21/09/2018
410. IL CRISTIANESIMO NON È UNA RELIGIONE Il vangelo come progetto di vita di Jesús Bastante
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Riportiamo il testo, pressoché integrale, di una recente intervista di Jesús Bastante al teologo José María Castillo, gesuita spagnolo, apparsa su Religión digital il 24 luglio 2018.

 

 

 

Benvenuto, p. Castillo: è sempre un onore averla qui da noi. Lei ha appena pubblicato un commentario ai vangeli domenicali. Ci dica: a proposito di quanto sta accadendo nel mondo, oggi, cos’ha da dire il vangelo?

Il vangelo ci dice che nelle questioni fondamentali della vita questo mondo si è spostato verso altri interessi, altri problemi e altre soluzioni, che sono opposti al vangelo. Questo mi sembra importante. E voglio aggiungere ciò che, dal mio punto di vista, è la cosa più importante in questo momento: il rapporto tra la chiesa e il vangelo.

 

Qual è questo rapporto? Quali problemi vi intravede?

A mio modesto giudizio il problema è essenzialmente che la chiesa ha emarginato in larga misura il vangelo.

 

Ma non dovrebbe essere il suo fondamento?

Sì, di fatto ne è la base, il cuore e il centro. Tuttavia, le cose stanno diversamente. Ma siamo fortunati ad avere ora questo papa. Francesco è un personaggio singolare e originale nella storia del papato. Per come la vedo io, è un uomo che – senza dirlo, nel suo intimo più profondo – fa quello che si è prefisso e nel modo in cui lo ha programmato. Di fatto sta cambiando il papato. E lo sta facendo con il suo modo di vivere, con la sua umanità soprattutto, con la vicinanza alla gente, con la sintonia con coloro cui nessuno dà ascolto: i più poveri e disgraziati di questo mondo. Questo pontefice sta cambiando le cose: sta cambiando il papato e anche il futuro della chiesa. Mi preme sottolinearlo.

 

È sufficiente? Voglio dire: rimane pur sempre un uomo di fronte a una realtà ciclopica, quale è l’istituzione ecclesiastica, che lotta con forza per non soccombere, per non scomparire, con le sue gerarchie e i suoi vincoli di potere: una struttura piramidale che opprime un poco il popolo di Dio.

Sì, è vero: non è un segreto che il papa abbia molti nemici, nemici altolocati, anche nella chiesa. E questi nemici che ha “in casa” vorrebbero rimuoverlo prima possibile. La radice del problema, secondo me, è che la chiesa sin dalle origini si è sempre trovata in difficoltà, lontana e talvolta in netta contraddizione con il vangelo.

Non dimentichiamo una cosa importantissima: il vangelo non è semplicemente una religione. Ne è prova il fatto che il suo protagonista, Gesù, è stato messo a morte dalla religione. E i racconti evangelici (i quali, in fin dei conti, sono una teologia narrativa che non viene esposta per teorie o dottrine, bensì tramite il racconto di fatti e di avvenimenti), che ciascuno degli evangelisti ha presentato in maniera differente, nel profondo coincidono in un aspetto essenziale che, di norma, buona parte del mondo clericale fatica a riconoscere, e cioè che il vangelo non è una religione – e, pertanto, non lo è nemmeno il cristianesimo. È, piuttosto, un progetto di vita. La chiesa e il cristianesimo purtroppo si sono presentati, hanno vissuto, si sono organizzati e si rapportano alla società come una religione, e questo è avvenuto a costo di deformare ed emarginare il cuore e il fulcro del vangelo.

Non mi stanco mai di ripeterlo: il vangelo è la storia di un conflitto. Un conflitto che si è concluso con una morte. Ebbene – questa sì è una curiosità – il grande difensore di Gesù, colui che oppose maggior resistenza alla sua uccisione fu, stando ai racconti della passione, un procuratore romano: Pilato. Chi più si impegnò, invece, non solo per farlo uccidere, ma perché ciò avvenisse tramite la croce (vale a dire, nel modo più crudele, umiliante e degradante per quella cultura e in quella società), furono le più alte autorità religiose: i notabili.

 

Allora come diffondere il messaggio, il progetto di vita di Gesù, in tutto il mondo, senza diventare una religione, per di più legata a un potere? Perché senza l’Impero romano, probabilmente questa espansione sarebbe stata impossibile. E senza i legami tra potere e religione, di certo il messaggio di Gesù non sarebbe giunto, nei secoli, a tanta gente. È una specie di teoria del male minore? Oppure servì in un certo periodo storico a diffondere la buona novella, però l’istituzione avrebbe dovuto ritirarsi, in seguito, dalla sua relazione con il potere?

Quello che ho potuto verificare leggendo, studiando e riflettendo su questo tema per tutta la vita, e soprattutto negli ultimi anni, è che vi è un processo in atto sin dall’inizio. In sintesi: per prima cosa, le chiese primitive si diffusero attraverso l’Impero senza conoscere il vangelo, poiché l’apostolo di quelle chiese fu principalmente san Paolo. Paolo non conobbe Gesù, e perciò nemmeno il vangelo. Ciò che egli visse nel famoso episodio sulla via per Damasco quando, così si narra, cadde da cavallo (sebbene la storia non menzioni alcun cavallo), fu l’esperienza del Risorto. Ovvero: Cristo, non più di questo mondo, ma oltre questo mondo, nella pienezza della sua gloria nell’eternità.

Rimane il fatto che Paolo non conobbe Gesù. Di più: l’apostolo afferma, nella Seconda lettera ai Corinzi, che il Gesù incarnato (cioè il Gesù umano) non rientra fra i suoi interessi.

 

La chiesa oggi è più Paolo o più Pietro? O forse nessuno dei due?

La chiesa non si riduce né a Pietro né a Paolo. 



Sì, però è una chiesa più spirituale, una chiesa più strutturata, o più intenta a tornare alle origini?

Se con Pietro intendiamo la chiesa che proviene dal Gesù storico, chiaramente il vangelo segue più Pietro. Mentre dalle lettere apostoliche che Paolo ha inviato alle chiese sparse per tutto l’Impero, dall’Oriente alla Spagna, deriva una chiesa elaborata da Paolo a partire dalla sua esperienza del trascendente, del Risorto. E molto condizionata dalle sue idee e dalla sua formazione: egli si formò nella cultura greca, fu molto influenzato dal pensiero stoico e sembra si possa affermare che fosse influenzato da correnti gnostiche. E tutto questo non è Gesù: si tratta di altro, di altre vie.

Da notare è anche che i vangeli iniziarono a diffondersi dal 70 d.C., circa quarant’anni dopo la morte di Gesù, quando la chiesa si era già organizzata in comunità e assemblee nelle grandi città dell’Impero. Questo è il primo problema.

Il secondo è che le assemblee che organizzavano le chiese di Paolo non avevano dei templi, delle chiese come oggi le intendiamo (nel senso degli edifici). Si riunivano in case, che dovevano però essere grandi, e solo i ricchi e i potenti disponevano di grandi abitazioni. Pertanto, la chiesa si organizzò attorno alle case della gente ricca e importante, e dunque attorno ai loro interessi.

Un terzo fattore, che molti non tengono in considerazione, è che nei primi secoli l’Impero era bilingue: si parlavano soprattutto greco e latino. Ma i vangeli furono scritti in greco, che era la lingua della gente colta, di un certo livello sociale, culturale ecc. E i poveri, che facevano? Quello che han sempre fatto e che seguitano a fare: stavano ai margini. La prima traduzione della Bibbia di cui siamo a conoscenza non è quella del 180 d.C. (siamo già un secolo e mezzo dopo la morte di Gesù). Secondo Tertulliano, è nel III secolo che si hanno notizie di una traduzione della Bibbia in latino. Pertanto, nei primi due secoli il popolo non poteva conoscere il vangelo.

Vi è un quarto fattore molto importante: all’inizio del IV secolo avviene la famosa “conversione di Costantino”. A partire da quel momento, la chiesa comincia a godere di diversi privilegi. Non mi dilungherò su questo aspetto, ma conviene tenerne conto.

 

Fu poi Teodosio a dichiarare il cristianesimo religione ufficiale dell’Impero.

Sì: l’imperatore Teodosio fece un passo in più rispetto a Costantino. Costantino permise al cristianesimo di manifestarsi come religione e Teodosio lo dichiarò unica religione di stato, così tutte le altre religioni divennero clandestine. Da quel momento fino all’inizio del VI secolo ha origine un fenomeno che è stato studiato con attenzione da uno degli storici più competenti in materia, se non il più competente al mondo: Peter Brown, professore a Oxford, autore del libro Per la cruna di un ago. Brown dimostra come in quella fase si produsse un fenomeno sorprendente: l’ingresso in massa delle persone più ricche e potenti nella chiesa. Il processo giunse fino al caso estremo di alcuni che vennero nominati vescovi senza nemmeno essere battezzati: il caso più noto è quello del vescovo di Milano, sant’Ambrogio. Ambrogio era catecumeno, e da catecumeno venne consacrato vescovo, perché lo ritennero l’unico in grado di governare una chiesa ingovernabile, a causa della situazione troppo complessa. Così avvenne anche in Gallia e nella Spagna romana.

Vorrei tornare su un altro aspetto che mi sembra estremamente importante: il vangelo non è una teoria, è uno stile di vita. Ed è presente nella misura in cui viene vissuto. Se così non fosse, avremmo un mucchio di teorie, di detti evangelici convertiti in detti popolari; ma una cosa è raccontare, altra cosa è vivere. Ed è questo il problema della chiesa: che abbiamo una istituzione bene organizzata, ben gestita e strutturata, ma al contempo lontana e distante dal vangelo. Certamente vi sono anche persone, movimenti e gruppi che lo vivono, che si sforzano di viverlo. Ma troppi segni sono scandalosi.

A queste cose penso di continuo. Per questo l’attuale papa è una benedizione: sta combattendo quelle storture. Anche se non è affatto solo, è molto condizionato. E a chi domanda «perché non li licenzia tutti e ne mette degli altri?» rispondo subito: il papa deve stare molto attento, perché non si arrivi a uno scisma.

 

I pontefici sono costruttori di ponti e non distruttori, ed è chiaramente complicato. Il lavoro che ha di fronte papa Francesco è molto difficile.

È estremamente complesso e delicato: essere buono, ma allo stesso tempo fermo e coerente, con tutti. Armonizzare questi due aspetti è un vero miracolo. Ci vorranno anni e anni per riuscirci. Tuttavia, ci sono cose che non mi va di tacere.

Primo, è importante occuparsi delle famiglie, perché si tratta di migliaia di persone che vengono comunque a messa. Poche istituzioni possono vantare un seguito così nutrito tutte le domeniche.

Inoltre, sarebbe importante ammettere al sacerdozio gli uomini sposati. A maggior ragione perché si sa per certo che la tradizione del celibato è stata introdotta nel IV e V secolo.

In terzo luogo, la questione delle donne: perché non è loro consentito il sacerdozio proprio come agli uomini? C’è un problema di fondo: quante volte un fenomeno sociologico, culturale e storico è confuso con un dato teologico?

Ovviamente, le donne nelle culture antiche venivano emarginate. Viviamo ancora influenzati da questo, ma ci siamo ormai convinti che una società che emargina le donne non può andare da nessuna parte. La chiesa deve affrontare questo fenomeno quanto prima: la donna gode degli stessi diritti dell’uomo, anche in teologia. Leggendo e studiando i vangeli, uno degli aspetti che maggiormente richiamano l’attenzione è il rapporto di cura, di rispetto e di difesa che Gesù ebbe con le donne. Qualunque fosse la loro origine e il loro comportamento, Gesù le difese sempre: perciò, difendiamole anche noi!

 

 




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