anima’?
Risposta: Per quanto una critica biblica di natura storica, letteraria o sociologica voglia criticare, interpretare e ridurre, a partire dalle fonti della fede cristiana divenute normative e storicamente efficaci, ossia a partire dal Nuovo Testamento (visto nel contesto della Bibbia ebraica), il contenuto centrale della fede è Gesù Cristo: egli, in quanto il Messia e Figlio dell’unico Dio di Abramo, egli, attivo anche oggi attraverso lo stesso Spirito di Dio. Nessuna fede cristiana, nessuna religione cristiana senza la professione di fede: «Gesù è il Messia, il Signore, il Figlio di Dio!». Il nome Gesù Cristo caratterizza il “centro del Nuovo Testamento” (da non comprendere affatto in modo statico).

2. Che cosa deve essere conservato nell’ebraismo, se non vuol perdere la sua ‘natura’?
Risposta: Per quanto una critica storica, letteraria o sociologica voglia criticare, interpretare e ridurre, a partire dalle fonti della fede diventate normative e storicamente efficaci, ossia a partire dalla Bibbia ebraica, il contenuto centrale della fede sono l’unico Dio e l’unico popolo Israele. Nessuna fede israelitica, nessuna Bibbia ebraica, nessuna religione giudaica senza la professione di fede: «Jahwe (Adonaj) è il Dio di Israele e Israele è il suo popolo!».

3. Ed infine, che cosa deve essere conservato nell’Islam, se vuole rimanere ‘Islam’ nel senso letterale di ‘dedizione’, di ‘sottomissione a Dio’?
Risposta: Per quanto lungo sia stato il processo di raccolta, ordinamento ed edizione delle diverse sure del Corano, è tuttavia chiaro per tutti i musulmani credenti che il Corano è Parola e Libro di Dio. E anche se i musulmani vedono senz’altro una differenza tra le sure della Mecca e le sure di Medina, e nell’interpretarle tengono conto dello sfondo di rivelazione, il messaggio centrale del Corano è però completamente chiaro: «Non esiste altro Dio all’infuori di Dio, e Muhªmmad è il suo Profeta».

Non il rapporto speciale del popolo di Israele con il suo Dio (come nell’ebraismo), e neppure il rapporto speciale di Gesù Cristo con il suo Dio (come nel cristianesimo), bensì il rapporto speciale del Corano con Dio è originariamente punto di partenza e costitutivo centro di cristallizzazione dell’Islam. E nonostante tutti gli errori e le deviazioni della storia dei popoli islamici, questa rimarrà l’idea fondamentale, mai abbandonata, della religione islamica.

Ricapitolando: Ciò che è specifico e va conservato delle tre religioni monoteistiche è allo stesso tempo qualcosa di comune e qualcosa di differenziante.

- Ciò che è comune a ebraismo, cristianesimo e Islam è la fede nell’uno e unico Dio di Abramo, il ricco di grazia e misericordioso creatore, conservatore e giudice di tutti gli uomini.

- Ciò che differenzia è:
Per l’ebraismo: Israele quale popolo e terra di Dio.
Per il cristianesimo: Gesù Cristo quale Messia e Figlio di Dio.
Per l’Islam: il Corano quale parola e libro di Dio.


II. Mutamenti epocali

Di continuo nuove costellazioni epocali legate al tempo - alla società soprattutto, alla comunità di fede, alla predicazione della fede e alla riflessione sulla fede – interpreteranno e concretizzeranno in modi nuovi questo unico e medesimo centro. Oltremodo drammatica è questa storia nell’ebraismo, nel cristianesimo e nell’Islam: la comunità di fede, all’inizio piccola, ma poi - proprio nel caso del cristianesimo e dell’Islam – velocemente cresciuta, nel rispondere a grandi sfide storiche continuamente nuove, ha attraversato tutta una serie di cambiamenti religiosi fondamentali, anzi, alla lunga, di rivoluzionari cambiamenti di paradigma.

La teoria dei paradigmi è solamente una cornice ermeneutica e solo l’attuazione storico-concreta e analitica del presente mostra tutta la sua forza illuminante – come ho mostrato negli ampi studi su cristianesimo, ebraismo e Islam e, a mo’ di approccio nel libro Ricerca delle tracce , anche su induismo, buddismo e la religione cinese. L’analisi rigorosamente storica dei paradigmi di una religione, di quei macroparadigmi o costellazioni epocali complessive, serve al sapere che deve orientare. È una possibilità per effettuare la scelta di uno sguardo complessivo della storia di una religione in modo possibilmente ampio e però allo stesso tempo preciso. L’analisi dei paradigmi, infatti, rende possibile una elaborazione delle grandi strutture e trasformazioni storiche, concentrandosi contemporaneamente sulle costanti fondamentali come pure sulle variabili decisive. Così, in ogni caso, è possibile definire le fratture storiche, nonché i modelli fondamentali epocali che ne sono emersi, della rispettiva religione, che determinano fino ad oggi la sua situazione come modello di percezione.


III. Sfide odierne

In questo modo, dunque, ogni religione appare non come una grandezza statica, dove presumibilmente tutto è stato da sempre come è oggi, ma piuttosto come realtà che si sviluppa in modo vivo, che ha attraversato diverse costellazioni epocali complessive. A questo riguardo si impone una prima considerazione decisiva: i paradigmi possono conservarsi (salvo il primissimo) fino al presente! Le cose vanno diversamente nelle scienze ‘esatte’: qui il vecchio paradigma (ad esempio quello tolemaico) può essere empiricamente verificato o falsificato grazie alla matematica e agli esperimenti; le decisioni a favore del nuovo paradigma (copernicano) possono, alla lunga, essere ‘imposti’ dall’evidenza. Nell’ambito della religione (e anche dell’arte), invece, le cose vanno diversamente: in questioni di fede, di costumi e di riti (ad esempio tra Occidente e Oriente, oppure tra Roma e Lutero) nulla può essere deciso su base matematica o per via di esperimenti, e così nelle religioni i paradigmi vecchi non scompaiono necessariamente. Piuttosto, possono continuare a sussistere accanto a paradigmi nuovi per secoli: il nuovo (quello della riforma o quello moderno) accanto all’antico (quello della chiesa antica o quello medioevale).

Per giudicare la situazione delle religioni questa persistenza e concorrenza di differenti paradigmi è della massima importanza. Una seconda importante considerazione: Perché? Fino ad oggi persone della stessa religione vivono in paradigmi diversi! Essi sono segnati da condizioni di fondo che continuano a sussistere e sono soggetti a determinati meccanismi sociali. Così, ad esempio nel cristianesimo, ci sono ancor oggi dei cattolici che spiritualmente vivono nel secolo XIII (contemporanei di Tommaso d’Aquino, dei papi medioevali e dell’ordinamento assolutistico della chiesa). Ci sono alcuni esponenti dell’ortodossia orientale che spiritualmente sono rimasti al IV/V secolo (contemporanei dei Padri della chiesa greci). E per alcuni protestanti continua ad essere decisiva la costellazione precopernicana del XVI secolo (con i riformatori prima di Copernico, prima di Darwin).

In modo analogo alcuni arabi sognano ancora il grande impero arabo e si augurano l’unificazione dei popoli arabi in un’unica nazione araba (‘panarabismo’). Altri, però, non vedono nell’arabismo, bensì nell’Islam l’elemento di unificazione tra i popoli e danno priorità ad un ‘panislamismo’. Alcuni ebrei ortodossi vedono il loro ideale nell’ebraismo medioevale e rifiutano un moderno Stato di Israele. Al contrario, molti sionisti aspirano ad uno Stato nei confini del regno di Davide e Salomone.

Proprio questo perdurare, questa persistenza e concorrenza di precedenti paradigmi religiosi nell’oggi potrebbe essere una delle cause principali dei conflitti all’interno delle religioni e tra le religioni, causa principale dei diversi orientamenti e partiti, delle tensioni, delle controversie e delle guerre. Quale terza importante considerazione si rivela la seguente: sia per l’ebraismo come per il cristianesimo e anche per l’Islam risulta centrale la questione di come si rapporta questa religione con il proprio Medioevo (perlomeno nel cristianesimo e nell’Islam considerato come la ‘grande epoca’) e come con la modernità, dove in tutte e tre le religioni ci si vede costretti alla difensiva. Il cristianesimo ha dovuto affrontare, dopo la Riforma, un ulteriore cambiamento di paradigma, quello dell’Illuminismo. L’ebraismo, invece, ha superato dapprima l’Illuminismo e in seguito ad esso ha vissuto, perlomeno nell’ebraismo riformato, una riforma religiosa. L’Islam, però, non ha affrontato alcuna riforma religiosa e perciò con la modernità ha, fino al giorno d’oggi, senz’altro particolari problemi.

Molti ebrei, cristiani e musulmani, che accettano il paradigma moderno, si comprendono tra di loro meglio che con i propri correligionari che vivono secondo altri paradigmi. Viceversa, i cattolico-romani fermi al Medioevo possono, ad esempio nelle questioni di morale sessuale, legarsi con i ‘medioevali’ presenti nell’Islam e nell’ebraismo (cfr. la conferenza dell’ONU sulla popolazione, al Cairo nel 1994).

Chi vuole riconciliazione e pace non si sottrarrà ad una analisi critica e autocritica dei paradigmi. Solo in questo modo è possibile rispondere a questioni come queste: dove sono, nella storia del cristianesimo (e naturalmente anche delle altre religioni) le costanti e dove le variabili, dove continuità e dove discontinuità, dove accordo e dove resistenza? Questa è una quarta considerazione: da conservare è soprattutto l’essenza, il fondamento, il nucleo centrale di una religione e, a partire da qui, le costanti presenti fin dalle origini. Da non conservare senza riserve è tutto ciò che, a partire dalle origini, non è essenziale, ciò che è guscio e non nocciolo, ciò che è costruzione successiva e non fondamento. Possono essere abbandonate (o anche sviluppate in modo alternativo), qualora si dimostri necessario, tutte le svariate variabili.

Così, infatti, una analisi dei paradigmi, di fronte a tutta la babele religiosa, aiuta, proprio nell’epoca della globalizzazione, ad ottenere un orientamento globale. Noi ci troviamo senza dubbio in una delicata fase decisiva per la nuova configurazione delle relazioni internazionali, del rapporto tra Occidente e Islam, e anche delle relazioni tra le tre religioni abramiche: ebraismo, cristianesimo e Islam. Le opzioni sono diventate chiare: o rivalità delle religioni, scontro delle civiltà, guerra delle nazioni – oppure dialogo delle culture e pace tra le religioni come premessa per la pace tra le nazioni! Di fronte alla minaccia mortale per tutta l’umanità, invece di erigere nuove barriere dell’odio, della vendetta e dell’inimicizia, non dovremmo piuttosto demolire pietra su pietra i muri del pregiudizio e costruire così ponti del dialogo, ponti proprio anche verso l’Islam?



IV. Islam e ethos mondiale

Per una tale costruzione di ponti è di importanza decisiva questo: per quanto diverse siano ora le tre religioni, e per quanto differenti siano, a loro volta, i diversi paradigmi che nel corso dei secoli e dei millenni cambiano, ci sono, proprio sul piano etico, delle costanti che rendono possibile questa costruzione di ponti.

Da quando l’uomo si è sviluppato dal regno animale ed è diventato uomo, ha anche imparato a comportarsi da uomo e non in modo disumano. Ma la bestia, insieme con l’istinto naturale dell’uomo, è rimasta, malgrado l’uso della ragione ora sviluppato, una realtà nell’uomo. E di continuo l’uomo ha dovuto sforzarsi sempre di nuovo per essere umano e non disumano.
Così, in tutte le tradizioni religiose, filosofiche e ideologiche si trovano alcuni semplici imperativi etici dell’umanità, che sono rimasti fino ad oggi di grandissima importanza:

- «Non uccidere - ma anche non torturare, tormentare, ferire» – o positivamente: «Rispetta la vita!». L’impegno per una cultura della non violenza e del rispetto di ogni vita.

- «Non rubare – ma anche non sfruttare, traviare, corrompere», o positivamente: «Agisci in maniera corretta e leale!». L’impegno per una cultura della solidarietà e di un giusto ordine economico.

- «Non mentire – ma anche non ingannare, falsificare, manipolare», o positivamente: «Parla e agisci con sincerità!». L’impegno per una cultura della tolleranza e di una vita nella veracità.

- E infine: «Non fare cattivo uso della sessualità – ma anche non abusare, degradare, umiliare il/la partner» – o positivamente: «Rispettatevi e amatevi a vicenda!». L’impegno per una cultura della parità e del trattarsi da partner tra uomo e donna.

Alla base di questi quattro imperativi etici, che troviamo anche in Patanjali, il fondatore dello Yoga, come pure nel canone buddista, nella Bibbia ebraica e anche nel Nuovo Testamento e nel Corano, stanno due principi etici fondamentali:

- In primo luogo la Regola d’oro, già coniata da Confucio molti secoli prima di Cristo e nota in tutte le grandi tradizioni religiose e filosofiche, ma assolutamente non ovvia: “Quello che non desideri per te, anche tu non farlo agli altri”. Questa regola è tanto elementare quanto utile nel decidere in varie situazioni difficili.

- La Regola d’ora viene sostenuta dalla Regola di umanità, per nulla tautologica: “Ogni persona - giovane o anziana, uomo o donna, disabile o non disabile, cristiano, ebreo o musulmano - deve essere trattata umanamente e non in maniera disumana”. L’umanità, l’umano, è indivisibile!


Da tutto ciò diventa chiaro che per ethos comune a tutta l’umanità, un ethos mondiale, non si intende un sistema etico al modo di Aristotele, Tommaso d’Aquino o Kant (‘ethics’), bensì alcuni elementari valori, criteri e comportamenti etici che devono formare la convinzione morale individuale della persona umana e della società (‘ethic’).

Questa etica è naturalmente sempre controfattuale: I suoi imperativi di umanità non vengono soddisfatti a priori, devono essere di continuo richiamati alla memoria e realizzati in forme nuove. Ma come ha detto Kofi Annan nel suo discorso sull’ethos mondiale a Tubinga nel 2003: «Se però è sbagliato condannare una determinata fede o un determinato sistema di valori a motivo dei comportamenti o delle affermazioni di alcuni dei suoi seguaci, allora deve essere altrettanto sbagliato rinunciare all’idea che certi valori sono universali soltanto perché alcune persone sembrano non accettare questi valori».

Mi sia perciò concesso di concludere con le stesse parole con cui anche il Segretario generale dell’ONU ha concluso il suo discorso: «Esistono ancora valori universali? Sì, ci sono, ma non li dovremmo ritenere ovvi.
Essi devono essere oggetto di accurata riflessione,
devono essere difesi,
e devono essere rafforzati.
E noi dobbiamo trovare in noi stessi la volontà di vivere secondo i valori che annunciamo – nella nostra vita privata, nella nostra comunità locale e nazionale e nel mondo».



© 2005 by Teologi@Internet
Traduzione dal tedesco di Gianni Francesconi
Forum teologico, a cura di Rosino Gibellini
Editrice Queriniana, Brescia (UE)
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Teologi@Internet: giornale telematico fondato da Rosino Gibellini