Il sasso nello stagno del dibattito sul Concilio è stato gettato dalla pubblicazione dell’imponente Storia del Concilio Vaticano II (Bologna 1995-2001) diretta da G. Alberigo. Il guadagno della Storia è stato quello di aver messo in luce il momento generatore dei testi e il metodo con cui la maggioranza conciliare ha gradualmente assunto il programma di Giovanni XXIII di un «magistero a carattere prevalentemente pastorale». L’Officina bolognese ha sostenuto che soprattutto i testi di compromesso, vanno ricondotti al metodo con cui sono stati elaborati i documenti, al momento genetico che li ha prodotti nella dialettica tra maggioranza e minoranza, alla preoccupazione di Paolo VI di raggiungere il massimo di consenso tra i padri. L’evento conciliare di confronto assembleare, di conversione dottrinale e di convergenza decisionale, lo stile di lavoro del Concilio ha generato uno stile di scrittura che fa del Vaticano II un unicum nella storia dei concili. Nei casi di conflitto interpretativo, dunque, la sintesi dell’eterogeneità dei testi va ricondotta al movimento vivo dell’evento conciliare, inteso come evento che segna il trapasso di un’epoca: è qui che si apre «la dialettica tra lettera e spirito o in altri, più rigorosamente, tra evento e decisioni finali».
La tensione tra evento e decisioni ha suscitato critiche alla sopravvalutazione ermeneutica della distinzione proposta dalla Storia di Alberigo: nel senso che bisognava privilegiare l’evento sul documento. E che in ogni caso non si poteva sterilizzare il Concilio nel suo carattere di "svolta": perché la svolta era in realtà «il ricupero della grande Tradizione della Chiesa [...] oltre che l’attenzione amica ai problemi dell’uomo d’oggi». La contrapposizione acerrima si è concentrata in una serie di pubblicazioni che è stata definita come "anticoncilio" (Amerio, De Mattei, Gherardini, David Berger e altri), con una varietà più o meno sfumata di posizioni avverse che attribuivano alla Storia un’ermeneutica della discontinuità. I rappresentanti della Scuola rifiutano giustamente tale attribuzione, ma il dibattito da loro introdotto ha avuto il merito di istituire la differenza tra spirito/evento e lettera/documento del Concilio. Il guadagno raggiunto è rimasto a metà del guado su come istituire in positivo il rapporto tra evento e testo.
La polarizzazione attorno alla Storia di Alberigo ha prodotto a cerchi concentrici alcuni approfondimenti decisivi, che si sono interrogati in positivo sulla singolarità della tessitura testuale dei documenti del Vaticano II: è la questione del Vaticano II come stile. Tra i molti merita citare tre interventi che mettono in luce la singolarità testuale del Vaticano II, rispetto ai concili antichi, medievali fino ai moderni concili di riforma, dove era invalsa la classica distinzione tra dottrina e disciplina, con il linguaggio utilizzato di carattere giudiziale-giuridico.
John W. O’Malley: stile epidittico
Già a partire dagli anni Ottanta John W. O’Malley aveva identificato la novità del Vaticano II come evento linguistico, nel senso che il lavoro conciliare avrebbe posto in campo progressivamente un nuovo "gioco linguistico" che configura una "retorica unica nel suo genere" e ha il suo culmine nella Gaudium et spes. Soprattutto nella sua opera sintetica (What happened at Vatican II, The Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge/MA - London 2008; tr. it., Che cosa è successo nel Vaticano II, Vita e Pensiero, Milano 2010) ha sostenuto che per comprendere la relazione tra lettera e spirito del Vaticano II bisogna prestare un’attenzione speciale allo stile (genere letterario) e alle forme linguistiche (vocabolario) del Concilio. Egli vi ritrova uno stile "epidittico" differente da quello "giudiziale" dei precedenti concili e un vocabolario di cui indica anche alcuni tratti distintivi. O’Malley traccia una sorta di fenomenologia dello stile singolare dell’assise vaticana: accentuazione delle relazioni orizzontali (linguaggi di partecipazione, collaborazione, collegialità); insistenza sull’atteggiamento di servizio più che di controllo (lo stesso tema della "regalità" interpretata come servizio); l’orientamento verso il futuro (con l’enfasi su evoluzione, progresso, sviluppo); la scelta di un vocabolario di inclusione rispetto a un linguaggio esclusivo; la preferenza per la "partecipazione attiva" richiesta ai membri della Chiesa. Lo stile [discorsivo] avrebbe dunque un rilievo a un tempo retorico e pragmatico, sarebbe un punto di vista sintetico sul Concilio come evento e come corpus. La conclusione di O’Malley è la seguente: nella "stile pastorale" sta il profilo sintetico del Concilio. «Il Vaticano II fu un "evento linguistico"» e come "evento linguistico" ha plasmato la corrispondenza tra forma e contenuto, dando un tono unitario non solo ai testi, ma altresì rivelando in essi lo stile della Chiesa del Concilio, pur nella disparità e differenza dei sedici documenti prodotti. Come "evento linguistico" il Concilio Vaticano II è un unicum nella storia della Chiesa. Resta aperta la questione della sua normatività.
Peter Hünermann: stile costituzionale
Sullo stile del Vaticano II va considerata la proposta di Peter Hünermann, che è il curatore del grande commentario dell’ultimo decennio: Herders Theologischer Kommentar zum Zweiten Vatikanischen Konzil, 5 voll., diretto da P. Hünermann e B.J. Hilberath (2004-2006). La sua prospettiva contrasta il tentativo di lettura della Storia di Alberigo di cui contesta «l’effetto paralizzante di questa tendenza interpretativa che parte, fin da principio, da un’opposizione tra maggioranza e minoranza» e invita a considerare i documenti come «testi di compromesso». Hünermann afferma che i testi del Vaticano II appartengono al genere "costituzionale", facendo leva sull’analogia con le "costituzioni" degli stati moderni. Radicalizza in questo modo l’interesse per la storia dottrinale: «il testo conciliare afferisce alla dimensione istituzionale, pubblica e giuridica, così come al piano morale ed etico e alle questioni di pratiche e di convinzioni rilevanti della fede. Si può dunque caratterizzare il genere testuale del Vaticano II come "costituzione della vita credente in seno alla Chiesa", o più semplicemente come "costituente della fede"». Richiamando il sentire di Paolo VI all’inizio della ripresa del Concilio (seconda sessione) che invitava a profilare l’"ordine essenziale" della Chiesa, Hünermann chiama in causa anche altri testi "costituzionali" come la Regula Benedicti. Muta così lo sguardo sulle formule di compromesso che sarebbero presenti nei testi conciliari, le quali sono attribuite piuttosto alle «polarità risultanti dalla tensione ineluttabile, costitutiva della Chiesa, che è ad un tempo mistero di Dio e comunità concreta dotata di una struttura istituzionale, comunità del compimento escatologico e Chiesa povera e pellegrina nel tempo e nella fragilità». I testi dal punto di vista performativo e pragmatico richiederebbero nei lettori (sia autorità che fedeli) di mantenere in equilibrio le due polarità ricordate, coniugando insieme mistero della Chiesa e sua dimensione storica. La proposta di Hünermann rappresenta il tentativo più avanzato per comprendere l’unità del corpus conciliare anche a livello del suo genere letterario. Il genere "costituzionale" del Vaticano II corrisponderebbe bene alla "tensione interna" che attraversa tutti i documenti: il rapporto tra mistero e forma storica della vita della Chiesa e dei fedeli. Ch. Theobald ha avanzato una critica serrata allo stile del Concilio come "testo costituzionale". La critica è triplice: la proposta dei tubinghesi non istituisce il rapporto tra corpus conciliare e corpus biblico, e configura lo stile dei documenti con la pretesa di inglobare la «totalità dell’esistenza cristiana», per misurarla e orientarla, oscurando obiettivamente il significato fondatore delle Scritture sacre; in secondo luogo, il valore "costituzionale" attribuito al corpus conciliare porrebbe l’enfasi sull’aspetto visibile della Chiesa, tipico dell’ecclesiologia postridentina della società perfetta, con tutte le incertezze e difficoltà che il postconcilio si è incaricato di evidenziare; infine, la critica più radicale apportata da Theobald è la centratura del fuoco del Vaticano II sulla Chiesa (pan-ecclesiologia).
Christoph Theobald: stile pastorale
La proposta di Theobald (La réception du Concile Vatican II, 1: Accéder à la source, Cerf, Paris 2009; tr. it., La recezione del Concilio Vaticano II, 1: Tornare alla sorgente, EDB, Bologna 2011) si raccomanda per la sua chiarezza teoretica, incentrata sul "principio di pastoralità", che è il programma attribuito da Giovanni XXIII al Concilio. Per il teologo di Parigi, costituisce il principio architettonico con cui interpretare il Vaticano II e recepirlo oggi. Tale principio sarebbe stato decentrato con il cambio di pontificato nel 1963, quando Paolo VI «non ha forse portato a modificare questo primo orientamento, facendo quindi della Chiesa l’"argomento principale" del Concilio?». Se l’interpretazione costituzionalista del corpus conciliare di Hünermann è «tributaria di questo cambiamento», l’ermeneutica di Theobald intende riportare il focus del Concilio alla sua intuizione profetica originaria, espressa nella famosa espressione di papa Giovanni: «tutto misurando secondo le forme e proporzioni di un magistero a carattere soprattutto [prevalentemente] pastorale». Lo stile del Concilio è una retorica e una pragmatica di "stile pastorale". "Stile" e "principio" risultano quindi confluenti tra loro come forma linguistica e scelta teoretica: in questo sta l’essenziale della proposta ermeneutica del teologo gesuita.
Theobald prende le mosse dallo "stile" del Concilio per valorizzare la forza teoretica del "principio di pastoralità". Infatti, il teologo gesuita prospetta un’analogia tra linguaggio biblico e linguaggio del corpo testuale del Vaticano II. Il "principio di pastoralità" definisce sia l’organizzazione interna dell’insieme testuale lasciatoci dal Concilio, in analogia con il linguaggio biblico e patristico (piano linguistico), sia una "maniera di procedere" da parte dei Padri conciliari che consiste nel comprendere e interpretare il corpus conciliare come «espressione di ascolto della parola di Dio e di incontro effettivo dell’infinita varietà di coloro ai quali l’assemblea vuole indirizzarsi» (piano extratestuale e/o pragmatico). Sul piano linguistico il Vaticano II propone un linguaggio con una «forte osmosi tra linguaggio biblico e linguaggio conciliare», che non si traduce in un genere unico, ma in una contaminazione di generi diversi: il genere narrativo, che ricupera il cursus del racconto biblico con le sue tipiche funzioni messe in luce dall’analisi narrativa; il genere parenetico, che è un insieme linguistico d’ispirazione biblica capace di intrecciare indicazioni ecclesiologiche, morali e giuridiche; il genere deliberativo e argomentativo che passa attraverso la comune ricerca della verità da parte dei Padri ed è messo in opera nella struttura decisionale del Concilio; infine, il genere dossologico, che apre alla prospettiva teologale ed escatologica del discorso di fede. Il risultato della lingua conciliare è quindi un tessuto complesso di linguaggi. Lo stile del Concilio però, secondo Theobald, non si riduce ai sedici documenti, ma la tessitura testuale del Vaticano II rimanda a un referente extratestuale o pragmatico, che è propriamente lo "stile" del Concilio. Si tratta del "processo di apprendimento" con cui i Padri hanno recepito il "principio di pastoralità" e per mezzo del quale hanno dato struttura architettonica all’insieme del corpus conciliare. Questo momento pragmatico è il modo con cui i Padri, soprattutto nella prima e seconda sessione, si sono lasciati educare dall’intuizione profetica di papa Giovanni e l’hanno trasformata in una maniera comune di ricerca della verità e di nuova formulazione dei testi, soprattutto delle Costituzioni, in un crescendo di metodo di lavoro e di affinamento di linguaggio.
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Otto Hermann Pesch IL CONCILIO VATICANO SECONDO Preistoria, svolgimento, risultati, storia post-conciliare
Biblioteca di teologia contemporanea 131 pagine 456 |
Pierre-Th. Camelot, Paul Christophe, Francis Frost, Pierre Maraval, Joseph Thomas I CONCILI ECUMENICI
Grandi opere pagine 480 |
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