18/12/2006
80. Il fondamentalismo una patologia della religione Intervista a Rosino Gibellini di Achille Rossi
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Intervista pubblicata su “L’Altrapagina”, mensile d’informazione, politica e cultura, Città di Castello (Perugia).


Tutti i movimenti fondamentalisti vanno a cercare le motivazioni ultime sul versante religioso. Come mai? Siamo in presenza di una perversione del fatto religioso? O di cos’altro?

Il fondamentalismo religioso non è la religione, ma una manifestazione patologica della religione. Questo deve essere chiaro e come manifestazione patologica della religione investe soltanto alcuni settori, particolarmente vivaci nel nostro tempo, come dimostra anche una rilevante letteratura su questo tema. Basterebbe citare alcuni titoli: “La rivincita di Dio” oppure “I difensori di Dio”: titoli eloquenti nel descrivere il fenomeno. Il fenomeno del fondamentalismo, essendo patologico, è anche minoritario. Ma si deve ricordare che ci sono filosofi che parlano anche di manifestazioni patologiche della ragione, come razzismo, antisemitismo, militarismo ecc. Da qui la necessità di un’alleanza strategica tra ragione e fede, tra ragione e religioni per resistere al fenomeno e per superarlo per una cultura e per una pratica della pace e della giustizia. Credo che non si debba evocare lo spettro dello “scontro delle civiltà” in quanto si tratta di un concetto troppo generico e in fondo pericoloso. Il fenomeno del fondamentalismo deve essere ben definito e ben circoscritto. Se si vuol essere precisi, il fondamentalismo religioso nasce da una lettura letterale dei testi religiosi, che, per quanto riguarda la teologia cristiana, è ormai superata dall’ermeneutica con cui la comunità cristiana legge e interpreta i testi della propria tradizione religiosa. Su questo versante c’è una difficoltà, come sottolinea la critica, per quanto concerne la lettura del Corano, che non ammette, nelle più accreditate scuole coraniche, una ermeneutica interpretativa.


Oggi le religioni sono sul banco degli imputati perché sospettate da un certo pensiero laico di istigare alla violenza e all’assolutismo. Qual è il suo parere in merito?

Le religioni sono vie di salvezza. Così si auto comprendono e si definiscono. Se la filosofia è una Weltanschauung, una visione della vita e del mondo, le religioni si auto comprendono e si presentano come vie che, con le loro dottrine, riti e pratiche, conducono alla salvezza, ossia a pienezza di vita anche oltre la barriera della morte. Nelle religioni c’è sempre questa ulteriorità, oltre il tempo. Assoluto è soltanto Dio, e non le varie tradizioni religiose, che hanno una lunga e variegata storia (a volte anche contorta e non esemplare). Per sé l’esperienza di Dio è un’esperienza liberante e non violenta, in quanto suscita il coraggio di rendere più umani tutti i settori della vita. È stato detto in forma aforismatica: «Chi pesta i piedi all’uomo, li pesta a Dio». Ma il nostro rapporto con l’Assoluto non esiste mai allo stato puro, non è un rapporto diretto, ma è sempre mediato data la nostra creaturalità. Queste mediazioni possono corrompere il nostro rapporto con l’Assoluto. Il rapporto con l’Assoluto è sempre liberante, ma in forza di cattive mediazioni può diventare minaccioso. Anche su questo tema e sulla distinzione che ora ho proposto esiste una letteratura rilevante. La religione non può essere assunta per giustificare l’odio e l’assassinio, rinunciando all’etica della compassione che è quella di tutte le religioni del mondo. Il fondamentalismo violento rappresenta una disfatta per la fede religiosa.


Il relativismo, a detta dei laici, sembra offrire un migliore punto d’appoggio per garantire una convivenza democratica, perché rispettoso delle differenze e non assillato dal problema dell’Assoluto. Cosa ne pensa?

La religione non è la politica. Se la politica è l’arte di amministrare e di governare i popoli, la religione guida i singoli e i popoli a salvezza, ossia a pienezza di umanità e di vita, quindi si deve innanzitutto distinguere tra politica e religione. La religione tuttavia non può essere relegata alla sfera privata, perché ha anche una rilevanza pubblica. Questa rilevanza pubblica deve essere fatta però valere in una società democratica tenendo presente la distinzione tra Chiesa e Stato, religione e società civile. Su questo punto ha più difficoltà l’Islam, con il suo concetto di “sharia” per cui la legge religiosa diventa legge civile e statale. Qui c’è una vera difficoltà ma bisogna convivere con le difficoltà, e convivere pacificamente, per un cammino verso più giustizia e pace nel mondo. Come la politica deve guardarsi da forme di autoritarismo, assolutismo, manipolazione dell’opinione pubblica, mantenendo la società nella legalità, così le religioni, pur affermando la loro identità, devono concepire questa identità come identità relazionale. Se vogliamo attenerci al cristianesimo, e guardare alla teologia che sta elaborando di fronte al problema nuovo del pluralismo religioso compresente negli stessi spazi geografici, si nota lo sforzo di elaborare un cristianesimo relazionale. E cioé: un cristianesimo che afferma la propria identità, ma la vive e la costruisce nella relazionalità e cioé nel dialogo e nella cooperazione in ordine a pace e giustizia. È questo il compito del dialogo interreligioso, che per i cristiani ha il suo manifesto nei documenti del Concilio Vaticano II, nello spirito di Assisi ma ancor più, per rifarci agli inizi della storia cristiana, nel manifesto evangelico delle beatitudini, che chiama beati gli operatori di pace. I testi fontali della tradizione cristiana e cioé i Vangeli, che esprimono l’originaria esperienza cristiana, mettono la comunità cristiana su cammini di pace e di giustizia. In senso più generale, si deve dire che le religioni con la loro storia e con la loro pratica autentica rappresentano una riserva di sapienzialità che può aiutare la società civile alla convivenza e alla collaborazione, come recentemente hanno riconosciuto importanti filosofi, come il grande filosofo della politica Habermas. La religione pertanto è distinta dalla politica, ma influisce sulla società civile e deve influire positivamente con l’etica dell’amore del prossimo, o con l’etica della compassione, che sono sconosciuti in sé e per sé ad una teoria della democrazia. Questo è un punto di grande attualità nel dibattito filosofico, teologico e interreligioso.


Attualmente le religioni sono capaci di rispettarsi come differenti vie di salvezza, oppure sono sottilmente guidate dal desiderio di egemonizzare le altre non appena ne hanno i mezzi?

Per rispondere vorrei rifarmi al secondo Parlamento delle religioni che si è tenuto a Chicago nel 1993. É noto che nel 1893 si è celebrato a Chicago il primo Parlamento delle religioni, che è stato il primo tentativo di avvicinamento tra le religioni al servizio dell’umanità; esattamente cent’anni dopo, e precisamente nel 1993, si è celebrato il secondo Parlamento con la presenza anche cattolica del cardinale di Chicago e del rappresentante del Consiglio ecumenico delle Chiese, che si è concluso con un documento approvato da una così variegata assemblea ma steso dal teologo cattolico Hans Küng. Il documento elabora i punti di un progetto per un’etica mondiale (Weltethos). Si tratta di questo. Ogni religione deve essere fedele alle sue Scritture originarie: in questo senso esse hanno bisogno di continua riforma. È una riforma che riguarda le singole religioni. Ma ogni religione, in quanto via di salvezza, deve convergere con le altre religioni nel servizio della pace e della giustizia, che sono gli elementi fondamentali della salvezza intesa religiosamente. Questa è la convergenza da realizzare nella differenza delle varie tradizioni religiose. Si potrebbe dire le vie convergono al servizio dell’umanità. Le identità si costruiscono nella relazionalità, e si autodistruggono con la violenza e con l’aggressione. Anche il Papa ad Assisi 1986, parlando ai leaders delle diverse tradizioni religiose ha parlato dell’elaborazione di un codice etico comune al servizio della comunità umana. Senza etica non c’è convivenza. E le religioni sono chiamate, ciascuna con il suo contributo di sapienza e umanità, soprattutto nell’era della mondializzazione, al costituirsi di un nuovo ordine della solidarietà. Si tratta, in definitiva, di attivare nel reciproco rispetto il patrimonio di pace di ogni tradizione religiosa.




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Forum teologico, a cura di Rosino Gibellini
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