02/09/2009
139. L’enciclica della fraternità universale di Rosino Gibellini
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La terza enciclica di papa Benedetto, Caritas in veritate (2009), si potrebbe così definire: «enciclica della fraternità universale», perché questa è la categoria centrale immessa nel discorso complesso del papa sulla realtà sociale del nostro tempo. Si tratta di una enciclica sociale in un’epoca in cui il mondo è «in via di globalizzazione», e la categoria teologica capace di illuminare questo nostro tempo è, appunto, la categoria di «fraternità universale», introdotta nel cap. III del testo papale. L’enciclica si sviluppa in sei capitoli per complessivi 79 paragrafi.

Il discorso di papa Benedetto si inserisce nel discorso sociale della chiesa, con una modalità particolare, espressa, appunto, dalla categoria centrale della fraternità universale. È stato osservato che Giovanni Paolo II parlava spesso di socialità, che Benedetto XVI riconduce alla sua fonte teologica, e cioè «la fraternità». Il centrale capitolo III dell’enciclica, che si estende otto paragrafi, 34-42, reca il titolo: «Fraternità, sviluppo economico e società civile», e si può considerare il centro teologico dell’enciclica.

Il concetto di «fraternità» è caro alla teologia di Joseph Ratzinger, che vi aveva dedicato il corso pasquale viennese del 1958, quando il giovane teologo era agli inizi della sua docenza nel seminario filosofico-teologico di Frisinga, che sarà poi pubblicato come libretto nel 1960 (Ratzinger era già arrivato nel frattempo all’università di Bonn), con il titolo La fraternità cristiana (ripreso in nuova traduzione in edizione italiana nella collana “Giornale di teologia” nel 2005, sorprendentemente solo qualche settimana prima della sua elezione al ministero petrino). La fraternità cristiana – si spiega in quel lontano testo – traccia anche dei confini, pone una dualità tra chiesa e non chiesa, ma: «La comunità cristiana fraterna non è contro, bensì a favore del tutto. [...] è chiaro che l’opera di Gesù non mira propriamente alla parte, bensì al tutto, all’unità dell’umanità» (La fraternità cristiana, Queriniana 2005, 94). La fraternità cristiana non è riducibile a filantropia, non è assimilabile al cosmopolitismo stoico o illuminista, ma è espressione di «vero universalismo», perché posta «al servizio del tutto», tramite missione, agape e partecipazione alla sofferenza.

Nell’enciclica si afferma che la vera fraternità, operante oltre ogni barriera e confine, nasce dal dono e introduce nel tessuto economico, sociale e politico, la logica del dono: «La comunità degli uomini può essere costituita da noi stessi, ma non potrà mai con le sole sue forze essere una comunità pienamente fraterna né essere spinta oltre ogni confine, ossia diventare una comunità veramente universale: l’unità del genere umano, una comunione fraterna oltre ogni divisione, nasce dalla con-vocazione della parola di Dio-amore. Nell’affrontare questa decisiva questione, dobbiamo precisare, da un lato, che la logica del dono non esclude la giustizia e non si giustappone ad essa in un secondo momento e dall’esterno e, dall’altro, che lo sviluppo economico, sociale e politico ha bisogno, se vuole essere autenticamente umano, di fare spazio al principio gratuità come espressione di fraternità» (34).

Secondo il papa, nel tempo della globalizzazione, in cui ormai l’umanità è entrata, e in cui essa diventa «sempre più interconnessa» (42), gli esseri umani necessitano come singoli e come comunità di un criterio etico fondamentale, e questo criterio è una categoria teologica, la categoria teologica della «fraternità universale», che ci fa considerare membri della stessa «famiglia umana» (cap. IV). Se si volesse citare una sola affermazione dell’enciclica, per andare al centro della visione che essa propone, citerei questa: «La globalizzazione è fenomeno multidimensionale o polivalente, che esige di essere colto nella diversità e nell’unità di tutte le sue dimensioni, compresa quella teologica. Ciò consentirà di vivere e orientare la globalizzazione dell’umanità in termini di relazionalità, di comunione e di condivisione» (42). È questa la parte più strettamente teologica, che si sarebbe desiderato anche più ampiamente argomentata e svolta per i cristiani e per quanti lavorano per pace e giustizia nel mondo.

L’enciclica, in definitiva, al di là delle svariate e concrete indicazioni, – tanto da essere definita in qualificati commenti teologici, «un testo eterogeneo» – sul tema della «salvaguardia del creato» (cap. IV), sul tema della legge naturale «come sapienza etica dell’umanità» (cap. V), sul tema del «progresso tecnologico» con le sue strabilianti applicazioni in campo biologico (cap. VI), propone la visione della «fraternità universale» e la logica conseguente della «relazionalità» e della «condivisione» come criterio fondamentale e come orientamento «teologico» per essere «capaci di produrre un nuovo pensiero e di esprimere nuove energie al servizio di un vero umanesimo integrale» (78).




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