29/09/2006
77. Il pungiglione Freud. Critica e superamento della religione? In occasione del 150° anniversario della nascita di Freud (Moravia 1856 – Londra 1939) di Herbert Will (Monaco di Baviera, Germania)
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In occasione del 150° anniversario della nascita di Sigmund Freud (Moravia 1856 – Londra 1939) si stanno celebrando in tutto il mondo, in particolare nel mondo di lingua tedesca, giornate di studio sulla sua opera e sul suo lascito culturale. Un Seminario di studio è stato tenuto anche all’Accademia Cattolica di Monaco di Baviera, dove la sua opera è stata esaminata sotto il profilo religioso. Riportiamo in sintesi la relazione del dr. Herbert Will, docente all’Accademia di psicoanalisi e psicoterapia a Monaco di Baviera (Germania). Sullo stesso tema si può consultare: Heinz Zahrnt, La sfida della moderna critica della religione (GdT 133); e Hans Zirker, Critica della religione (GdT 187). Ciascuno di questi due libri del “Giornale di teologia” dedicano un capitolo alla critica della religione svolta da Freud.


In un contributo per la rivista Concilium Paul Ricoeur, filosofo francese della religione, esprime il pensiero che Freud, con la sua critica della religione, interpelli l’uomo di oggi nel profondo. Questo avrebbe a che fare con l’intenzione di Freud di rivelare l’uomo a se stesso. Noi, tuttavia, siamo ancora ampiamente lontani, sostiene Ricoeur, dall’aver fatta nostra la verità del freudismo sulla religione. La via freudiana dell’autosvelamento è un percorso aspro. Però ne vale la pena, perché attraverso di esso perveniamo ad un più intenso riconoscimento dell’uomo in quanto uomo.

Vorrei assumere questo pensiero di Paul Ricoeur. La posizione di Freud nei confronti della religione è pronunciatamente unilaterale e monomane – cosa che, a mio parere, non accade soltanto in lui, ma in noi tutti, perché nel nostro personale modo di rapportarci alla religione si articolano le nostre più profonde convinzioni vitali. Freud considera la religione dal punto di vista di uno scienziato ateo. Questo angolo visuale, tuttavia, non si limita alla religione, ma contraddistingue tutto l’atteggiamento della sua psicanalisi come progetto, l’ultimo grande progetto dell’illuminismo, come ha evidenziato Peter Gay (1987). «Perché nessuno, tra tutte le persone pie, ha creato la psicanalisi, perché si è dovuto attendere un ebreo totalmente senza dio?», scriveva Freud al parroco e analista svizzero Oskar Pfister (Lettera del 9.10.1918).


Contra illusiones


Vorrei rivolgere un breve sguardo allo sviluppo del lavoro di Freud, perché esso mostra quanto la sua teoria della religione si situi nel complesso del suo pensiero. Nei suoi studi sull’isteria egli si era posto l’interrogativo donde provenissero gli enigmatici sintomi della malattia isterica, in particolare i sintomi fisici della paralisi o della cecità. E scoprì che questi sintomi rappresentano una copertura dietro la quale erano nascoste reminiscenze, ricordi di esperienze altamente conflittuali che erano state rimosse e di nuovo emergevano nella forma trasposta del nascondimento sintomatico. Riuscendo a portare alla luce e a sdrammatizzare il conflitto originario, il sintomo della malattia sarebbe diventato superfluo.

Nella Interpretazione dei sogni Freud perviene ad una comprensione del sogno in cui il sogno manifesto – quello del quale ci ricordiamo e che possiamo raccontare - analogamente al sintomo della malattia, rappresenta anch’esso una superficie sotto la quale le idee oniriche latenti sono gli agenti veri e propri dell’evento onirico. Anche qui sono motivazioni dinamiche, inconsce, che determinano il processo del sognare con le sue coperture e fratture. Il successivo grande studio di Freud sulla Psicopatologia della vita quotidiana mostra, in un altro campo, come il dimenticare, il sostituire una parola con un’altra - il famoso ‘atto mancato’ freudiano – la superstizione e l’errore funzionano ugualmente secondo questo modello. Nel saggio sul motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio, lavoro che gli era particolarmente caro, sviluppa le sue interpretazioni dei motti di spirito proprio a partire da ciò che, incompreso e incoerente, improvvisamente si fa manifesto e muove al riso.

Infine, vorrei ricordare i tre saggi sulla teoria della sessualità. Qui Freud approfondisce la sua tesi circa il significato centrale della sessualità infantile. Egli pone la questione del perché la sessualità dei bambini sia stata così poco riconosciuta nel suo significato, e lo riconduce, da un lato, al modo convenzionale dei suoi contemporanei di considerare la sessualità, come conseguenza della loro educazione personale e delle loro concezioni morali, e dall’altro lato, ad un fenomeno psichico che per la maggior parte delle persone, se non tutte, nasconde i primi anni della loro infanzia, fino al sesto o ottavo anno: l’amnesia infantile, la perdita del ricordo in relazione ai primi anni di vita. Essa riguarda ora proprio le impressioni che hanno lasciato le tracce più profonde nella nostra vita psichica e che sono diventate determinanti per tutto il nostro ulteriore sviluppo. Sono proprio esse che vengono dimenticate o piuttosto, come Freud elabora, rimosse. Qui si radica, in ultima analisi, il processo della rimozione – l’insorgere di conflitti interiori ansiogeni e il loro spostamento nell’inconscio – come un processo normale nella nostra biografia e soggettività.

Freud sviluppa così la psicanalisi come una scienza delle dimensioni della nostra vita psichica che ci sono ignote, difficilmente accessibili e tuttavia sommamente attive. In questo contesto possiamo definire la psicanalisi come la scienza di ciò che noi non vogliamo sapere. La superficie non è ciò che è autentico, le forze della vita psichica operano a partire da ciò che è nascosto. Esse non sono affatto accessibili, ma si oppongono invece alla nostra presa e si esprimono in forma trasposta.

Di questo si nutre il pathos illuministico che caratterizza la psicanalisi: essa si sforza di indagare e di parlare di ciò che noi non vogliamo sapere. Formula la tesi che l’immagine che abbiamo di noi stessi in gran parte consiste di illusioni. Se noi scopriamo le motivazioni inconsce sulle quali si basano le nostre idee, allora queste illusioni scompaiono come nebbia al sole. Solo se noi ci disincantiamo delle nostre illusioni impariamo a conoscerci realmente. In questo contesto si pone anche il modo di vedere la religione da parte di Freud. La sua teoria della religione non è affatto una ubbia personale, bensì una coerente e coraggiosa continuazione del suo approccio psicoanalitico.


Il genere umano si crea le sue divinità

La psicanalisi ha liberato la imperterrita e debordante produttività della nostra vita psichica. Noi produciamo sintomi, produciamo sogni, sostituzioni di parole, atti mancati, rimozioni, fantasie sessuali, arte, letteratura, e produciamo anche religione. Dal punto di vista di Freud la religione è una produzione dell’uomo, e precisamente una produzione sia individuale sia collettiva. Freud allontana Dio da una realtà trascendente e lo localizza nell’esperienza intrapsichica. Egli concettualizza la religione come una creazione dell’uomo. Già in Immanuel Kant si può trovare la formulazione: “Suona in verità sospetto, ma non è affatto irrefutabile dire che ognuno si fa un dio”. Freud si prende ora l’impegno di elaborare la modalità e di dare nome ai motivi secondo cui le persone si creano le loro divinità.

Nel far questo egli, del resto, non è solo. È piuttosto parte di quel movimento che, al suo tempo, la psicologia della religione, in quanto disciplina specialistica, ha sviluppato. Con i suoi contemporanei egli ha incominciato a formulare un contesto scientifico e un linguaggio per dire ciò che Nietzsche aforisticamente ha chiamato morte di Dio. Ora si dice che Dio scompare come ovvia grandezza trascendente, che costituisce l’orizzonte per l’esperienza del mondo degli uomini – il Dio dall’aldilà – e risorge come grandezza psicologica. L’era di Freud è caratterizzata dalla scoperta del nostro mondo interiore e anche la religione viene ora sviluppata come parte del mondo interiore umano.

Prima di approfondire la psicologia della religione di Freud, vorrei ricordare gli scritti che ci possono interessare. Innanzitutto Comportamenti ossessivi e pratiche religiose (1907), in cui egli paragona il comportamento religioso, inteso come una nevrosi collettiva, alla nevrosi individuale dei nevrotici ossessivi. Nel 1912 e 1913 egli scrive Totem e Tabù, dove mette in risalto alcune corrispondenze nella vita psichica dei selvaggi e dei nevrotici. Qui egli si confronta indirettamente con Carl Gustav Jung e discute, sulla base di un materiale vario desunto dalla etnologia, il pensiero processuale primario. Infine, egli sviluppa l’ipotesi storico-religiosa che cultura e religione siano sorte da un evento originario pulsionale: l’assassinio primordiale – il parricidio dell’orda primitiva e i tentativi che ne conseguono di venire a capo di questa azione primordiale e, insieme, della colpa, delle rivalità, della dinamica sacrificale e così via. Qui diventa già chiaro ciò che emerge sempre di più in primo piano negli scritti ulteriori di Freud sulla religione. È il bisogno di venire a capo dell’aggressività e della distruttività degli uomini, e di ricondurle entro limiti accettabili, che per lui diventa il nucleo centrale della vicenda religiosa. La religione serve ad arginare il furore distruttivo degli uomini.

Il Futuro di una illusione, del 1927, è lo scritto più noto di critica alla religione. Freud inasprisce ancora di più la sua linea di pensiero nella lezione del 1933, Su una visione del mondo. In essa argomenta che la psicoanalisi deve procedere polemicamente contro la religione, perché questa è rimasta il nemico più serio della scienza, ne combatte l’amore per la verità e al posto delle conoscenze sempre provvisorie e frammentarie della scienza tende a porre un sistema ideologico onnicomprensivo e intollerante.

In Il disagio della civiltà (1930) Freud si occupa del sentimento oceanico, di cui aveva parlato Romain Rolland. Ammette che personalmente, nei riguardi di questo sentimento non può farci nulla, e ai sentimenti religiosi e alle situazioni emotive soggettive egli non accorda alcun valore generalmente valido.

L’uomo Mosè e la religione monoteistica (1939) venne da Freud originariamente indicato come romanzo storico. È uno studio storicoreligioso e psicostorico altamente speculativo. La tesi di Freud è che Mosè non era affatto un ebreo, bensì un nobile egiziano che condusse fuori dall’Egitto la tribù semitica, le diede come religione il monoteismo spiritualizzato del faraone egiziano Echnaton, e tuttavia a motivo delle sue pretese elevate venne dai semiti ucciso. Costoro, poi, mescolarono il suo rigido monoteismo con la popolare divinità dei vulcani, Jahwe. Il misfatto, però, produsse i suoi effetti. In un riemergere del rimosso si impose di nuovo, in un successivo passo, il dio altamente spirituale della religione di Mosè, che domina fino ad oggi l’ebraismo. Questa tesi dell’assassinio del padre come origine di religione e cultura, presa da Totem e Tabù, viene qui applicata storicamente alla persona dell’uomo Mosè. Oggi è chiaro che la costruzione di Freud, considerata dal punto di vista storico, è falsa. Come approccio psicostorico essa viene tuttavia molto discussa. Soprattutto la tesi di Freud che traumi originari della storia dell’umanità e esperienze collettive primordiali vengano tramandati in una memoria culturale e – riemergendo dall’inconscio – diventino culturalmente e storicoreligiosamente creativi, è una tesi che incontra molta risonanza (cfr. la discussione sui lavori di Jan Assmann).


Ogni persona si crea il suo dio

Abbiamo visto che il modo di vedere la religione da parte di Freud ha due prospettive: una storico-religiosa e psicostorica e un’altra individuale. Dedichiamoci ora a questa seconda prospettiva, la genesi del desiderio religioso. Ogni uomo, così sostiene Freud, si crea la propria fede religiosa a partire dai suoi desideri più profondi. Cito un passaggio da Il futuro di un’illusione, in cui Freud prende in considerazione la genesi psichica delle idee religiose.

«Questi, che si spacciano come principi, non sono riflessi dell’esperienza o risultati del pensare, sono illusioni, invenzioni dei desideri più antichi, più forti, più pressanti dell’umanità; il mistero della loro forza è la forza di questi desideri. Sappiamo già che l’impressione terrificante della impotenza infantile ha suscitato il bisogno di protezione – protezione grazie all’amore – a cui è venuto incontro il padre, e la conoscenza del perdurare di questa impotenza per tutta la vita ha causato l’aggrapparsi all’esistenza di un altro padre, ora un padre più potente. Attraverso l’azione benevola della divina provvidenza l’angoscia davanti ai pericoli della vita viene placata, l’introduzione di un ordine morale universale assicura la soddisfazione dell’esigenza di giustizia, che all’interno della civiltà umana è rimasta tanto spesso incompiuta, la proiezione dell’esistenza terrena in una vita futura fornisce il contesto locale e temporale in cui questi desideri devono venire soddisfatti. Risposte e interrogativi enigmatici dell’umana curiosità, ad esempio circa la nascita del mondo e il rapporto tra corporeo e psichico, vengono sviluppati presupponendo questo sistema; e rappresenta una grandiosa facilitazione per la psiche individuale il sapere che i conflitti dell’età infantile, mai del tutto superati, che scaturiscono dal complesso del padre, le vengono sottratti e ricondotti ad una soluzione da tutti accettata».

E ancora una citazione: «Noi diciamo dunque che una fede è un’illusione se, nella sua motivazione, si evidenzia la soddisfazione di desideri, e prescindiamo in questo dal suo rapporto con la realtà, proprio come l’illusione rinuncia alla sua autenticazione».

Orbene, Freud non è del parere che ogni singolo individuo si possa liberamente creare la propria religione a partire dal suo intimo. Piuttosto questo accade a partire da un processo di appropriazione o di rifiuto della tradizione culturale in cui cresciamo. È la cultura che crea le concezioni religiose. Essa dona al singolo queste idee, «egli le trova già esistenti, gli vengono fornite già pronte, non sarebbe in grado di trovarle da solo. È l’eredità di molte generazioni in cui egli entra e che assume come la tavola pitagorica, la geometria e altre cose». Non ci meraviglierà il fatto che Freud alla fine proponga di lasciar perdere questo mondo illusorio del desiderio. Egli si propone ora come un severo educatore dell’umanità e indica i principi dottrinali religiosi, per così dire, come relitti nevrotici dell’umanità. Oggi noi saremmo nella condizione di conoscere tutto questo e di rinunciarvi, sostituendovi una spiritualità più elevata, che egli caratterizza con il primato della ragione, una educazione alla realtà e una modestia che sa riconoscere la limitatezza e la provvisorietà di tutte le nostre conoscenze.

Freud rimane anche qui un incorruttibile e intrepido razionalista, allorché si volge polemicamente contro l’ottenebramento, l’ubriacatura e la narcotizzazione ad opera dei sentimenti religiosi. Come scrive a Oskar Pfister, egli ritiene ogni sorta di fede religiosa un pezzo di infantilismo che non è stato superato. Di superare questi modi infantili di pensare e di sentire, tuttavia, sono capaci soltanto poche e forti personalità, le quali riescono a rinunciare alla consolazione della religione (Lettera del 26.11.1927).


Per una valutazione di Freud

Vorrei riprendere l’affermazione di Paul Ricoeur, di come sia centralmente importante l’autosvelamento che Freud ha stimolato, se vogliamo oggi parlare della religione in modo veritiero. Da Freud in poi è diventato sempre più evidente che ogni sfumatura della fede religiosa è nel più profondo mescolata ai nostri personali desideri, angosce e conflitti, ed è da essi plasmata. La religione è un’intima espressione della nostra soggettività.

Questo non vale naturalmente soltanto per persone religiose, ma anche per gli atei. Freud non ha considerato questo aspetto, e tuttavia la sua sfida va rivolta anche a lui stesso. Anche un punto di vista non religioso è espressione di convinzioni personali, che in qualche modo si sono formate nel confronto con la religione dei padri. Se una persona non religiosa adduce motivi puramente razionali per giustificare il suo atteggiamento, questo è allora superficiale proprio come l’illusione religiosa.

Nella scienza della religione c’è un’ampia discussione sul problema degli insider e degli outsider nel modo di considerare la religione. Nella sua teoria della religione Freud si posiziona continuamente come un outsider, che guarda alla religione dall’esterno, riflette su di essa e la giudica, e nel far questo assume un punto di vista ‘oggettivo’, di distacco. Io penso che questo gli ha reso possibile lo sguardo acuto e audace che gli è proprio.

Tuttavia, penso anche che questo gli impedisce di cogliere poi il mondo del religioso emotivamente e perciò di penetrare in esso in un modo più profondo. Noi siamo oggi in grado di una riflessione metodologicamente più adeguata di quanto fosse possibile al tempo di Freud. Penso che chi si confronta oggi con la religione, dal punto di vista psicanalitico, deve essere nella condizione di poter assumere entrambi le posizioni, sia quella di un outsider come pure quella di un insider. Vorrei brevemente ricordare i metodi psicanalitici che ci possono aiutare a diventare insider in modo più riflesso. Sono la capacità di porsi di fronte al problema e l’intersoggettività con cui noi possiamo entrare, da ricercatori, nella vita della religione. Cosa che naturalmente è di nuovo qualcosa di diverso di un comportamento religioso privato.

Vorrei accennare a tre ambiti tematici ai quali Freud, a causa della sua limitazione, non ha trovato alcun accesso.

1. Persone religiose esprimono quasi sempre l’idea che il dinamismo nella religione «proviene da Dio» e che è centralmente importante «abbandonare il proprio Io» oppure «lasciar morire l’Io», per aprirsi a ciò che proviene dalla sfera trascendente. Non penso che il concetto freudiano di proiezione basti a chiarire questo fenomeno.

2. La prassi religiosa contempla quasi ovunque tecniche che mirano faticosamente a una trasformazione o trasgressione. Il concetto di Freud della regressione a un infantilismo non è affatto sufficiente a rendere ragione di queste correnti progressive della prassi religiosa.

3. I fattori emozionali della religione – sia le profonde convinzioni con essa connesse come pure ciò che da William James in poi viene designato come esperienza religiosa o ciò che Romain Rolland ha chiamato il sentimento oceanico – questo vissuto emozionale delle persone religiose a stento può essere afferrato da Freud.

Sono tratti specifici essenziali che costituiscono proprio la peculiarità della religione, rispetto ai quali egli resta pieno di incomprensione.

Questo non sminuisce, a mio modo di vedere, la sua posizione. Nessuno può aver presente tutto. L’unilateralità di Freud è un pungiglione che non lascia in pace, una volta che ha punto.




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Traduzione dal tedesco di Gianni Francesconi
Forum teologico, a cura di Rosino Gibellini
Editrice Queriniana, Brescia (UE)
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