03/11/2005
57. Il futuro delle riforme ecclesiologiche del Concilio Vaticano II di Hervé Legrand
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Ricorre l’8 dicembre 2005 il 40° anniversario della conclusione del concilio Vaticano II e si vanno moltiplicando incontri, convegni e pubblicazioni, in Italia e all’estero. L’editrice Queriniana ha edito per l’occasione due importanti pubblicazioni. Innanzitutto il fascicolo della rivista internazionale di teologia “Concilium” 4/2005 sul tema Vaticano II: un futuro dimenticato? (a cura di Alberto Melloni e Christoph Theobald), da cui riportiamo il testo di Hervé Legrand, docente all’Institut Catholique di Parigi e uno dei più noti ecclesiologi cattolici. Inoltre segnaliamo l’apparizione del volume di Otto Hermann Pesh, Il Concilio Vaticano Secondo. Presitoria, svolgimento, risultati, storia post-conciliare (Biblioteca di teologia contemporanea 131), che offre una sintesi dell’evento conciliare, ricostruendo la situazione di partenza, le dispute intorno ai singoli testi conciliari e i loro risultati, e infine anche gli effetti delle decisioni conciliari sulla chiesa post-conciliare.


Quale futuro per le riforme uscite dal Vaticano II?

Va sottolineata l’ampiezza delle riforme: la liturgia e la parola di Dio sono accessibili a tutti; l’ecumenismo ha pieno diritto di cittadinanza; il dialogo interreligioso è legittimato (grazie a Giovanni Paolo II); è stato generalizzato un regime di consultazioni; le mentalità sono cambiate molto, così come mutata è l’immagine pubblica della chiesa.

Rimane però una questione fondamentale: le riforme del Vaticano II hanno raggiunto il loro obiettivo iniziale, quello di correggere gli effetti indotti dal Vaticano I? È più pertinente chiederselo che entrare in una disputa a proposito del rispetto della lettera o dello spirito del concilio. In effetti, quando la collegialità è stata interpretata in termini “più affettivi che effettivi”, potendo la testa fare ogni cosa senza il collegio, mentre quest’ultimo non può fare nulla senza la sua testa; quando tutte le istanze di cui i parroci, i vescovi e il papa sono stati dotati, rimangono consultive; quando la comunione delle chiese si trova assorbita nella comunione della chiesa, ci si può chiedere se le intenzioni (e non lo “spirito”) del Vaticano II siano state effettivamente onorate. Le riforme introdotte non hanno potuto rimediare alle difficoltà pastorali ed ecumeniche persistenti.

Sul piano pastorale le riforme si sono presentate come universalmente valide, quindi obbligate ad essere di tipo “legal-burocratico”; esse vengono raramente adattate, a livello locale, ai miliardi di fedeli che vivono nelle culture più diverse. Un simile schema di riforma non ha permesso al papa – i viaggi di Giovanni Paolo II avevano un altro scopo – e alla curia di centrarsi, con la loro autorità specifica, sulle chiese per aiutarle a mettere a punto le soluzioni che solo esse avrebbero potuto elaborare. Lo schema messo in opera ha centrato le chiese sulla curia romana che legifera, a volte fin nei minimi particolari, ed esercita il controllo su scala universale, rischiando in tal modo di deresponsabilizzare gli attori locali. Ne conseguono problemi ricorrenti, legati ai modelli di autorità, alla scelta dei vescovi, agli statuti così variabili delle donne, al reclutamento del clero. La collegialità universale non potrà risolvere questi problemi meglio della curia. La creazione di grandi complessi continentali porterebbe elementi di soluzione, a condizione che si stabilisca un clima di fiducia e di pazienza.

Sul piano ecumenico una evoluzione in questo senso creerebbe, a lungo termine, se altre condizioni si verificano, buone condizioni per la riunione di cristiani, perché la chiesa unitaria si è rivelata storicamente opposta alla chiesa una. Sul piano ecumenico, come sul piano pastorale, le urgenze sono identiche: lavorare ad un rinnovamento teologico ed epistemologico del diritto canonico e rivedere innanzitutto l’ermeneutica del Vaticano I, prima ancora di quella del Vaticano II.



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