Si è tenuto nei giorni 27-29 settembre 2013 il XII Colloquio Internazionale di Studio, promosso dall’Istituto Paolo VI di Concesio, Brescia, sul tema “Il Concilio e Paolo VI. 50 anni dal Vaticano II”. Tra i relatori: Michael Paul Gallagher, Franco Giulio Brambilla, Gilles Routhier, Jan-Heiner Tück. Gli Atti saranno editi dall’Istituto Paolo VI, Concesio (BS). Anticipiamo un breve brano della densa relazione del vescovo di Novara, decano emerito della Facoltà di teologia di Milano, che ha parlato sul tema “L’interpretazione teologica del Vaticano II: categorie, orientamenti, questioni”.
Il tema della ricezione (dei concili) – come è noto – è abbastanza complesso e si rivela più difficile quando lo spazio storico intercorso è relativamente breve. Chi ha tentato una periodizzazione ha dovuto tener conto non solo delle diverse fasi storiche di questi cinquant'anni, ma anche dello «spazio umano e culturale della ricezione». Forse possiamo incrociare sostanzialmente due criteri: uno storico e l'altro culturale, che ci consentono di determinare almeno tre tappe della ricezione del Concilio.
La prima tappa potrebbe essere definita dell'attuazione del Concilio, cioè la realizzazione della "riforma" proposta dal Concilio (1965-1985). Essa è connotata dall'elemento istituzionale, e si distende lungo l'arco che va dalla graduale introduzione della riforma liturgica, alla revisione degli studi teologici, all'avvio faticoso del Sinodo dei Vescovi con la sua crisi nell'assemblea sinodale del 1974, fino alla riforma del Nuovo Codice di diritto canonico del 1983. I soggetti di questa prima fase della ricezione sono prevalentemente i papi e i vescovi protagonisti della generazione conciliare, che attraverso la loro azione pastorale hanno dato un forte impulso al diffondersi della visione del Concilio. A essi s'accostano, persino qualche volta con fughe in avanti, quelli che Routhier chiama i "mediatori culturali" (teologi e operatori della comunicazione). Rimane sullo sfondo la valutazione della ricezione nell'insieme del popolo di Dio (si pensi solo al clero), per la sua capacità di recepire lo stile e gli insegnamenti conciliari e la loro traduzione nelle pratiche effettive, nella dottrina e nella spiritualità. Potremmo definire questa prima fase una ricezione che tenta di introdurre la "mentalità conciliare" attraverso il rinnovamento delle forme pratiche che la devono mediare. Tre indicatori potrebbero testare il livello della ricezione: 1) i diversi insegnamenti/prassi (non tutti sono recepiti allo stesso titolo e nel medesimo modo); 2) il metodo sinodale che si è attuato in Concilio e che invece fatica a trovare forme persuasive per trattare in capite et in membris le nuove questioni che si affacciano alla Chiesa cattolica (si pensi solo ai diversi Sinodi dei vescovi e ai Consigli presbiterali e pastorali di una diocesi); 3) lo stile del discorso, come forma particolare che il Concilio ha adottato per l'annuncio cristiano oggi e che produce una sorta di proliferazione indiscriminata dei documenti non tutti di egual valore, con una sorta di koiné linguistica non sempre di alto livello. L'apprezzamento dei risultati di questa prima fase della ricezione è discusso: le mediazioni istituzionali (libri rituali, corpus giuridico, "istruzioni", "orientamenti e norme" e "direttori") hanno tentato di dare carne al corpus conciliare, ma hanno anche introdotto momenti di opacità, di freno, d'incanalamento dello spontaneismo postconciliare.
La seconda tappa della ricezione è di carattere teologico (1985-2000): ed è rappresentata dal Sinodo straordinario dei Vescovi del 1985 dedicato al XX anniversario del Concilio. Esso introduce una svolta nella ricezione conciliare e nell'ermeneutica teologica di questo. L'ecclesiologia passa dalla categoria di "popolo di Dio" alla nozione di "communio". La comprensione prevalentemente sociologica della categoria di popolo di Dio nella ricezione dei primi vent'anni (si pensi alla teologia politica e della liberazione) ha trovato nella rilettura di W. Kasper, segretario speciale del sinodo, l'accentuazione della parabola del Vaticano II attorno alla nozione di "communio". Questa era funzionale a due ricuperi che papa Wojtyla stava promuovendo: la proiezione missionaria con il tema della nuova evangelizzazione; la valorizzazione del laicato associato con i "nuovi" movimenti laicali emergenti. Credo che si possa accostare a questo snodo decisivo nella ricezione del Vaticano II una stagione feconda dei "mediatori culturali" (in particolare dei teologi in confronto serrato con la modernità) che, partendo dal Concilio, hanno veramente operato un reinquadramento profondo della teologia conciliare dentro l'arco dei due millenni della tradizione cristiana, in particolare portando l'attenzione al carattere storico, salvifico e personale della Rivelazione, alla sua attestazione nella Sacra Scrittura e alla sua centratura cristologico-trinitaria. Ciò ha ricuperato il significato strategico della Dei Verbum nell'insegnamento conciliare. Nel frattempo era avvenuto un epocale decentramento del cristianesimo occidentale con l'affacciarsi dei fenomeni dirompenti introdotti dal pluralismo religioso. Senza registrare questa tensione non si capirebbe la tappa attuale nella ricezione del Concilio.
La terza tappa è dominata dal conflitto delle interpretazioni (dal 2000 fino ai nostri giorni). Essa suppone il venir meno della generazione che ha fatto il Concilio. Gli attori del Vaticano II scompaiono: la nuova generazione di vescovi e di teologi non è stata impegnata nel dibattito conciliare e non è segnata allo stesso modo da quell'evento; lo riceve attraverso i suoi documenti, le realizzazioni istituzionali e le pratiche effettive. Per questa generazione il Vaticano II è accessibile solo attraverso un gesto di "memoria critica": essa è possibile come un'operazione che ricupera l'intenzione pastorale e pratica dell'evento conciliare mediante la valutazione delle sue ricezioni e attuazioni; non si dà più un rapporto diretto con l'evento conciliare e i suoi documenti, ma esso è mediato da una situazione inedita, segnata dalla secolarizzazione, dal multiculturalismo, e del pluralismo religioso. Tale situazione propone prepotentemente il problema dell'identità (cristiana) e quindi del legame con la tradizione. In questa fase, si colloca il generoso tentativo di Benedetto XVI, che ha operato su due leve: il lascito del Vaticano Il, identificato in un'ermeneutica della riforma; e il rapporto critico con la modernità, con il manifesto del suo pontificato proposto nell'enciclica Deus caritas est e nel discorso di Ratisbona. La sua proposta potrebbe essere formulata in sintesi così: l'identità cristiana porta con sé le ragioni della sua rilevanza ed esige, dunque, un rapporto con la ragione moderna, affrancata dalla sua angustia razionalista e antitradizionale. L'intervento papale del 2005 ha prodotto indirettamente una concentrazione benefica di studi sul Vaticano II, che ci consente di operare il passaggio ad una nuova fase della recezione e dell'ermeneutica teologica che ha bisogno forse di una nuova denominazione.
La nuova fase può, dunque, definire un tempo nuovo che si apre davanti a noi. Il tempo in cui il Concilio deve essere trasmesso alla seconda generazione postconciliare: quella che non è vissuta nel cono di luce del Vaticano II, ma che è nata in un mondo secolarizzato, senza segni identitari e che perciò fatica a sentirlo come un punto di partenza promettente. Prima di comprenderlo e accoglierlo come una "eredità" preziosa, essa deve ricomprenderlo come una scuola di annuncio del Vangelo e una sfida per la riforma di cui la Chiesa ha bisogno in ogni tempo. Tuttavia prima di accogliere il Vaticano II come un compito, dovrà riscoprirlo come un tesoro o come una "bussola" per la Chiesa del terzo millennio. Ha sottolineato il rilievo ermeneutico di questa ulteriore fase G. Routhier nel saggio introduttivo alla sua ultima raccolta, proponendo il Vaticano II come eredità. Mi sembra una prospettiva interessante sia per l'ermeneutica teologica del Concilio, sia per la pragmatica ecclesiale che sembra annunciarsi nei primi gesti del pontificato di Papa Francesco. Secondo Routhier tre movimenti creativi qualificano la recezione del lascito di un'eredità. Con acume e con una certa astuzia intellettuale, il teologo canadese propone un'analogia con il problema dell'eredità del tomismo. Tre opzioni principali consentono di ereditare un pensiero vitale: 1) tornare alla posizione dei problemi al di là delle soluzioni e delle conclusioni che quel pensiero ha saputo produrre; 2) far emergere, attraverso uno scavo storico sul pensiero di un autore (nel caso l'Aquinate) il corpo di intuizioni basilari del suo pensare teologico, focalizzando le sue idee veramente creatrici; 3) ritrovare lo stato di invenzione creativa che ha caratterizzato il contributo di Tommaso al rinascimento medievale. La nuova generazione dopo quella conciliare (di vescovi, teologi e chiese locali) deve proporsi di «pensare con e al modo del Vaticano II». Questa indicazione registra la «nuova situazione ermeneutica» in cui si pone il nostro tema dell'interpretazione teologica del Concilio: l'ermeneutica del Vaticano II come tale si propone come il compito del Vaticano II come ermeneutica dell'annuncio evangelico per la Chiesa del terzo millennio. Di fatto questo è il contributo degli interventi più significativi di quest'ultimo decennio, prima durante e dopo l'intervento di Papa Benedetto nel 2005. Potremmo delineare il tema dell'eredità in tre mosse: a) riprendere il modo originale dei Padri conciliari di porre i problemi, per prospettare una risposta alle sfide del loro tempo nella interazione tra soggetti, corpus testuale e nuovi lettori (il Vaticano II come stile); b) far emergere l'originalità del Vaticano II, le sue idee creative e le sue intuizioni basilari sia sul versante metodologico che contenutistico (il principio di pastoralità); c) ritrovare lo stato d'invenzione che ha caratterizzato quella svolta epocale e che ha bisogno oggi di una ripresa creativa e di una nuova pragmatica ecclesiale (il futuro del Concilio).
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Otto Hermann Pesch IL CONCILIO VATICANO SECONDO Preistoria, svolgimento, risultati, storia post-conciliare
Biblioteca di teologia contemporanea 131 pagine 456 |
Pierre-Th. Camelot, Paul Christophe, Francis Frost, Pierre Maraval, Joseph Thomas I CONCILI ECUMENICI
Grandi opere pagine 480 |
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