In questi giorni si ricordano i vent’anni dall’uscita nelle librerie italiane, per i tipi di Salani, del primo volume della saga di Harry Potter. Ce lo ricordava per esempio Roberto Mussapi su “Avvenire”. Diventato in breve un evento culturale di massa, oltre che un fenomeno di costume (e di mercato!), il maghetto ha ispirato una intera generazione di lettori. Anzi, all’opera di Rowling sono oggi dedicati studi e corsi universitari in tutto il mondo. E anche i teologi hanno posto attenzione ai sette romanzi ambientati a Hogwarts, producendo una abbondante letteratura sull’argomento. Non è insomma isolato il caso di chi, come James McCartin, ha osservato che Harry Potter rappresenta «la più accessibile, forse la più meravigliosamente scaltra introduzione al mito cristiano del peccato e della grazia, della sofferenza, del sacrificio di sé, della morte e risurrezione».
Anche noi proponiamo allora di seguito alcuni passaggi di un articolo su alcuni risvolti teologico-pastorali di Harry Potter, recentemente apparso in versione ridotta su Rivista di Pastorale Liturgica 3/2018 e in versione estesa su Academia.edu. Il testo prende in esame un oggetto specifico della saga letteraria di Harry Potter, i cosiddetti Horcrux: sono dei dispositivi magici in cui Lord Voldemort, l’antagonista, incastona la propria anima nel tentativo di garantirsi l’immortalità. E l’autore li analizza come possibile calco negativo dell’eucaristia, l’unico vero «farmaco d’immortalità» per i padri della chiesa. Il tutto nell’ottica di un possibile utilizzo pedagogico e pastorale, in particolare con gruppi di adolescenti e giovani.
«È necessario arrivare là dove si formano i nuovi racconti e paradigmi»
per «un'evangelizzazione che [...] susciti i valori fondamentali»
(FRANCESCO, Evangelii gaudium, n. 74).
Harry Potter ha il pregio di rendere credibile e attraente, per l'oggi, un messaggio che si tende a relegare fra le anticaglie del tempo che fu. Ma c'è di più: un'arte così ricca di parallelismi e rimandi alla Weltanschauung cristiana viene a interrogare il nostro stesso linguaggio per dire la fede.
Accostare sapientemente l'arte e la letteratura, nel nostro caso specifico la narrativa per ragazzi, è un esercizio che, se ben condotto, avvicina un certo uditorio anziché allontanarlo: va a toccare corde profonde, muovendo istinti di riconoscimento, di emulazione, di com-passione. È nella natura della narrativa, infatti, interagire con il lettore, entrare in risonanza con molte delle sue corde profonde, instillare in lui interrogativi a largo spettro, favorire la sua identificazione con i personaggi, chiedendogli di ricostruire in proprio le vicende dette e non dette dell'intreccio narrativo.
Non intendiamo affermare, però, con questo, che sia una questione di cosmesi o di marketing, per attirare vecchi o nuovi clienti e "vendere" meglio la fede. L'immaginazione messa in moto dall'opera letteraria – e, più in generale dall'opera artistica – può fare molto di più che suscitare piacere e attrarre. L'immaginazione è una prima molla a uscire da sé verso l'ignoto. Uno dei suoi poteri è quello di «abilitarci a empatizzare con esseri umani le cui esperienze non abbiamo mai fatto nostre» (J.K. Rowling), quello di indurci ad entrare in mondi simbolici che ci sono apparentemente lontani, estranei, indifferenti. Non tanto suscitando in noi nuove sensazioni, quanto rendendoci meno assenti e più presenti, meno astratti e più consapevoli: avvertiti della sofferenza che tocca le persone, consci del dono dall'Alto che scende come balsamo sulle ferite, consapevoli che ogni vero com-patire sa suscitare, da ultimo, un patire-per. Al punto che, secondo Cole Matson, leggere Harry Potter potrebbe essere in qualche modo paragonabile all'esperienza corporea e sacramentale che si fa nell'eucaristia (C. Matson, Harry Potter and the Eucharist of Empathy).
Sposare con l'immaginazione un tema di sacramentaria così importante (di rilievo soteriologico) come è il mistero eucaristico non implica affatto volerlo ridurre a una mera dimensione fantastica. Quello che qui abbiamo tratteggiato è invece un tentativo di sfruttare le potenzialità di un linguaggio narrativo – una produzione fantasy nota per essere in sintonia specialmente con le giovani generazioni, anzi per essere entrata a pieno titolo a far parte della cultura popolare contemporanea (il che ai nostri fini resta cruciale!) –applicandole a un tema che alla radice è indicibile e sfugge a ogni razionalizzazione: il mistero eucaristico, appunto.
Se dovessimo dirlo con uno slogan: abbiamo ripensato in chiave di præparatio evangelica post-secolare (o, volendo, post-evangelica...)uno snodo cruciale di quei sette romanzi. Per chi fa teologia ne va di una sfida decisiva: tornare a incarnare i contenuti (rivestirli di nuova carne) e rinnovare di conseguenza i linguaggi (ampliarne l'immaginario).
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