Statunitense, esperto delle intersezioni fra ecclesiologia, nazionalismo e cultura, Michael L. Budde nell’ultimo numero della rivista Concilium dedica un suo pungente contributo al tema degli intrecci fra nazionalismo e ortodossia, emersi di recente come una delle dimensioni della guerra in corso in Ucraina. Lo fa in un fascicolo dedicato all’Africa e alla teologia africana, perché sembra profilarsi «un nuovo capitolo di una vecchia storia»: stato russo e chiesa russa muovono, in sinergia, alla conquista economica, militare, politica e religiosa di interi stati di quel continente. Budde mette in guardia gli Africani, evidenziando alcune dinamiche distorte, non sempre palesi, dell’alleanza fra trono e altare. Ma il suo racconto – di cui qui riproduciamo la prima parte – svela lati nascosti anche ai nostri occhi di Europei, preoccupati dall’espansione di un conflitto “alle porte di casa”.
Nel continente africano si sta svolgendo un’altra incursione di attori politici e culturali esterni che cercano potere e influenza inserendosi profondamente nella vita e nella politica africana. Questo dramma vede protagonista il governo russo e la sua collaborazione con la Chiesa ortodossa russa. Mentre il regime di Putin si estende in tutta la regione fornendo “assistenza” militare, economica e di altro tipo, la Chiesa ortodossa russa mira a espandersi in modo speculare. Alla fine del 2021, per esempio, quest’ultima ha stravolto secoli di norme ortodosse mettendo da parte l’autorità del patriarca di Alessandria e creando un nuovo esarcato per tutta l’Africa, sotto il controllo del patriarca di Mosca.
Benché sia troppo presto per sapere quanto questa partnership tra chiesa e stato sarà efficace nel condizionare i regimi e le pratiche africane a proprio piacimento, è chiaro che quest’alleanza solleva importanti questioni per le chiese africane in materia di rapporti fra chiesa e stato. La Chiesa ortodossa russa ha abbracciato una forma di nazionalismo religioso che vede lo stato russo come una forza messianica nel mondo; nel frattempo, la chiesa è diventata, secondo diversi studiosi, poco più che un braccio del soft power del regime putiniano. Il caso della Chiesa ortodossa russa può servire anche da ammonimento per le chiese africane, che devono riflettere sui loro rapporti con regimi politici e stati.
1. Per Dio e per la nazione
Mentre sto scrivendo, ho una manciata di foto sulla scrivania.
In una c’è un prete ortodosso russo che benedice un missile nucleare prima della parata nazionale del 2015, una giornata solenne che celebra la vittoria russo-sovietica sulla Germania nazista nella Grande guerra patriottica (nota altrove come Seconda guerra mondiale).
Accanto a quella c’è un’immagine della cattedrale principale delle Forze armate di Mosca, inaugurata di recente, le cui torri sono state progettate per assomigliare a missili nucleari puntati verso il cielo, come simbolo della potenza militare russa e della protezione che essa fornisce alla chiesa e alla società. Secondo Lena Surzhko Harned,
il campanile della chiesa delle Forze armate è alto 75 metri e simboleggia il LXXV anniversario della fine della Seconda guerra mondiale. Il diametro della cupola è di 19,45 metri e segna l’anno della vittoria: 1945. Una cupola più piccola misura 14,18 metri: rappresenta i 1.418 giorni di durata della guerra. I trofei bellici sono fusi nel pavimento, così che ogni passo sia un colpo ai nazisti sconfitti. Gli affreschi celebrano la potenza militare russa lungo la storia, dalle battaglie medievali alle guerre contemporanee in Georgia e Siria. Gli arcangeli guidano gli eserciti celesti e terreni, Cristo brandisce una spada e la sua beata Madre, raffigurata come la Madrepatria, gli dà sostegno. Gli affreschi celebrano anche l’occupazione della Crimea iniziata nel 2014, con persone esultanti che reggono uno striscione recante la scritta «Siamo insieme».
I gradini della cattedrale sono realizzati con carri armati tedeschi fusi, il che significa che – secondo le parole del ministro della difesa russo Sergej Šojgu – «salendo i gradini della cattedrale, camminiamo sopra le armi del nemico sconfitto». Una volta entrati nella cattedrale, si viene accolti da una serie di mosaici, tra cui uno che viene indicato come il più grande del mondo. Le vetrate mostrano soldati che riempiono ogni scorcio, dalle guerre antiche ai giorni nostri, con santi, angeli e armamenti riuniti in formazione, sotto lo sguardo amorevole della Vergine che osserva dal cielo. In origine la cattedrale ospitava mosaici raffiguranti Iosif Stalin e l’attuale presidente Vladimir Putin. Quest’ultimo ha fatto rimuovere la sua effigie, stoccandola in magazzino in quanto la riteneva prematura; Stalin è stato rimosso solo dopo una grande discussione tra i funzionari ecclesiastici e quelli militari: il suo ruolo nella persecuzione della chiesa lo ha reso, in ultima analisi, un oggetto di celebrazione ambiguo.
Nella cattedrale è stato lasciato uno spazio aperto per aggiungere conflitti futuri.
Il punto non è meravigliarsi della vistosità di questo mix di Dio e armi. Non si tratta semplicemente di suggerire che chiesa e stato potrebbero essere meglio serviti da una relazione più distaccata fra di loro. Intendo suggerire che il patriarca Kirill, giudicato secondo i parametri dello stesso mondo cristiano-ortodosso, potrebbe essere colpevole di eresia. La sua cattedrale militare è semplicemente la punta dell’iceberg.
2. L’eresia dell’etnofiletismo
A volte colpisce gli osservatori esterni come qualcosa di curioso il fatto che il cristianesimo ortodosso, la cui tradizione di autocefalia – chiese autogestite e autogovernate, generalmente legate a una comunità etnica o nazionale (per esempio, grecoortodossi, serbo-ortodossi, russo-ortodossi) – è comunque accettata, condanni il nazionalismo nella chiesa considerandola un’eresia. Tale decisione è stata promulgata nel 1872 in occasione del santo e grande sinodo pan-ortodosso di Costantinopoli, nel quale il nazionalismo religioso (utilizzando il termine tecnico “filetismo” o “etnofiletismo”) è stato condannato come una moderna eresia. Come dichiararono i padri sinodali,
rinunciamo, censuriamo e condanniamo il razzismo, cioè la discriminazione razziale, le faide etniche, gli odi e i dissensi all’interno della chiesa di Cristo, in quanto contrari all’insegnamento del vangelo e ai santi canoni dei nostri beati padri che «sostengono la santa chiesa e l’intero mondo cristiano, lo abbelliscono e lo conducono alla divina santità.
Va notato che qui la categoria di “razza” comprende l’idea di “nazione” e non semplicemente il concetto più limitato e moderno di razza. Sebbene l’oggetto immediato che attirò l’attenzione del sinodo nel 1872 fosse la questione se una chiesa etnico-nazionale potesse rivendicare l’autorità e la giurisdizione sui membri del proprio gruppo che vivevano sotto la giurisdizione di un’altra chiesa ortodossa (per esempio, se può esserci un vescovo bulgaro con autorità sui bulgari nel territorio della Chiesa ortodossa greca), la questione rapidamente divenne quella dei limiti del nazionalismo nel mondo cristiano.
Lo studioso ortodosso Grigorios Papathomas descrive le cose in questo modo:
Il filetismo è l’adozione e l’attuazione del principio di nazionalità a livello ecclesiale, ovvero della precedenza e preponderanza, all’interno della storia, della razza e della nazione rispetto al Regno. Il filetismo rappresenta il perseguimento deliberato e consapevole della discriminazione razziale e nazionale all’interno della chiesa, dando la priorità a coloro che appartengono alla stessa razza e nazione – ed escludendo, per definizione, coloro che appartengono ad altre razze e nazioni – nella composizione del corpo ecclesiale… Esso rappresenta una confusione tra la chiesa e la razza-nazione, un’assimilazione – e persino, a volte, un’identificazione – della chiesa con la nazione. Abbiamo quindi a che fare con una strana correlazione di due dimensioni, in cui il filetismo “tribalizza” la chiesa e la subordina agli obiettivi della razza e della nazione o, peggio ancora, si serve della chiesa per discriminare quelli di altre razze e nazioni per il solo vantaggio della propria razza e della propria nazione.
A partire dal 1872, i teologi ortodossi e i vertici della chiesa hanno discusso su come si debba interpretare la condanna del filetismo, se in senso stretto o in senso estensivo. Vale a dire: essa va interpretata in senso stretto, cioè come condanna dell’usurpazione delle prerogative della diocesi territoriale (rivendicando l’autorità sul proprio gruppo etnico all’interno di quella diocesi), oppure la condanna va applicata alla fusione illegittima tra ortodossia e nazionalismo più in generale? Diverse parti del mondo ortodosso sembrano aver assunto posizioni diverse in tempi diversi, e il “filetismo” è spesso una clava brandita contro i propri avversari nei conflitti intra-ortodossi. Così, da un lato, la propria miscela di cultura nazionale-etnica e cristianesimo risulterebbe una forma sana di incarnazione e inculturazione, che esemplifica il valore ortodosso della sinfonia o cooperazione tra autorità religiosa e politica, a servizio del bene comune. Dall’altro lato, i suoi rivali ecclesiali sarebbero colpevoli di filetismo, un imbastardimento distorto del vangelo che si fa beffe dell’unità ecclesiale al di là dei confini per perseguire interessi nazionalistici.
In questi dibattiti si assiste spesso a tentativi di distinguere il patriottismo (una cosa buona) dal nazionalismo (una cosa cattiva), o i diversi tipi di nazionalismo l’uno dall’altro (il nazionalismo etnico è cattivo, ma il nazionalismo civico può essere buono). A mio avviso tali distinzioni non sono utili. Come se non bastasse, per alcuni “fondamentalisti” del mondo ortodosso, anche solo sollevare la questione di un nazionalismo ortodosso esagerato significa esporsi come leccapiedi occidentali e agenti eretici anti-ortodossi del liberalismo satanico.
Nonostante le discussioni a livello di definizione e di applicazione, l’etnofiletismo come eresia è riconosciuto in tutto il mondo ortodosso. È su questa base che suggerisco che il patriarca Kirill si sia macchiato di questa eresia, una posizione avanzata da centinaia di teologi ortodossi, soprattutto alla luce dell’invasione dell’Ucraina, benedetta dal patriarca come una missione sacrosanta[1].
[1] È proprio la falsa dottrina dell’etno-filetismo, in quanto forma di fondamentalismo religioso ortodosso, che sta alla base dell’ideologia del “Mondo russo” (Russkij mir), condannata da un testo firmato da 65 teologi ortodossi di tutto il mondo. Si veda all’url: https://www.lanuovaeuropa.org/chiesa/2022/03/18/leresia-detonatore-e-volto-della-crisi/.
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