29/09/2005
56. L'eredità del Concilio Vaticano II (1962-1965) di Hans Küng
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E’ in uscita il fascicolo 4/2005 di Concilium. Rivista internazionale di teologia che ha come titolo: Vaticano II: un futuro dimenticato? edito dallo storico della chiesa Alberto Melloni, e dal teologo francese Christoph Theobald.
Il fascicolo si articola in quattro parti:
1. Una prospettiva sul Vaticano II a quarant’anni dalla sua celebrazione: rilevanza discontinua;
2. Il Vaticano II oggi: dov’è e qual è il suo centro;
3. Il futuro del Vaticano II;
4. Il Vaticano II: quale bilancio.
Si tratta di una rivisitazione prospettica, condotta da storici e teologi di calibro internazionale.Proponiamo la prima parte dell’articolo del teologo di Tubinga, già perito conciliare, Hans Küng, dove in rapidi tocchi segnala l’eredità del Concilio Vaticano II. Rimandiamo i lettori e le lettrici al testo completo, dove in una seconda parte Küng indica il compito inevaso che resta da fare.



Eredità: il concilio Vaticano II, con le sue costituzioni e i suoi decreti, con le sue decisioni e i suoi impulsi, ci ha lasciato una eredità preziosa, sebbene problematica. Una eredità che, anziché raccogliere e far fruttare, si può anche rifiutare o perlomeno lasciare inutilizzata. Ma quanto povere sarebbero la chiesa cattolica e la cristianità nel suo complesso senza questo concilio! Nessun’altra chiesa, dal tempo della Riforma in poi, ha compiuto una simile riforma. Ma procediamo con ordine e senza grande dissociazione:
Punto 1: Se questo concilio non ci fosse stato, nella chiesa cattolica si continuerebbe a considerare libertà di religione e tolleranza come prodotti nocivi del moderno spirito del tempo; nei paesi cattolici si continuerebbe a rifiutare alle altre comunità religiose (“eretiche”) la libertà di religione. Dopo lunghe e dure discussioni, il Vaticano II ha compiuto una svolta che per gli ideologi dell’infallibilità era difficilmente pensabile: che ogni persona abbia il diritto alla libertà di religione; che possa agire, proprio nelle cose religiose, secondo la propria coscienza, libera da ogni costrizione; che ogni comunità religiosa abbia il diritto al libero esercizio pubblico della religione, secondo le sue proprie leggi.
A partire dal Vaticano II, in effetti, nei paesi cattolici è complessivamente cessata la discriminazione dei protestanti. Più nessun impedimento per loro alla formazione di pastori, all’erezione di edifici ecclesiastici, alla diffusione della Bibbia e alla collaborazione nel dare un’impronta alla vita sociale. Questa libertà religiosa vissuta giovò ovviamente anche ai cattolici che vivevano in regioni a “predominio” protestante.

Punto 2: Se questo concilio non ci fosse stato, la chiesa cattolica continuerebbe a sottrarsi al movimento ecumenico, continuerebbe a condurre contro le altre confessioni guerre fredde con penna e lingua appuntite. Ancor sempre delimitazione polemica, e persino separazione combattiva in teologia e nella società – e tutto questo, è ovvio, reciprocamente!
Il Vaticano II ha riconosciuto, sebbene con grande fatica, la corresponsabilità colpevole dei cattolici nella divisione della chiesa e la necessità della riforma continua: non più un semplice “ritorno” degli altri a una chiesa cattolica immutabilmente rigida, ma un rinnovamento della propria chiesa nella vita e nella dottrina secondo il vangelo, quale premessa per una auspicabile riunificazione. Agli altri cristiani ci si rivolge come a comunità o chiese cristiane. A nuovi dogmi e a nuove condanne, però, il concilio ha espressamente rinunciato per volere di papa Giovanni.
In verità, a partire dal concilio Vaticano II nella chiesa cattolica si è ampiamente radicato un atteggiamento ecumenico. A tutti i livelli si sono imposti conoscenza reciproca, dialogo e collaborazione, e anche preghiere comuni e una crescita delle comunità liturgiche. Avvicinamenti ecumenici si registrano pure nella teologia: particolarmente evidenti nella esegesi biblica, nella storia della chiesa, nella pedagogia religiosa e nella teologia pratica, ma a perdita d’occhio anche nella dogmatica. Questo fa sorgere la domanda perché anche in Germania (come negli Stati Uniti) non si porti avanti, nel segno dell’ecumenismo e della scarsità di mezzi nei bilanci pubblici, l’integrazione delle facoltà teologiche. Da noi, a Tubinga, subito dopo il concilio eravamo più avanti di quanto non lo siamo oggi. Ma anche il rapporto delle comunità cristiane tra di loro e specialmente dei loro parroci è decisamente migliorato sotto l’influsso del Vaticano II e contemporaneamente anche del Consiglio ecumenico delle Chiese (WCC); in molti casi il rapporto è diventato collegiale, anzi amichevole.

Punto 3: Se questo concilio non ci fosse stato, le altre religioni del mondo sarebbero per la chiesa ancor sempre oggetto soprattutto dello scontro negativo e polemico e di strategie missionarie di conquista. Ostilità specialmente nei confronti dei musulmani e in particolare degli ebrei. L’antisemitismo nazionalsocialista, a sfondo razzista, sarebbe stato impossibile senza il secolare antiebraismo religioso delle chiese cristiane.
Per il concilio Vaticano II, però, tutti i popoli, con le loro differenti religioni, formano una sola comunità: in modi diversi cercano di rispondere alle stesse domande fondamentali sul senso della vita e sul cammino dell’esistenza. Nulla, dunque, dovrebbe venire rifiutato di ciò che nelle altre religioni è vero e santo – il risplendere dell’unica verità che illumina tutti gli uomini. Parole di stima per l’induismo, il buddismo e particolarmente per l’islam, che – secondo l’esempio di Abramo – insieme con i cristiani adora l’unico Dio e venera Gesù come profeta di Dio. L’ostilità tra cristiani e musulmani deve far posto alla comprensione e all’impegno comune per la giustizia sociale, per la pace e la libertà. In modo speciale, però, la chiesa cristiana è legata alla religione ebraica, dalla quale è nata e con cui condivide le sacre Scritture. Per la prima volta viene decisamente rifiutata da un concilio una “colpa collettiva” del popolo ebreo di allora, o addirittura di oggi, nella morte di Gesù, si prende posizione contro un rigetto o una maledizione dell’antico popolo di Dio, anzi si deplorano «gli odî, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli ebrei in ogni tempo e da chiunque» e al tempo stesso si auspicano «mutua conoscenza e stima» (dichiarazione Nostra aetate, n. 4).
Non è da trascurare: dal concilio Vaticano II in poi la conoscenza e la stima delle altre religioni e particolarmente dell’ebraismo sono enormemente cresciute – nella predicazione, nella catechesi, negli studi e nei dialoghi. Ogni discriminazione a motivo di razza, colore della pelle, condizione o religione è da allora vietata. Ci si riconosce nella fraternità di tutti gli esseri umani sotto l’unico Dio. Anche la possibilità della salvezza dei non cristiani, perfino degli atei in buona fede, ossia che vivono secondo coscienza, viene esplicitamente riconosciuta.

Punto 4: Se questo concilio non ci fosse stato, la liturgia cattolica continuerebbe ad essere una liturgia clericale celebrata in una lingua straniera incomprensibile, alla quale il popolo “assiste” solo passivamente, in “uffici solenni” in latino e in “messe private” sussurrate rivolti a una parete.
Il Vaticano II ha fatto ridiventare la celebrazione dell’eucaristia la liturgia dell’intero popolo sacerdotale: forma comprensibile, partecipazione attiva di tutti nella preghiera e nel canto comuni e nel ricevere la comunione. Il tutto quale felice realizzazione delle richieste dei Riformatori: le medioevali messe private praticamente abolite a vantaggio della celebrazione comunitaria; il calice ai laici permesso almeno in determinate situazioni; introduzione della lingua del popolo e, in tal modo, adattamento della liturgia alle differenti nazioni; infine, semplificazione e concentrazione dei riti sull’essenziale.

Punto 5: Se questo concilio non ci fosse stato, teologia e spiritualità della Bibbia continuerebbero, nella chiesa cattolica, ad essere trascurate nella predicazione, nella teologia di scuola e nella pietà privata. Praticamente la tradizione ecclesiale posta, nella teoria e nella prassi, sopra la sacra Scrittura – e il magistero sopra entrambe. Il rinnovamento biblico incontrò, come quello liturgico, molte difficoltà. Contro i metodi moderni della spiegazione della Scrittura si praticò il rifiuto.
Il Vaticano II ha riconosciuto, purtroppo senza definire chiaramente il rapporto fra Scrittura e tradizione, l’importanza preminente della Bibbia: ogni annuncio ecclesiale, predicazione, catechesi, e soprattutto l’intera vita cristiana devono essere alimentati e guidati dalla Scrittura. Il magistero non sta al di sopra della Parola di Dio, bensì deve porsi al suo servizio. Gli studi storico-critici della Bibbia vengono incoraggiati. Lo studio della Scrittura dovrebbe essere, per così dire, l’anima della teologia.
Di fatto, dal Vaticano II in poi la legittimità di una genuina esegesi storico-critica non è più contestata e, a prescindere da casi eccezionali, è difficile che venga impedita. La cosiddetta inerranza della Scrittura viene rivendicata al massimo per la verità salvifica, non però per le affermazioni puramente scientifiche e storiche. L’accesso alla Scrittura per tutti i credenti viene facilitato grazie a traduzioni di pregio e in parte anche ecumeniche. Nella liturgia, una lettura comprensibile della Scrittura, secondo un nuovo e più ricco e vario ordinamento delle pericopi. Nessuna liturgia domenicale senza predica. Ripristino della liturgia della Parola anche indipendentemente dalla celebrazione dell’eucaristia, e in determinate circostanze guidata da laici.

Punto 6: Se questo concilio non ci fosse stato, la chiesa continuerebbe ad essere compresa come un “impero romano” soprannaturale, con al vertice il papa, come sovrano assoluto, sotto di lui l’“aristocrazia” dei vescovi e dei preti, e infine, in funzione passiva, il “popolo suddito” dei fedeli. Nel complesso un’immagine di chiesa clericale, giuridicizzata e trionfalistica.
Il concilio Vaticano II critica questa immagine di chiesa e comprende la chiesa – sebbene con fatali compromessi tra immagine di chiesa medioevale e immagine biblica – di nuovo fondamentalmente non come piramide gerarchica, bensì come comunità di fede, come communio, come popolo di Dio, continuamente in cammino nel mondo. Un popolo di pellegrini immerso nel peccato e nella provvisorietà, che deve essere disponibile a una costante riforma. I detentori degli uffici stanno non sopra, ma dentro il popolo di Dio, non come suoi padroni, ma come suoi servitori. Il sacerdozio universale dei fedeli va tenuto in grande considerazione.
In realtà, dal Vaticano II in poi le chiese locali, nel quadro della chiesa universale, vengono di nuovo prese sul serio sotto prospettive molto diverse: in quanto comunità liturgiche esse sono originariamente chiesa. I vescovi devono riscoprire, senza pregiudizio del primato papale, una comune, collegiale responsabilità per la guida dell’intera chiesa – per questo l’istituzione di un sinodo dei vescovi. Dappertutto ci sono oggi consigli diocesani e consigli parrocchiali composti da religiosi e laici. Ma anche al di fuori della chiesa cattolica vengono riconosciute chiese e comunità ecclesiali: il concilio rifiuta una equivalenza tra chiesa di Cristo e chiesa cattolica visibile.

Punto 7: Se questo concilio non ci fosse stato, il mondo secolare continuerebbe ad essere considerato in modo prevalentemente negativo. Ancora nel XX secolo la chiesa cattolica, che dopo la Riforma e l’Illuminismo aveva perduto la signoria medioevale sul mondo, si è volentieri compresa come baluardo assediato. In modi difensivi e offensivi essa ha cercato di assicurarsi i suoi diritti tradizionali, con atteggiamenti ostili, anzi spesso di rifiuto nei confronti del progresso scientifico, culturale, economico e politico dell’umanità moderna.
Anche in relazione al mondo secolare il Vaticano II ha compiuto una svolta positiva. La chiesa, oggi, vuole essere solidale con l’intera umanità, vuole con essa collaborare, non rifiutare domande, bensì dare ad esse risposta. Anziché polemica, dialogo; anziché conquista, testimonianza convincente.

[…]

Per quanto concerne il futuro: a Roma, sotto il nuovo pontificato, di fronte alla crescente pressione dei problemi (diminuzione del clero, esodo delle donne dalla chiesa, carente integrazione ecclesiale della gioventù, crollo della pastorale, scandali sessuali, necessità finanziarie…), non si dovrà tuttavia, seguendo l’ispirazione del vangelo, riprendere finalmente in mano sul serio l’eredità del concilio, la sua grande eredità spirituale? Invece delle parole di un magistero nuovamente conservatore e autoritario, non riacquisteranno vigore le parole programmatiche di Giovanni XXIII e del concilio? Moltissime persone, dentro e fuori della chiesa cattolica, desiderano:
– di nuovo “aggiornamento” nello spirito del vangelo, invece della tradizionale integralista “dottrina cattolica” delle encicliche morali rigoristiche e dei catechismi tradizionalistici;
– di nuovo “collegialità” del papa con i vescovi, invece di un rigido centralismo romano che nelle nomine dei vescovi e nell’assegnazione delle cattedre di teologia non tiene conto degli interessi delle chiese locali a vantaggio di coloro che sono docili;
– di nuovo “apertura” al mondo moderno, invece di accuse, lamentele e querele nei riguardi del presunto “adattamento” allo spirito del tempo;
– di nuovo “dialogo”, invece di monologo ufficiale, di inquisizione e rifiuto pratico della libertà di coscienza e di insegnamento nella chiesa;
– di nuovo “ecumenismo”, invece di una accentazione in senso strettamente romano-cattolico: che anche nella questione dell’eucaristia si faccia ricorso alla famosa distinzione di Giovanni XXIII tra la sostanza della dottrina di fede e il suo rivestimento linguistico-storico, a una “gerarchia delle verità” (che non sono tutte ugualmente importanti).



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Forum teologico, a cura di Rosino Gibellini
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