15/08/2024
565. IL MEGLIO RITUALE DELLA PANDEMIA - PARTE II Possiamo scegliere di non fare solo messe? di Manuel Belli
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Teologi@Internet è lieta di ospitare questo intervento (in due parti) di Manuel Belli; qui trovi la I parte, "Non abbiamo scelto di stare senza messa"

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Durante la pandemia non abbiamo scelto di stare senza messa, eppure è successo. E siamo stati provocati a comprenderne meglio il valore, anche per rapporto ad altre forme di preghiera. Siamo tornati a messa, con un potente rischio di rimozione delle intuizioni nate. Ora che possiamo andare a messa, possiamo scegliere di non fare solo questo?



Nel maggio del 2020, quando le misure restrittive si sono attenuate, papa Francesco ha usato questa espressione, divenuta celebre in poco tempo: «Peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla». “Non è andato tutto bene”, come avrebbe voluto il celebre slogan con cui abbiamo provato a rassicurare i più piccoli nei primi giorni in cui la tempesta pandemica ci ha colti di sorpresa: sono morte tante persone, soprattutto nei giovani le ferite sono rimaste, silenti e non facili da curare. Tante famiglie hanno perso un nonno o una nonna senza poterlo salutare. In generale ci siamo riscoperti più fragili: un piccolo e invisibile virus ha tenuto il mondo in ginocchio per alcuni anni.

Eppure i giorni drammatici della pandemia ci hanno fatto pensare che qualcosa avrebbe potuto andare diversamente. Che ci eravamo dimenticati delle cose importanti e ci eravamo ripromessi di non dimenticarcele più. Anche come chiesa. Ci siamo riusciti?

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POSSIAMO SCEGLIERE DI NON FARE SOLO MESSE?


Senza pretesa di completezza, potrebbe valere la pena di recuperare alcune delle forme celebrative che abbiamo provato a imparare nel 2020 e nel 2021, e che poi abbiamo un poco accantonato tornando alla pericolosa coincidenza della coppia rosario-messa come unica espressione della preghiera comune.


La pietà popolare

Papa Francesco ha compiuto due gesti che sono diventati tra i simboli della pandemia: un pellegrinaggio a piedi presso una statua miracolosa di un crocifisso e una benedizione eucaristica in una piazza san Pietro deserta. Si tratta di due gesti attinti dalla pietà popolare: il culto eucaristico fuori dalla messa e il culto per le statue sacre. Molti parroci e vescovi hanno compiuto gesti ascrivibili all’ampia area semantica della pietà popolare, ponendo diversi interrogativi. Helga Marsala, sul blog di critica artistica Artribune, ha scritto: «Al netto delle più scettiche letture, che si scontrano con l’enfasi di credenti, fedeli, devoti, quelle immagini si depositano nel cuore della sensibilità collettiva. E restano. E generano senso, emotività, comunque discussione» (Artribune, 28 marzo 2020).

Qualche domanda si apre: i pastori hanno attinto alla pietà popolare offrendo simboli iconicidi quanto stava accadendo. Paradossalmente la pietà popolare, nel sentire comune custode di valori e forme arcaiche, è sembrata il serbatoio più vitale in cui ritrovare delle simboliche efficaci.

Effettivamente non è facile ricordare un discorso iconico del periodo del lockdown, ma le immagini del papa che prega in solitudine in luoghi significativi hanno avuto un’ampia risonanza. Il periodo pandemico ci consegna una domanda di discernimento sulle pratiche di devozione popolare, provando a riscattarle dalla “tifoseria” a cui spesso rischiano di essere soggette. Hanno un grande valore iconico, antropologico e teologico che chiede di essere esplorato, ricordando che forse le icone più efficaci, i catalizzatori di affetto più importanti e i messaggi evangelici più sferzanti quando il virus faceva più male sono arrivati da questi gesti semplici, quando fatti con eleganza e verità.

Sono stati gesti posti spesso da pastori. In un’epoca dove i pastori vengono numericamente meno, potrebbe essere quello della pietà popolare un luogo nutriente per la fede del popolo di Dio?


L'uso delle tecnologie

La pandemia ha significato lo sbarco della chiesa in modo massiccio sul web e ci ha fatto prendere maggiormente coscienza che quella virtuale è realtà, e non semplicemente che c’è un surrogato virtuale del reale. Lorenzo Voltolin ha proposto una riflessione interessante:

L’utilizzo dei media digitali nella liturgia, ma il discorso vale anche per l’annuncio e la catechesi, deve sostenere lo stretto contatto con la comunità reale, evitando sovrapposizioni alle forme di presenza reale per mezzo di altre figure che non hanno tra di loro un concreto contatto fisico (Studia Patavina 67, 289).

Si tratta di una provocazione da raccogliere: i mezzi di comunicazione non sono fuori dalla realtà, ma possono generare fratture dentro la realtà. Come è miope non vedere nella realtà ciò che accade a livello informatico, così è altrettanto riduttivo sostituire i corpi con gli schermi.

Oggi molte persone sentono una parola di commento al vangelo grazie a YouTube, diversi giovani sono entrati in rete grazie a Instragram, numerose iniziative formative conoscono interessanti strutturazioni on line. I documenti preparatori del sinodo hanno ideato la figura del “missionario digitale”. Molti di questi “missionari” che sono divenuti noti sono preti, religiosi o religiose. Sarebbe un interessante terreno di ricerca e sperimentazione, anche per non consacrati.


Scuole di preghiera

Durante la quaresima del 2020 in molte diocesi sono state proposte delle preghiere da vivere in famiglia celebrando la simbologia dell’acqua, dell’ulivo, della cenere, del pane. In rete il materiale è sempre più difficilmente reperibile, ma sono state fatte delle pensate molto interessanti, ideando delle micro celebrazioni con un carattere formativo e propedeutico alle celebrazioni stesse. Si è riscoperta la liturgia delle ore, anche in versioni adattate per le famiglie, magari con un solo salmo, con inni più fruibili, con intercessioni ad hoc. La liturgia delle ore è stata proposta come schema per una preghiera personale o famigliare. Così come i passaggi della lectio divina sono stati restituiti in sussidiazioni che li hanno proposti come canovaccio della preghiera personale. Le valutazioni di questi sussidi sono diverse: qualcuno sostiene che non siano poi serviti a molti, qualcuno è più ottimista.

 

La direzione non sembra sbagliata. Non si tratta di sottovalutare la messa e la preghiera con il ministro ordinato, ma di imparare a essere protagonisti della propria preghiera. La messa è la fonte e il culmine, non l’unica preghiera della chiesa. Sarebbe importante insistere nelle intuizioni nate in tempo pandemico, magari correggendo le ingenuità.


 


[qui trovi la I parte, "Non abbiamo scelto di stare senza messa"]


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