Quarant’anni fa, nel 1964, usciva in Germania Teologia della speranza di Jürgen Moltmann, e l’anno seguente, nel 1965, usciva la terza edizione con un’importante Appendice, in cui Moltmann discuteva le tesi de Il Principio speranza (1959) di Ernst Bloch. Seguirono, nei primi Anni Settanta, le traduzioni del libro di Moltmann nelle principali lingue internazionali (giapponese e coreano compresi). In particolare l’edizione italiana appariva nella “Biblioteca di teologia contemporanea” nel 1970 e vinceva il Premio Letterario Internazionale “Isola d’Elba”. L’opera di Moltmann rappresenta una scrittura epocale nella teologia del XX secolo, in quanto non si tratta di una riflessione teologica sulla speranza, ma di un ripensamento del cristianesimo in chiave escatologica. Il 40° di Teologia della speranza è stato celebrato alla Emory University (Atlanta, Georgia, USA). Giornale di teologia ricorda il 40° dell’opera pubblicando l’ultimo breve libro di Moltmann Nella fine – l’inizio, che presenta una “piccola teologia della speranza”. Riproduciamo l’editoriale di Rosino Gibellini.
Uno dei tratti caratteristici della teologia del Novecento è la riscoperta del carattere escatologico del cristianesimo. L’escatologia era ridotta ad essere “dottrina dei novissimi”, dottrina delle realtà ultime, da svolgere settorialmente e per di più come appendice finale dopo la trattazione delle altre verità cristiane. Un autentico recupero dell’escatologia biblica significava ricollocarla nello spazio esplosivo della storia. È un’operazione di largo respiro che la teologia ha affrontato soprattutto negli anni Sessanta e alla quale ha dato un decisivo contributo il teologo evangelico Jürgen Moltmann.
1. La vastità d’orizzontedella speranza cristiana
L’opera che lo ha rivelato è Teologia della speranza del 1964, che è stata al centro di un appassionato dibattito e che rimane scrittura-chiave del Novecento teologico.
Per tracciare i lineamenti di una teologia della speranza cristiana Moltmann prende le mosse dall’Antico Testamento, battendo un sentiero storico, che passa nel mezzo dell’esperienza veterotestamentaria, che è esperienza di promesse, di aspettazioni e speranze, e con i profeti, di speranza escatologica (di vittoria, cioè, sulla morte e di futuro oltre la morte). L’escatologia cristiana – che nasce dall’esperienza di pasqua – ricorda e riprende le speranze veterotestamentarie, e tuttavia ne differisce e le eccede, in quanto parla di Cristo e del suo futuro. La risurrezione di Cristo è convalida delle promesse precedenti, ma essa stessa è promessa universalizzata e radicalizzata in prospettiva escatologica, e cioè è promessa per tutti (promessa universalizzata) di vittoria sulla morte e di futuro oltre la morte (promessa radicalizzata); è promissio inquieta, promessa che non si dà pace e che non trova riposo se non nella finale risurrezione dei morti e nella totalità e novità del nuovo essere. L’evento del Cristo dischiude un futuro di vita all’umanità.
Dalla riscoperta della speranza come struttura portante della rivelazione biblico-cristiana nasce un nuovo dinamismo per la missione: «La pro-missio del regno è il fondamento della missio dell’amore per il mondo». Nell’analisi di Moltmann sono ormai tramontati i tempi costantiniani, in cui il cristianesimo fungeva da corona della società, e tuttavia il cristianesimo non può ridursi a funzioni suppletive e di sgravio, cui lo demanda la società secolare e pluralista. La cristianità non esiste per sé, e cioè non esiste in funzione di una ecclesiasticizzazione del mondo, ma neppure esiste in funzione della stabilizzazione della società; essa vive di una promessa che dischiude un orizzonte di speranza a tutta l’umanità; essa ha, dunque, una missione; benché non sia la salvezza del mondo, «è al servizio della veniente salvezza del mondo ed è come una freccia lanciata nel mondo per indicarne il futuro».
2. La radicalità della speranza cristiana
La risurrezione di Cristo ha una struttura prolettica; essa è anticipazione del futuro di vita e di risurrezione che Dio dona all’umanità. Tuttavia il punto di vista prolettico è insufficiente a cogliere la verità dell’evento del Cristo. Sorge infatti la domanda: se con la risurrezione è “già iniziato” il futuro di Dio, che senso hanno allora il suo patire e il suo morire? In altre parole: in quell’Uno si anticipa il futuro di Dio, ma perché proprio in quell’Uno? La risposta, su cui riflette la teologia della croce, che Moltmann svolge in Il Dio crocifisso del 1972, suona: è stato risuscitato colui che è stato crocifisso.
Scrive Moltmann: «La croce […] modifica la risurrezione». La risurrezione è anticipazione del futuro di Dio. Ma, siccome la risurrezione è risurrezione del crocifisso, questa anticipazione diventa anticipazione del futuro di Dio per coloro che sono senza speranza e senza diritto. La croce diventa così il significato della risurrezione. Una croce senza risurrezione significherebbe fallimento e Gesù di Nazareth non sarebbe il Cristo di Dio. Una risurrezione senza croce suonerebbe solo miracolo, metamorfosi nella glorificazione, prolessi astratta del futuro. La risurrezione del crocifisso è prolessi e speranza per i senza speranza nella croce del presente.
In Teologia della speranza, a partire dall’evento di Cristo si guarda in avanti verso l’éschaton, e allora il punto privilegiato di osservazione è la risurrezione di Cristo, da cui è possibile avere la vista del futuro promesso da Dio; Il Dio crocifisso, invece, dall’éschaton si guarda all’indietro, all’evento del Cristo, e ci si pone la domanda come sia presente il futuro regno di Dio nella realtà del presente. I due cammini teoretici devono essere, entrambi, percorsi. La riflessione svolta in Teologia della speranza dà prospettive alla speranza cristiana, aprendo gli spazi dell’orizzonte del regno, ma potrebbe portare all’entusiasmo e saltare il movimento dell’incarnazione, dell’obbedienza e dell’amore; la riflessione svolta in Il Dio crocifisso dà profondità e radicalità alla speranza, introducendo nel movimento messianico la storia della passione umana.
3. La creatività della speranza cristiana
La speranza cristiana è speranza creativa: «Noi non siamo solo gli interpreti del futuro, ma già dei collaboratori del futuro, la cui forza nella speranza come pure nel compimento è Dio». Dopo Teologia della speranza Moltmann ha prontamente aderito, verso il 1968, al programma di “teologia politica”, per dare concretezza alla speranza cristiana. In questa prospettiva la teologia della speranza progetta le “azioni della speranza” della comunità cristiana; e la teologia della croce svolta in Il Dio crocifisso introduce nelle azioni della speranza le azioni di resistenza e di liberazione, le azioni cioè di una speranza resa scaltra e decisa alla perseveranza (“il fiato lungo della speranza”), il compito più urgente della comunità cristiana come “comunità messianica” e “avanguardia del mondo liberato”.
È il tema che Moltmann affronta in un’opera minore, come L’esperienza della speranza (1974), e soprattutto nel trattato ecclesiologico, La Chiesa nella forza dello Spirito (1975), che assieme a Teologia della speranza (1964) e a Il Dio crocifisso (1972) costituisce una sorta di trilogia: la trilogia della speranza.
La chiesa di Cristo è la chiesa del regno: l’angolo visuale, pertanto, è la missione della cristianità, in tutta la sua vastità, nella storia per il regno. La chiesa di Cristo vive nell’orizzonte del regno, perché vive nella forza dello Spirito santo «come comunità messianica al servizio del regno di Dio nel mondo».
Il concetto di messianico realizza una mediazione tra l’escatologico e lo storico, tra il regno di Dio e la storia: non separazione nel senso della metafisica, per la quale l’eternità trascende il tempo; né identificazione nel senso delle filosofie storicistiche, per le quali il senso della storia trova realizzazione totale all’interno della storia; bensì mediazione: «Se l’escatologico diventa storico, lo storico diventa escatologico». Nella venuta del Cristo e nella risurrezione l’escatologico ha fatto il suo ingresso nella storia; la storia si pone, così, in cammino verso il suo compimento finale: «La speranza diventa realistica e la realtà diventa pregna di speranza».
Tale mediazione messianica si esprime innanzitutto nella figura messianica dell’anticipazione, che non è ancora compimento, ma solo frammento del tutto che viene; ne consegue che sono esclusi sia l’entusiasmo fanatico, sia la rassegnazione tragica. Inoltre essa trova espressione nella figura messianica della resistenza contro le forze del male e della morte ancora all’opera in un mondo che tende a chiudersi in se stesso e su se stesso. Anticipazione e resistenza sono connesse con le figure messianiche della dedizione e della rappresentanza: le anticipazioni non rappresentano se stesse, rappresentano ciò che deve venire ed esigono impegno e dedizione al presente perché si apra al futuro del regno. Nell’anticipazione tramite resistenza, dedizione e rappresentanza la storia si mantiene aperta al futuro escatologico.
4. La speranzanell’orizzonte del Regno
Dopo il ciclo della teologia della speranza (1964-1975), Jürgen Moltmann ha intrapreso un progetto di teologia sistematica (con una serie di Contributi sistematici di teologia (1980-1999), come teologia dialogica, che si sviluppa in comunione ecumenica con le teologie delle chiese cristiane e che pensa in modo ecumenico tutti i grandi temi della tradizione cristiana: essa ha le sue coordinate di riferimento, oltre che nella “Scrittura” come fonte cristiana, nella comune speranza nel “Regno” come orizzonte di riflessione.
In Trinità e Regno di Dio (Contributi sistematici di teologia 1, 1980) Moltmann muove una critica decisa alla dottrina cristiana su Dio concepita in termini di monoteismo cristiano e sviluppa una dottrina su Dio come Trinità aperta sulla storia dell’uomo, che apre la storia dell’uomo e del mondo al futuro del regno di Dio. La Trinità come storia di Dio è “storia della storia umana”, per cui la storia umana è in Dio: non, hegelianamente, Dio nella storia; ma, cristianamente, la storia in Dio.
Conseguentemente, in Dio nella creazione (Contributi sistematici di teologia 2, 1985), Moltmann non parte dalla dottrina monoteistica su Dio, che considera Dio come Soggetto assoluto, da cui deriva una teoria della creazione come Oggetto, in cui il mondo diventa oggetto affidato al dominio dell’uomo, creato ad immagine di Dio; ma dalla dottrina trinitaria su Dio, da cui deriva una dottrina ecologica della creazione, operando così il passaggio da una concezione gerarchica tra Dio e il mondo ad una concezione comunionale. Dio non è solo il Creatore trascendente del mondo, ma è presente nel mondo con il suo Spirito cosmico. Il concetto trinitario di creazione tiene insieme la trascendenza di Dio nel mondo e la sua immanenza ad esso, e insieme tiene aperta la creazione al futuro del regno, prospettato come «la sim-patia di tutte le cose».
Con La via di Gesù Cristo (Contributi sistematici di teologia 3, 1989) Moltmann affronta il tema cristologico. Se Teologia della speranza (1964) svolge le linee di una cristologia escatologica, e Il Dio crocifisso (1972), le linee di una escatologia cristologica; La via di Gesù Cristo punta ad una integrazione e svolge una “cristologia della via”. Il simbolo della via esprime il momento processuale e il fine verso cui tende la cristologia: e l’escatologia è sempre il compimento della cristologia. Il teologo ebraico Martin Buber confessa: «La chiesa si fonda sulla fede nel Cristo già venuto, in una redenzione già accordata da Dio all’umanità. Noi, Israele, non riusciamo a crederlo». Moltmann, in dialogo con l’ebraismo, sviluppa una cristologia in dimensioni messianiche: «Ogni confessione di Cristo ci mette in cammino e non significa mai la meta. […] Chi confessa il “Cristo di Dio” riconosce il Cristo in divenire, il Cristo in cammino, il Cristo in movimento della storia escatologica di Dio, e si pone anche lui sulla “via di Cristo” nella sequela di Gesù».
Con Lo Spirito della vita (Contributi sistematici di teologia 4, 1991) Moltmann affronta il tema dello Spirito santo, sviluppando una pneumatologia integrale, che vada oltre una pneumatologia antropologica (Dio nel soggetto) in una duplice direzione: nella direzione della comunità e della comunione creaturale (Dio in tutte le cose): «La possibilità di conoscere Dio in tutte le cose e tutte le cose in Dio si fonda teologicamente sulla concezione dello Spirito divino come Spirito della creazione e fonte della vita». In questo senso il teologo evangelico imputa alla grande opera pneumatologica di Congar, Credo nello Spirito santo (1969) di essere focalizzata solo sullo Spirito della chiesa e della fede, e di non prestare sufficiente attenzione alla scoperta dell’ampiezza cosmica dell’azione dello Spirito di Dio.
Con L’avvento di Dio (Contributi sistematici di teologia 5, 1995) Moltmann affronta il tema dell’escatologia. L’escatologia ha sempre a che fare con la fine, ma essa non ha come tema la fine, ma la ricreazione di tutte le cose. Il principio dell’escatologia cristiana è così formulato «alla fine – l’inizio», e cioè: alla fine, il nuovo inizio. La trattazione è una ripresa della tematica e della prospettiva di Teologia della speranza (1964), ma con l’intento di elaborare sistematicamente una “escatologia integrante”, che integra l’”escatologia personale”, l’”escatologia della storia” e l’”escatologia cosmica”. L’escatologia ha una dimensione apocalittica, in quanto l’apocalittica mette a tema la fine del mondo. L’apocalittica preserva la dottrina cristiana della speranza da un ottimismo superficiale, ma l’escatologia è la speranza che “nella fine” si ha un “nuovo inizio”. Un’apocalittica senza escatologia non rientra in una prospettiva biblica, ma sarebbe una teoria della catastrofe, mentre l’escatologia, pur considerando la fine (è la dimensione apocalittica dell’escatologia), implica sempre la categoria del novum, e alimenta una speranza “creativa” e “militante”. È il tema ripreso in questa Piccola teologia della speranza (2003), che si riconnette espressamente all’escatologia integrale de L’avvento di Dio, ma approfondisce una “escatologia personale”, mostrando la forza vitale e il conforto della speranza nella vita personale. In una recente intervista (2003) Moltmann, ricordando il filosofo Bloch autore de Il Principio speranza (1959), si è così espresso: «Bloch ha fatto spesso delle osservazioni piuttosto semplici sulla morte. Ma il Principio speranza incomincia: “Che cosa attendiamo noi propriamente?”. Ma poi viene la domanda seguente: “Che cosa ci attende?”. E su questo voleva una risposta». E la risposta del teologo è: «Noi siamo attesi».
Moltmann conclude il suo percorso sistematico con il volume Esperienze di pensiero teologico. Vie e forme della teologia cristiana (Contributi sistematici di teologia 6, 1999), in cui esplicita la metodologia del suo lavoro teologico, caratterizzando il suo modo di far teologia come “teologia per il regno di Dio”: «La teologia non è per me [a differenza di Barth] una dogmatica intra-ecclesiale, o postmoderna indirizzata solo alla propria comunità di fede [a differenza di Lindbeck], né è per me la scienza culturale della religione civile della società borghese [a differenza della teologia “progressista”]. La teologia nasce dalla passione per il regno di Dio e per la sua giustizia, e questa passione sorge nella comunità di Cristo. Grazie a questa passione la teologia diventa fantasia per il regno di Dio nel mondo e per il mondo nel regno di Dio». Per questo suo orientamento la teologia di Moltmann si fa “teologia pubblica”, e, nelle sue molteplici modulazioni, trova sempre la sua fonte nel motivo della speranza: «Non ho voluto solo una teologia sulla speranza, ma una teologia a-partire-dalla speranza: una teologia come escatologia, una teologia del regno liberante di Dio nel mondo».
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Forum teologico, a cura di Rosino Gibellini
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