Il nuovo libro di Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, L’infanzia di Gesù (Rizzoli 2012), non è da considerare il terzo volume del Gesù di Nazaret (1, 2007; 2, 2011), ma semplicemente come «una specie di piccola “sala d’ingresso” ai due precedenti volumi sulla figura e sul messaggio di Gesù di Nazaret» (dalla Premessa).
Si tratta di una lettura e commento dei cosiddetti Vangeli dell’infanzia, e cioè dei primi due capitoli di Matteo, e di Luca, nel contesto del NT, ma anche dell’AT. In questa lettura-commento, che ricostruisce l’infanzia di Gesù, l’autore si avvale, in particolare, del commento di Gnilka (Herder / Paideia) per il Vangelo di Matteo; e di Schürmann (Herder / Paideia) per il Vangelo di Luca; ma anche del recente Nuovo Commentario al Nuovo Testamento (2011) dell’esegeta di Heidelberg, Klaus Berger. La Bibliografia indicata è essenziale e puntuale.
Nella sua prima riga il libro con avvedutezza narrativa porta il lettore e la lettrice al centro della conversazione del procuratore romano Pilato (il cui nome è entrato nel Credo cristiano), che domanda a Gesù: «Di dove sei tu?» (Gv 19,9). Il «di dove» rimanda al «chi sei». «Chi è Gesù? Di dove viene? Le due domande vanno inscindibilmente insieme. Lo scopo dei quattro Vangeli è quello di rispondere a queste domande. Sono stati scritti proprio per darvi una risposta» (12).
Ratzinger inizia la risposta, esaminando le due genealogie di Gesù, riportate nel Vangelo. La genealogia di Matteo (Mt 1,1-17) connette Gesù a Davide e ad Abramo e inserisce il nome di quattro donne: Tamar, Rahab, Rut e “la moglie di Uria”, non tanto perché alcune sono peccatrici; «Più importante è il fatto che tutte queste donne non erano ebree. Per il loro tramite entra quindi nella genealogia di Gesù il mondo delle genti – si rende visibile la sua missione verso ebrei e pagani» (15). La genealogia di Luca (3,23-38) riconnette con settantasei nomi Gesù ad Adamo, e «intende mostrare che in Gesù l’umanità comincia nuovamente. La genealogia è espressione di una promessa che riguarda tutta l’umanità. […] Gesù assume in sé l’intera umanità, e le dà una svolta nuova, decisiva verso un nuovo essere persona» (18-19). Giovanni ha riassunto il significato più profondo delle genealogie: «L’uomo Gesù è l’”attendarsi” del Verbo, dell’eterno Logos divino, in questo mondo (1,1-14)» (20).
Quali le fonti di Matteo e Luca, specialmente per quanto riguarda l’annunciazione (e la concezione verginale), che non ha avuto testimoni, tranne Maria? Ratzinger, seguendo Gnilka, ritiene che si tratti «di tradizioni di famiglia» (25). E questo spiegherebbe anche l’apparire tardivo soprattutto delle tradizioni mariane: il fatto «trova la sua spiegazione nella discrezione della Madre e dei circoli intorno a lei: gli avvenimenti sacri al “mattino” della vita non potevano diventare tradizione pubblica finché lei stessa era ancora in vita» (25). E di nuovo: «Mi sembra normale che solo dopo la morte di Maria il mistero potesse diventare pubblico ed entrare nella comune tradizione del cristianesimo nascente» (65). Anche a proposito della parola rivolta da Simeone direttamente a Maria: «A te, una spada trafiggerà l’anima» (Lc 2,35) Ratzinger commenta: «Possiamo supporre che questa frase sia stata conservata nell’antica comunità giudeo-cristiana come parola tratta dai ricordi personali di Maria» (101-102).
Sul tema del concepimento e nascita di Gesù, una prima questione riguarda la citazione di Isaia 7,14 riportata da Matteo 1,23, e la storia delle sue interpretazioni. Qual è il nome della madre “vergine” (‘almah) e del figlio divino, che nascerà da lei, a cui sarà dato il nome di Emmanuele, come segno dato al re Acaz dal profeta Natan, per portarlo alla fede in Dio come signore della storia, secondo le parole di Isaia 7,14? Si danno quattro interpretazioni, ricordate nella sintesi del commento a Isaia di Rudolf Kilian (Würzburg 1986), per individuare nel contesto storico di allora, e precisamente nell’anno 733 a.C., secondo la datazione precisa del testo, i due personaggi allusi in Is 7,14. Scrive Ratzinger: «Intorno alla madre e al figlio resta il mistero, almeno per il lettore di oggi, ma presumibilmente anche per l’ascoltatore di allora, forse addirittura per il profeta stesso. […] Quindi, che cosa dobbiamo dire? L’affermazione circa la vergine che dà alla luce l’Emmanuele, analogamente al grande carme di YHWH di Isaia 53, è una parola in attesa. Nel suo contesto storico non si trova alcun riscontro. Resta così una questione aperta: non è parola rivolta soltanto ad Acaz. Neppure è rivolta soltanto a Israele. È rivolta all’umanità. Il segno che Dio stesso annuncia non viene offerto per una determinata situazione politica, ma riguarda l’uomo e la sua storia nel suo insieme» (61-62).
Una seconda domanda affrontata è se il parto verginale sia mito o verità storica. L’analisi della struttura del mito, dove agiscono dèi o semidèi, esclude che si tratti di mito: «La differenza delle concezioni è così profonda che, in effetti, non si può parlare di veri paralleli. Nei racconti del Vangelo rimangono pienamente conservate l’unicità dell’unico Dio e l’infinita differenza tra Dio e la creatura. Non esiste alcuna confusione, non c’è alcun semidio. La Parola creatrice di Dio, da sola, opera qualcosa di nuovo. Gesù, nato da Maria, è totalmente uomo e totalmente Dio, senza confusione e senza divisione, come preciserà il Credo di Calcedonia nell’anno 451» (64). Si può solo indicare, secondo Ratzinger, in una suggestiva pagina letteraria, «un presagio del mistero del parto verginale» nella quarta egloga di Virgilio, che evoca «i sogni segreti e confusi dell’umanità di un nuovo inizio» (66-68).
Nel capitolo sulla nascita di Gesù a Betlemme si osserva: «Gesù non è nato e comparso in pubblico nell’imprecisato “una volta” del mito. Egli appartiene ad un tempo esattamente databile e ad un ambiente geografico esattamente indicato: l’universale e il concreto si toccano a vicenda. […] La fede è legata a questa realtà concreta, anche se poi, in virtù della Risurrezione, lo spazio temporale e geografico viene superato e il “precedere in Galilea” (cfr. Mt 28,7) da parte del Signore introduce nella vastità aperta dell’intera umanità» (77).
Il quarto capitolo, finale, è dedicato ai Magi di Oriente e alla fuga in Egitto. Sui Magi, Ratzinger non accetta l’interpretazione, data anche dall’esegeta amico Rudolf Pesch e da altri esegeti e diventata quasi vulgata, che non si tratterebbe di una storia, ma soltanto di una meditazione teologica. La sua spiegazione va nella linea di Daniélou in I Vangeli dell’infanzia (1967), ma soprattutto del nuovo Commentario al Nuovo Testamento (2011) di Klaus Berger (in preparazione in ed. it. presso la Queriniana), il quale afferma: «Anche nel caso di un’unica attestazione […] bisogna supporre – fino a prova contraria – che gli evangelisti non intendono ingannare i loro lettori, ma vogliono raccontare fatti storici. […] Contestare per puro sospetto la storicità di questo racconto va al di là di ogni immaginabile competenza di storici». Ratzinger osserva: «Non posso che concordare con quest’affermazione. I due capitoli del racconto dell’infanzia in Matteo non sono una meditazione espressa in forma di storie. Al contrario: Matteo ci racconta la vera storia, che è stata meditata ed interpretata teologicamente, e così egli ci aiuta a comprendere più a fondo il mistero di Gesù» (138). Ratzinger aveva puntualizzato fin dall’inizio: «Matteo e Luca – ciascuno nella maniera propria – volevano non tanto raccontare delle “storie”, bensì scrivere storia, storia reale, avvenuta, certamente storia interpretata e compresa in base alla Parola di Dio» (26).
L’epilogo è dedicato alla figura di Gesù dodicenne nel Tempio, «una narrazione che così apre al tempo stesso la porta verso il tutto della sua figura, che poi ci è raccontata dai Vangeli» (147).
Un testo ben documentato e facilmente leggibile, affascinante anche in alcune sue pagine. I testi citati dai vangeli dell’infanzia sono interpretati secondo il metodo già enunciato nell’importante Premessa al 1° volume, Gesù di Nazaret (2007), secondo una «”esegesi canonica”, che intende leggere i singoli testi biblici nel complesso dell’unica Scrittura, facendoli così apparire in una nuova luce» (I, 14). Sotto il profilo metodologico, vi è da aggiungere – come abbiamo già ricordato – il rimando alle «tradizioni di famiglia», e cioè ai «ricordi personali di Maria», conservati nell’antica comunità giudeo-cristiana; e pure il rimando a «parole in attesa» nell’Antico Testamento, che attendono piena comprensione negli eventi narrati nelle pagine del Nuovo Testamento.
In sintesi: «I racconti dell’infanzia sono storia interpretata e, a partire dall’interpretazione, scritta e condensata» (26).
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