19/10/2018
412. IL SESSANTOTTO DI RATZINGER di Gianfranco Ravasi
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Come ricorda Maurilio Guasco, nella sua Prefazione a Chiesa contestata, Chiesa contestante di Stefano Tessaglia (Queriniana, 2018), «il 1968 è l’anno della “Rivoluzione culturale” cinese organizzata dalle Guardie rosse di Mao e delle offensive dei Vietcong in Vietnam, che metteranno in grave imbarazzo, anche sul piano internazionale, le forze militari e il prestigio nel mondo degli Stati Uniti. Problemi analoghi affrontava anche l’Unione Sovietica, con la crescita della tensione con la Cina, alla quale si avvicinava l’Albania, che decideva di uscire dal Patto di Varsavia. È anche l’anno in cui si condensano l’uccisione di Martin Luther King (4 aprile) e di Robert Kennedy (6 giugno), la “Primavera di Praga”, stroncata dalle truppe sovietiche nell’agosto successivo, e analoghe speranze e delusioni in Polonia. In tutto il mondo, le manifestazioni vedevano come protagonisti i movimenti giovanili e studenteschi». D’altro canto, anche per la chiesa cattolica la fine degli anni Sessanta è stata una fase ricca di fermenti e di dibattiti: «Sono gli anni di Giovanni XXIII e del concilio, dell’aggiornamento e del dialogo con il mondo contemporaneo. Si afferma la rivista Testimonianze con p. Balducci, si diffondono finalmente le opere di Mazzolari e riemerge don Zeno di Nomadelfia, si ascolta p. Turoldo. Nel 1967 esce la Lettera a una professoressa di don Milani e della sua scuola di Barbiana, che avrà un’enorme e trasversale diffusione». In questo quadro a dir poco effervescente si contestualizzano le considerazioni che il card. Ravasi sviluppa da par suo a proposito di alcuni testi teologici che hanno fatto storia.



Cinquant'anni fa non si era coscienti che quella data, il 1968, sarebbe divenuta una sorta di spartiacque simbolico, successivamente mitizzato o deprecato. Vorremmo ora rievocare quell'anno non tanto per gli scossoni che pure creò nel tessuto ecclesiale, quanto piuttosto per un dato editoriale sorprendente. Infatti, in quel ristretto arco temporale apparve una sequenza di testi teologici che rimasero - sia pure con gradazioni e livelli diversi - come capisaldi indicatori di un processo che si sarebbe poi ulteriormente ramificato in varie direzioni inedite.

Iniziamo col primo teologo, l'allora quarantunenne Joseph Ratzinger, docente in quegli anni a Tubinga, e con la sua Introduzione al cristianesimo, un'opera che la Queriniana di Brescia tradurrà tre anni dopo, e che verrà poi ininterrottamente riedita, anche prima dell'ascesa al soglio pontificio dell'autore. Si tratta di una serie di lezioni estive tenute - secondo una tradizione universitaria mitteleuropea – agli uditori di tutte le facoltà. Formulati in un dettato limpido e segnato da ammiccamenti culturali vari, si individuano nello scritto alcuni nodi strutturali del cristianesimo: l'appello al singolo perché si apra al tutto; il passaggio dall'essere per se stessi all'essere per gli altri; il Dio Massimo trascendente che si rivela nel Minimo della croce; la speranza nel futuro, fondata sul presente salvifico; il primato del ricevere sul fare e quindi il senso del dono per cui l'amore ci precede e ci eccede. Questa elencazione tematica non rende, certo, ragione della ricca articolazione di un discorso che ha in filigrana gli asserti del Credo cristiano, proclamato dal fedele nella liturgia ma carico di significati antropologici universali.

Al metodo epistemologico si rivolge, invece, il secondo testo che appare nel 1968: è l'Ermeneutica di Marburg di Ernst Fuchs (1903-1983), teologo protestante, docente nell’università citata nel titolo (nel 1954 aveva pubblicato un'Ermeneutica di Tubinga, sede del suo precedente insegnamento). Come è evidente, la parola fondamentale è «ermeneutica», cioè l’interpretazione e quindi «la dottrina del linguaggio della fede», nella consepevolezza che l’uomo si rivela più nel dire che nell’agire, manifestando così il suo essere e il suo esistere. Nella Bibbia la parola è l'epifania archetipica divina («Dio disse: Sia la luce!»), sia nella creazione sia nella storia (Sinai e il Decalogo). Cristo è definito dal vangelo di Giovanni il Logos per eccellenza e il Nuovo Testamento è, in ultima istanza, «un manuale di ermeneutica» che insegna la lingua per dialogare con Dio, così da scoprire il senso della vita, sfidare la morte e scegliere la via dell'amore.

Discepolo del famoso teologo Karl Rahner è il terzo autore che introduciamo, Johann Bapstist Metz, nato in Baviera nel 1928, docente a Münster e tutt’ora vivente, col suo saggio Sulla teologia del mondo che si inserisce nel filone della cosiddetta «teologia politica» e che è stato tradotto l'anno dopo dalla Queriniana. L'opera vuole essere un correttivo a un'impostazione troppo privatistica della fede, piegata sull'intimo e sull'esistenziale personale infrangendo il legame con Ia storia e la società che è, invece, basilare nella visione biblica e nell’Incarnazione di Cristo. Né l'isolazionismo sacrale né l'astrazione teoretica possono esaudire ed esaurire la domanda del Vangelo rivolta al cristiano perché sia nel mondo come lievito e sale. Il messaggio cristiano è, sì, proteso verso la pienezza escatologica: essa, però, ha già ora e qui il suo avvio e, se lo sguardo è rivolto verso l’oltre e il «non ancora», i piedi sono impiantati nella piazza della storia ove il credente è una presenza efficace non omologata ma critica. La riflessione di Metz si allargherà poi a nuove categorie come quelle della «memoria», della «narrazione», della solidarietà, della «Chiesa mondiale culturalmente policentrica», e non esiterà ad affrontare anche lo scandalo teologico che deriva dall’infamia di Auschwitz.

Finora ci siamo mossi nell’orizzonte europeo e, più specificamente, tedesco. È necessario ora trasvolare l’Atlantico e giungere a Boston, ove era docente Mary Daly (1929-2010) che a Londra aveva pubblicato nel 1968 un'opera destinata a creare scalpore, tradotta da Rizzoli nel 1982. Emblematico è già il titolo, La Chiesa e il secondo sesso, con evidente rimando al noto saggio sul Secondo sesso scritto da Simone de Beauvoir nel 1949. Era la prima pietra, che sarebbe poi divenuta valanga, di un movimento che assumerà anche insegne provocatorie come, ad esempio, il «gino-centrismo», la «gin-ecologia», o più comunemente la «teologia femminista». Le tipologie saranno molteplici: da quelle più radicali e aggressive a forme più dialogiche, sempre convinte però che sia necessario non solo abbattere un’impostazione «patriarcale» della Chiesa, ma rielaborare anche lo stesso linguaggio ricostruendolo secondo categorie più «neutre». Daly muoveva ancora i primi passi in questo orizzonte che avrebbe visto poi polemiche accese, ma anche feroci ridimensionamenti e che sarà, infine, allargato al fluido territorio del gender. Certo è che alcune istanze sono entrate nell’agenda ecclesiale nei decenni successivi, soprattutto ora con papa Francesco.

Concludiamo il nostro percorso all'interno di quell'anno da crinale com'è stato il 1968, con un'ultima opera che ci costringe a rientrare in Germania. L’abbiamo lasciata per ultima perché in verità non è uno scritto teologico e l'autore non era un teologo né un credente, anzi, era un marxista sia pure eterodosso. Intendiamo riferirci al filosofo Ernst Bloch (1855-1977) e al suo saggio Ateismo nel cristianesimo. Per la religione dell’esodo e del regno che verrà tradotto da Feltrinelli nel 1971. In senso stretto bisognerebbe annodare questa riflessione a quella che ha reso famoso il docente di Tubinga e che si è cristallizzata nell'imponente ll principio speranza (1954-59), tradotto nel 1994 da Garzanti. Come si evince dallo stesso sottotitolo, il rimando è alla matrice biblica che è stata il paradigma di riferimento costante di Bloch nella sua ricerca teorica.

Appellando alla categoria «esodica» e a quella messianica ma anche alla tradizione mistica ebraica e alle concezioni cristiane più libere e fin ereticali (Origene, gli Ofiti, Gioacchino da Fiore, Campanella), egli delinea un volto divino che risulterebbe «ateo» agli occhi della teologia fondata sulle concezioni metafisiche di stampo greco per cui Dio è l’essere perfettissimo o il «motore immobile» e così via. Egli è, invece, colui che può definirsi a Mosè come «Io sarò colui che sarò», presentandosi come una personalità libera che non genera adepti adoranti ma creature libere in una terra di libertà. Per Bloch il «sarete come Dio» del tentatore dell’Eden ha una verità che si compirà in Gesù Cristo, che non è un Dio divenuto uomo ma l’uomo che diventa Dio. Un cristianesimo ribaltato, quindi, rivoluzionato e rivoluzionario, che ha proprio nella Bibbia la sua radice e che è stato silenziato nella sua forza dirompente dall’istituzione. È evidente che siamo condotti in un terreno mobile e in un meta-cristianesimo, anche se alimentato dall'energia primigenia della Rivelazione biblica.
 






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