In occasione del 70° (1945-2015) della morte di Dietrich Bonhoeffer,
la Queriniana pubblica l’edizione paperback (dalla edizione critica)
del commento di Bonhoeffer ai Salmi,
con prefazione, qui riportata, del biblista Gianfranco Ravasi.
Con le sue 19.531 parole ebraiche il Salterio è, per ampiezza, il terzo libro anticotestamentario, dopo quelli di Geremia e della Genesi. Ma la sua presenza nella storia della tradizione giudaica, prima, e cristiana, poi, è stata primaria. Si pensi, per esempio, che delle circa 60.000 citazioni bibliche che costellano gli scritti di sant’Agostino, 20.000 appartengono alle Scritture ebraiche e di esse 11.500 sono desunte dai Salmi, il libro sacro più citato dopo i vangeli. Ma non è stato solo l’aspetto quantitativo a dominare. Lo stesso Padre della chiesa, infatti, nelle sue Enarrationes in Psalmos esclamava: «Psalterium meum, gaudium meum!» (PL 37,1775), dando idealmente voce a un’appassionata adesione corale che continuerà per secoli nella cristianità.
Questa stessa adesione gioiosa e mistica pervade anche il breve e denso testo che Dietrich Bonhoeffer ha dedicato ai salmi. Egli, infatti, confessa:
Chi ha iniziato a pregare il salterio con serietà e regolarità, ben presto «darà il benservito» alle altre più facili e familiari «preghiere devozionali», dicendo: «Qui non c’è il vigore, la forza, l’impeto e il fuoco che trovo nel salterio, tutto sembra freddo e arido» (Lutero).
Non è, però, una sintonia sentimentale per cui «l’eco di ogni nostra invocazione resta confinata all’interno del nostro io». Il pregare salmico genuino è, infatti, grazia; sboccia da un dialogo aperto da Dio stesso: come «il bambino impara a parlare in quanto il padre gli parla […], allo stesso modo impariamo a parlare a Dio, in quanto Dio ci ha parlato e ci parla».
In questa luce non dovrebbe stupire che nella Bibbia, che è per eccellenza Parola di Dio, ci si imbatta in un libro di preghiere.
A un primo sguardo è molto sorprendente trovar nella Bibbia un libro di preghiera. Infatti la sacra Scrittura è la Parola di Dio a noi, mentre le preghiere sono parole umane. Come mai entrano nella Bibbia? […] La Bibbia è Parola di Dio anche nei salmi. Ma allora le preghiere a Dio sono Parola di Dio?
La risposta a questo interrogativo sta proprio nella natura dialogica delle Scritture, ma soprattutto nella loro chiave di volta che è la figura del Figlio, di Gesù Cristo, Dio e uomo. È lui a trasfigurare la parola umana orante in Parola divina benedicente.
Gesù Cristo ha portato al cospetto di Dio ogni miseria, ogni gioia, ogni gratitudine e ogni speranza degli uomini. Sulle sue labbra la parola umana diventa Parola di Dio, e nel nostro partecipare alla sua preghiera la Parola di Dio si fa a sua volta parola umana.
L’asse ermeneutico che Bonhoeffer adotta erigendolo a chiave costante di lettura dei salmi è, quindi, cristologico: «Se la Bibbia contiene anche un libro di preghiera, questo ci insegna che la Parola di Dio non è solo quella che Dio ci dice, ma anche quella che egli vuole udire da noi, in quanto Parola del Figlio che egli ama».
L’arco intero della nostra esistenza umana viene assunto da Cristo e trasformato in gloria divina, anche nel momento più cupo perché «Gesù è morto sulla croce con le parole dei salmi sulle labbra» (cfr. Mt 27,46 e Sal 22,2; Lc 23,46 e Sal 31,6). Anzi, il grande teologo e testimone cristiano non esita a rispondere anche al quesito più spinoso: «Come può Cristo pregare con noi coi salmi» che confessano una colpa? Ebbene, i cosiddetti “salmi penitenziali”, in realtà, oltre ad essere espressione della fiducia pura nella grazia divina che getta alle spalle il peccato (per cui Lutero li definiva “salmi paolini”), sono attestazione dell’espiazione redentrice di Cristo per la nostra salvezza: «Gesù prega per la remissione del peccato, non a causa di un suo peccato, ma a causa del nostro peccato di cui egli si è fatto carico, per il quale soffre».
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È noto, però, che il Salterio è anche un testo poetico che dev’essere sottoposto all’analisi storico-critica, come già aveva intuito san Girolamo che nella sua Lettera 53 a Paolino non esitava a scrivere che «Davide è il nostro Simonide, il nostro Pindaro, il nostro Alceo, il nostro Flacco, il nostro Catullo. È la lira che canta Cristo!» (PL 22,545). Il libro si rivela, infatti, come un cantiere per la critica testuale, a causa della sua secolare trasmissione e delle relative modifiche e persino degenerazioni. Si presenta anche come un laboratorio filologico sia in ragione della disparità cronologica nella composizione dei vari carmi, sia per le caratteristiche lessicali molto variegate, sia per i passaggi dall’originale ebraico alla versione greca dei Settanta e al finale testo masoretico vocalizzato.
Il Salterio è anche un campo fecondo di analisi letterarie: si pensi alla questione dei vari generi letterari, alle strutture poetiche spesso raffinate e complesse, all’affascinante dispiegarsi delle immagini che rendono i salmi «un giardino di simboli», per usare un’espressione del grande poeta Thomas S. Eliot. Né si possono ignorare le reinterpretazioni che, come accade per i canti regali, possono trasferire certe composizioni salmiche nell’orizzonte messianico, come faranno i Settanta per l’intero Salterio e come è accaduto nella liturgia e nella teologia cristiana attraverso la prospettiva cristologica.
Anche Bonhoeffer, sia pure in modo molto semplificato, è consapevole di tutti questi problemi esegetici, a partire dalla simbolica e fittizia attribuzione a Davide, «il cantor de lo Spirito santo… il sommo cantor del sommo duce», come lo aveva definito Dante (Paradiso 20, 38; 25, 72).
Ecco, allora, la scelta di organizzare la sua sintesi introduttoria al Salterio attraverso un decalogo tematico che è anche una catalogazione dei vari registri e generi letterari che reggono le centocinquanta composizioni salmiche. Si passa, così, dagli inni che cantano la creazione, contemplata non tanto liricamente ma in un atto adorante, alla legge divina celebrata come meditazione dell’ «azione redentiva di Dio e prescrizione di una nuova vita nell’ubbidienza», fino alla storia della salvezza, esaltata come una sequenza di atti divini che dall’Egitto giungono al Golgota, perché è in Cristo che si ha il compimento dell’itinerario salvifico.
La storia salvifica ha, poi, un approdo con l’irrompere della figura del messia, il cui volto è naturalmente riletto alla luce di quello di Cristo. Nei salmi dedicati a Sion e al suo tempio si intuisce il profilo della «chiesa di Dio in tutto il mondo e di ogni luogo in cui Dio abita presso la sua comunità nella Parola e nel sacramento».
La stessa “terrenicità” di molti salmi in cui domina l’invocazione per una quotidianità serena è coerente con l’incarnazione cristiana, per cui
non dobbiamo avere scrupoli di coscienza a pregare con il salterio per ottenere vita, salute, pace, beni terreni, purché con il salmo riconosciamo in tutto questo i segni della comunione di grazia che Dio ci concede e teniamo ben fermo che la benevolenza di Dio è preferibile alla vita (Sal 63,4; 73,25s.).
In questa linea si colloca anche l’ampio spettro oscuro delle suppliche nelle quali si stende il pianeta tenebroso della sofferenza, della lotta, della paura, del dubbio.
«Chi soffre, combatte contro Dio in difesa di Dio», osserva Bonhoeffer che, però, in questo orizzonte vede ancora una volta ergersi la figura di Gesù paziente, «il solo ad aver provato integralmente» la sofferenza, irradiandola però con la sua fiducia e con la sua stessa divinità che vince e trascende il male.
Così accade, come si è detto, per i salmi “penitenziali” e anche per gli imbarazzanti “salmi imprecatori”, segnati da un anelito bruciante alla vendetta. La domanda, in questo caso, è scontata: essi incarnano forse «un grado inferiore di religiosità»? «Possiamo, dunque, da cristiani pregare questi salmi?». E la risposta è ancora una volta cristologica. «La preghiera per la vendetta di Dio è la preghiera per la piena applicazione della sua giustizia nel giudicare i peccati»; ma questo compimento lo si ha «non per la via più consueta». «La vendetta di Dio non ha infatti colpito i peccatori, ma l’unico innocente, che ha preso il posto dei peccatori, il Figlio di Dio. Gesù Cristo ha portato il peso della vendetta di Dio», dell’adempimento della necessaria giustizia nei confronti del male.
Creazione, legge, storia della salvezza, messia, Sionchiesa, vita, sofferenza, colpa, vendetta: il decalogo dei generi salmici delineato da Bonhoeffer si conclude con uno sguardo proiettato verso l’ultima meta, che è anche l’ultimo tema, “la fine” o, forse meglio, “il fine” dell’intero essere ed esistere, l’escatologia. «Oggetto della preghiera nei salmi è la vita in comunione con il Dio della rivelazione, la vittoria finale di Dio nel mondo e l’instaurarsi del regno messianico». È la stessa meta a cui ci conduce il Nuovo Testamento, è lo stesso respiro che regge il Padre nostro, considerato da Bonhoeffer come l’ideale summa del Salterio. Perciò, «l’unica cosa importante è il ricominciare di nuovo con fedeltà e amore a pregare i salmi, in nome del nostro Signore Gesù Cristo».
card. Gianfranco Ravasi
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Forum teologico, a cura di Rosino Gibellini
Editrice Queriniana, Brescia (UE)