Interrogandosi sulla triste ipotesi che il concilio Vaticano II, ad alcuni decenni di distanza dalla sua conclusione, rischi di essere dimenticato – o forse insabbiato, depotenziato – dalla chiesa cattolica che lo ha celebrato, nel 2005 Hans Küng stendeva uno dei suoi ultimi contributi per Concilium. Pensato appositamente per la rivista internazionale che egli stesso aveva contribuito a fondare a concilio ancora in corso, in quell’articolo il teologo di Tubinga sceglieva di tralasciare i meri dati di cronaca e di concentrarsi invece sull’essenziale. Lo faceva imperniando il ragionamento su due parole chiave: eredità e compito. Riproponiamo ora quel testo, con pochi tagli, in omaggio a una figura di credente e di pensatore che tanto ha dato alla nostra coscienza ecclesiale e conciliare. E che continua a spronarci, infondendo speranza nel nostro animo.
1. L’eredità
Il concilio Vaticano II ci ha lasciato una eredità preziosa, sebbene problematica. Una eredità che, anziché raccogliere e far fruttare, si può anche rifiutare o perlomeno lasciare inutilizzata. Ma quanto povere sarebbero la chiesa cattolica e la cristianità nel suo complesso senza questo concilio! Nessun’altra chiesa, dal tempo della Riforma in poi, ha compiuto una simile riforma. Ma procediamo con ordine:
Punto 1: Se questo concilio non ci fosse stato, nella chiesa cattolica si continuerebbe a considerare libertà di religione e tolleranza come prodotti nocivi del moderno spirito del tempo; nei paesi cattolici si continuerebbe a rifiutare alle altre comunità religiose (“eretiche”) la libertà di religione.
Dopo lunghe e dure discussioni, il Vaticano II ha compiuto una svolta che per gli ideologi dell’infallibilità era difficilmente pensabile: che ogni persona abbia il diritto alla libertà di religione; che possa agire, proprio nelle cose religiose, secondo la propria coscienza, libera da ogni costrizione; che ogni comunità religiosa abbia il diritto al libero esercizio pubblico della religione, secondo le proprie leggi.
A partire dal Vaticano II, in effetti, nei paesi cattolici è complessivamente cessata la discriminazione dei protestanti. Più nessun impedimento per loro alla formazione di pastori, all’erezione di edifici ecclesiastici, alla diffusione della Bibbia e alla collaborazione nel dare un’impronta alla vita sociale. Questa libertà religiosa vissuta giovò ovviamente anche ai cattolici che vivevano in regioni a “predominio” protestante.
Punto 2: Se questo concilio non ci fosse stato, la chiesa cattolica continuerebbe a sottrarsi al movimento ecumenico, conducendo contro le altre confessioni guerre fredde con penna e lingua appuntite. Ancor sempre delimitazione polemica, e persino separazione combattiva in teologia e nella società – e tutto questo, è ovvio, reciprocamente!
Il Vaticano II ha riconosciuto, sebbene con grande fatica, la corresponsabilità colpevole dei cattolici nella divisione della chiesa e la necessità della riforma continua: non più un semplice “ritorno” degli altri a una chiesa cattolica immutabilmente rigida, ma un rinnovamento della propria chiesa nella vita e nella dottrina secondo il vangelo, quale premessa per una auspicabile riunificazione. Agli altri cristiani ci si rivolge come a comunità o chiese cristiane. A nuovi dogmi e a nuove condanne, però, il concilio ha espressamente rinunciato per volere di papa Giovanni.
In verità, a partire dal concilio Vaticano II nella chiesa cattolica si è ampiamente radicato un atteggiamento ecumenico. A tutti i livelli si sono imposti conoscenza reciproca, dialogo e collaborazione, e anche preghiere comuni e una crescita delle comunità liturgiche. Avvicinamenti ecumenici si registrano pure nella teologia: particolarmente evidenti nell’esegesi biblica, nella storia della chiesa, nella pedagogia religiosa e nella teologia pratica, ma a perdita d’occhio anche nella dogmatica. Questo fa sorgere la domanda perché anche in Germania (come negli Stati Uniti) non si porti avanti, nel segno dell’ecumenismo e della scarsità di mezzi nei bilanci pubblici, l’integrazione delle facoltà teologiche. Ma anche il rapporto delle comunità cristiane tra di loro e specialmente dei loro parroci è decisamente migliorato sotto l’influsso del Vaticano II e contemporaneamente anche del Consiglio ecumenico delle Chiese (WCC); in molti casi il rapporto è diventato collegiale, anzi amichevole.
Punto 3: Se questo concilio non ci fosse stato, le altre religioni mondiali sarebbero per la chiesa ancor sempre oggetto soprattutto dello scontro negativo e polemico e di strategie missionarie di conquista. Ostilità specialmente nei confronti dei musulmani e in particolare degli ebrei. L’antisemitismo nazionalsocialista, a sfondo razzista, sarebbe stato impossibile senza il secolare antiebraismo religioso delle chiese cristiane.
Per il concilio Vaticano II, però, tutti i popoli, con le loro differenti religioni, formano una sola comunità: in modi diversi cercano di rispondere alle stesse domande fondamentali sul senso della vita e sul cammino dell’esistenza. Nulla, dunque, dovrebbe venire rifiutato di ciò che nelle altre religioni è vero e santo – il risplendere dell’unica verità che illumina tutti gli uomini. Parole di stima per l’hinduismo, il buddhismo e particolarmente per l’islam, che – secondo l’esempio di Abramo – insieme con i cristiani adora l’unico Dio e venera Gesù come profeta di Dio. L’ostilità tra cristiani e musulmani deve far posto alla comprensione e all’impegno comune per la giustizia sociale, per la pace e la libertà. In modo speciale, però, la chiesa cristiana è legata alla religione ebraica, dalla quale è nata e con cui condivide le sacre Scritture. Per la prima volta viene decisamente rifiutata da un concilio una “colpa collettiva” del popolo ebraico di allora, o addirittura di oggi, nella morte di Gesù, si prende posizione contro un rigetto o una maledizione dell’antico popolo di Dio, anzi si deplorano «gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli ebrei in ogni tempo e da chiunque» e al tempo stesso si auspicano «mutua conoscenza e stima» (NA 4).
Non è da trascurare: dal concilio Vaticano II in poi la conoscenza e la stima delle altre religioni e particolarmente dell’ebraismo sono enormemente cresciute – nella predicazione, nella catechesi, negli studi e nei dialoghi. Ogni discriminazione a motivo di razza, colore della pelle, condizione o religione è da allora vietata. Ci si riconosce nella fraternità di tutti gli esseri umani sotto l’unico Dio. Anche la possibilità della salvezza dei non cristiani, perfino degli atei in buona fede, ossia che vivono secondo coscienza, viene esplicitamente riconosciuta.
Punto 4: Se questo concilio non ci fosse stato, la liturgia cattolica continuerebbe ad essere una liturgia clericale celebrata in una lingua straniera incomprensibile, alla quale il popolo “assiste” solo passivamente, in “uffici solenni” in latino e in “messe private” sussurrate rivolti a una parete.
Il Vaticano II ha fatto ridiventare la celebrazione dell’eucaristia la liturgia dell’intero popolo sacerdotale: forma comprensibile, partecipazione attiva di tutti nella preghiera e nel canto comuni e nel ricevere la comunione. Il tutto quale felice realizzazione delle richieste dei Riformatori: le medioevali messe private praticamente abolite a vantaggio della celebrazione comunitaria; il calice ai laici permesso almeno in determinate situazioni; introduzione della lingua del popolo e, in tal modo, adattamento della liturgia alle differenti nazioni; infine, semplificazione e concentrazione dei riti sull’essenziale.
Punto 5: Se questo concilio non ci fosse stato, teologia e spiritualità della Bibbia continuerebbero, nella chiesa cattolica, ad essere trascurate nella predicazione, nella teologia di scuola e nella pietà privata. Praticamente la tradizione ecclesiale posta, nella teoria e nella prassi, sopra la sacra Scrittura – e il magistero sopra entrambe. Il rinnovamento biblico incontrò, come quello liturgico, molte difficoltà. Contro i metodi moderni della spiegazione della Scrittura si praticò il rifiuto.
Il Vaticano II ha riconosciuto l’importanza preminente della Bibbia: ogni annuncio ecclesiale, predicazione, catechesi, e soprattutto l’intera vita cristiana devono essere alimentati e guidati dalla Scrittura. Il magistero non sta al di sopra della parola di Dio, bensì deve porsi al suo servizio. Gli studi storico-critici della Bibbia vengono incoraggiati. Lo studio della Scrittura dovrebbe essere, per così dire, l’anima della teologia.
Di fatto, dal Vaticano II in poi la legittimità di una genuina esegesi storico-critica non è più contestata e, a prescindere da casi eccezionali, è difficile che venga impedita. La cosiddetta inerranza della Scrittura viene rivendicata al massimo per la verità salvifica, non però per le affermazioni puramente scientifiche e storiche. L’accesso alla Scrittura per tutti i credenti viene facilitato grazie a traduzioni di pregio e in parte anche ecumeniche. Nella liturgia, una lettura comprensibile della Scrittura, secondo un nuovo e più ricco e vario ordinamento delle pericopi. Nessuna liturgia domenicale senza omelia. Ripristino della liturgia della Parola anche indipendentemente dalla celebrazione dell’eucaristia, e in determinate circostanze guidata da laici.
Punto 6: Se questo concilio non ci fosse stato, la chiesa continuerebbe ad essere compresa come un “impero romano” soprannaturale, con al vertice il papa, come sovrano assoluto, sotto di lui l’“aristocrazia” dei vescovi e dei preti, e infine, in funzione passiva, il “popolo suddito” dei fedeli. Nel complesso un’immagine di chiesa clericale, giuridicizzata e trionfalistica.
Il concilio Vaticano II critica questa immagine di chiesa e comprende la chiesa – sebbene con fatali compromessi tra immagine di chiesa medioevale e immagine biblica – di nuovo fondamentalmente non come piramide gerarchica, bensì come comunità di fede, come communio, come popolo di Dio, continuamente in cammino nel mondo. Un popolo di pellegrini immerso nel peccato e nella provvisorietà, che deve essere disponibile a una costante riforma. I detentori degli uffici stanno non sopra, ma dentro il popolo di Dio, non come suoi padroni, ma come suoi servitori. Il sacerdozio universale dei fedeli va tenuto in grande considerazione.
In realtà, dal Vaticano II in poi le chiese locali, nel quadro della chiesa universale, vengono di nuovo prese sul serio sotto prospettive molto diverse: in quanto comunità liturgiche esse sono originariamente chiesa. I vescovi devono riscoprire, senza pregiudizio del primato papale, una comune, collegiale responsabilità per la guida dell’intera chiesa – per questo l’istituzione di un sinodo dei vescovi. Dappertutto ci sono oggi consigli diocesani e consigli parrocchiali composti da religiosi e laici. Ma anche al di fuori della chiesa cattolica vengono riconosciute chiese e comunità ecclesiali: il concilio rifiuta una equivalenza tra chiesa di Cristo e chiesa cattolica visibile.
Punto 7: Se questo concilio non ci fosse stato, il mondo secolare continuerebbe ad essere considerato in modo prevalentemente negativo. Ancora nel XX secolo la chiesa cattolica, che dopo la Riforma e l’Illuminismo aveva perduto la signoria medioevale sul mondo, si è volentieri compresa come baluardo assediato. In modi difensivi e offensivi essa ha cercato di assicurarsi i suoi diritti tradizionali, con atteggiamenti ostili, anzi spesso di rifiuto nei confronti del progresso scientifico, culturale, economico e politico dell’umanità moderna.
Anche in relazione al mondo secolare il Vaticano II ha compiuto una svolta positiva. La chiesa, oggi, vuole essere solidale con l’intera umanità, vuole con essa collaborare, non rifiutare domande, bensì dare ad esse risposta. Anziché polemica, dialogo; anziché conquista, testimonianza convincente.
Nessun dubbio che la chiesa cattolica, dal Vaticano II in poi, abbia accolto molte delle richieste dell’Illuminismo e che oggi prenda posizione in modo deciso per dignità, libertà e diritti dell’uomo, a favore dello sviluppo e del miglioramento della comunità umana e delle sue istituzioni, per un sano dinamismo di ogni umana creatività. Lo provano: il rifiuto totale della guerra; il riconoscimento della democrazia e della pacifica separazione tra stato e chiesa; la collaborazione a una comunità internazionale dei popoli; la difesa dei deboli (popoli e singoli) nella vita economica, sociale e politica; la riconosciuta importanza dell’amore tra partner, della responsabilità personale nella vita matrimoniale; la morale sessuale più consona ai tempi…
Una morale sessuale più consona ai tempi? Perlomeno su questo punto molti solleveranno obiezioni: una morale sessuale più moderna? E come si pronuncia, a questo riguardo, l’enciclica Humanae vitae? Anch’essa appartiene all’eredità del Vaticano II? Purtroppo devo rispondere: sì e no. Essa in realtà non è un documento conciliare, tuttavia sicuramente una ipoteca conciliare! Quell’enciclica si basa su uno dei numerosi fatali compromessi tra una maggioranza schiacciante orientata in senso riformistico e un esiguo partito di curia che poteva disporre del potere dell’apparato nelle commissioni e nella segreteria generale del concilio. Così, non posso più continuare a nascondere che l’eredità del Vaticano II, assieme a molti crediti, comprende proprio anche delle ipoteche: compromessi, oscurità, omissioni, unilateralità, regressi, errori – pesi ereditari che nei passati decenni ci hanno dato infinitamente molto da fare.
2. Il compito
Naturalmente abbiamo sperato, nel 1965, che le questioni in concilio accantonate o rimandate, taciute o vietate, potessero trovare risposta positiva, dopo il concilio, da parte del papa, del sinodo dei vescovi e delle conferenze episcopali. Ma ormai è noto: la maggioranza favorevole alle riforme, insieme al sinodo dei vescovi degradato a inefficace organo consultivo, dopo il concilio venne contrastata da un apparato curiale avverso alle riforme, che non voleva il concilio fin dal principio, che continuò a ostacolarlo nel suo corso e in seguito si rifiutò di assumerne il compito. Con crescente sfrontatezza questo apparato bloccò le riforme con encicliche e dichiarazioni reazionarie e soprattutto mediante una politica personalistica mirata: vescovo e cardinale diventa solamente chi ha superato il test di garanzia romano. Quanto più passa il tempo, tanto più diventa evidente questa situazione: il sistema romano dell’assolutismo, del clericalismo e del celibatismo, che si impose nell’XI secolo, era stato certo profondamente scosso dal concilio, ma non ancora eliminato. Anzi, la burocrazia curiale si diede da fare in tutti i modi per restaurare questo sistema urbi et orbi.
In realtà la curia non ha respinto l’eredità del concilio in ogni forma, come hanno fatto i cattolici tradizionalisti sotto la guida dell’arcivescovo Lefèbvre. Ha lasciato tuttavia che l’eredità in molti modi rimanesse inutilizzata e in parte anche l’ha dilapidata. Passaggi conciliari conservatori, strappati dalla curia al concilio, sono divenuti affermazioni guida. Tutto è stato interpretato guardando al passato e i nuovi approcci epocali che orientavano in avanti sono stati modificati in punti decisivi. Nessuna accettazione delle conoscenze provenienti dalle scienze bibliche (o dalla storia dei dogmi), quanto piuttosto una noiosa teologia neoscolastica continuamente riprodotta di bel nuovo e un autoritario Codex iuris canonici rimesso a nuovo.
Il compito affidato tuttavia dal concilio alla chiesa – eccomi così alla seconda parola chiave – non era forse quello di tradurre coraggiosamente nella prassi le decisioni di riforma? Di non fermare il rinnovamento, ma di realizzarlo nel senso della ecclesia semper reformanda? Sotto Paolo VI questo è avvenuto ancora in misura limitata, soprattutto nella riforma liturgica e nelle intese ecumeniche, ma anche nella questione dei matrimoni misti relativamente alla validità del matrimonio e all’educazione dei figli; nella prassi penitenziale, della confessione e del digiuno; e anche nella riforma, certamente timida, dell’abito e dei titoli dei prelati…
Spesso mi chiedo: come sarebbe diversa la chiesa cattolica, oggi, se si fosse posto mano positivamente anche alle altre richieste che, in concilio e nella chiesa, erano e sono condivise da molti, invece di ignorarle?
Punto 1: Come sarebbe stato facile per Paolo VI, che ben conosceva la curia, con il concilio ecumenico alle spalle, attuare a fondo una riforma della curia! Intendo una decentralizzazione e internazionalizzazione, ma non solo nel senso del fare ricorso a persone di diverse nazionalità, ma anche di dare spazio a differenti mentalità, a un “governo” di riformatori. Invece di far questo, papa Montini si decise soltanto a una modernizzazione della curia – nello spirito del vecchio assolutismo. Non smantellare i bastioni romani, ma consolidarli: una centralizzazione in parte ancor più rafforzata, con l’esito che la curia fu presto di nuovo forte e autoritaria come prima del concilio.
Punto 2: Come sarebbe stato facile, dopo il concilio, emanare una enciclica convincente sulla sessualità, una via di mezzo ragionevole tra un libertinismo permissivo e un rigorismo fuori dal mondo, nella quale correggere la perniciosa tradizionale condanna di qualsiasi forma di contraccezione e al tempo stesso fare appello alla responsabilità! Venne, invece, la citata enciclica Humanae vitae contro ogni mezzo contraccettivo: il primo caso, nella storia della chiesa del XX secolo, in cui la schiacciante maggioranza di popolo e clero rifiutò obbedienza al papa su una questione rilevante. E questo, anche se, secondo la concezione papale, di fatto si trattava di una dottrina “infallibile” del magistero “ordinario” di papa e vescovi (cfr. LG 25), proprio come il rifiuto dell’ordinazione della donna, per ora e per l’eternità, pure esso esplicitamente dichiarato da Giovanni Paolo II “infallibile”. L’assenza quasi totale dell’esegesi storico-critica al concilio si nota ad ogni passo.
Punto 3: Non sarebbe stato facile risolvere anche la questione, che in concilio fu proibito discutere, della legge del celibato? Come sempre: riconoscimento della vocazione libera, secondo la Scrittura, alla rinuncia al matrimonio (a tempo o per sempre), e tuttavia eliminazione del medioevale celibato obbligatorio a vita per i preti, il quale non è conforme né alla Scrittura né al tempo. E invece, anche qui, di nuovo la solitaria decisione del papa: una enciclica che conferma la legge del celibato – contro l’auspicio di molti vescovi in questa importantissima questione, proprio anche per la chiesa dei continenti poveri di preti quali l’America latina e l’Africa. Un motivo fondamentale è anche il fatto che il numero dei candidati a diventare preti e dei nuovi preti oggi è precipitato a un livello storico basso e, in talune località, quasi la metà delle parrocchie non possono più avere un parroco. Diaconi sposati o teologi laici con poteri ridotti, oggi accettati, non possono essere un surrogato dei parroci.
Punto 4: Non sarebbe stato facile, nell’elezione dei vescovi, coinvolgere, secondo antica tradizione cattolica, con i consigli presbiterali e pastorali ora creati, le zone ecclesiastiche interessate, ossia clero e laici, affinché i vescovi siano meglio accettati, cosa necessaria nell’epoca della democrazia? Invece, si rimase fermi al procedimento curiale segreto, nel quale i candidati vengono scelti soprattutto in base al criterio della conformità alla linea romana. Lo scandalo più grande nella storia moderna della chiesa – l’abuso sessuale di bambini e ragazzi da parte di preti – è stato sistematicamente messo a tacere da vescovi che nel 90% dei casi sono stati nominati dal pontefice allora in carica, ma sono stati vincolati meno alla verità che all’obbedienza nei confronti del papa.
Punto 5: Infine, come sarebbe stato facile trasferire l’elezione del papa dal collegio cardinalizio romano al sinodo dei vescovi, rappresentativo della chiesa universale! Invece, si è lasciata la scelta del papa al gruppo di cardinali, divenutone competente solo a partire dal Medioevo, che vengono scelti dal papa e alla curia secondo punti di vista romani e che, in questioni discusse, rappresentano più gli interessi di potere della centrale romana che le esigenze del popolo ecclesiale, spesso di altro parere.
Così, anziché essere risolti, i problemi sono stati negati o logorati con soluzioni rivolte al passato. Conseguenza: la chiesa cattolica è bloccata in una impasse e in un enorme ristagno di problemi e di frustrazioni.
Per quanto concerne il futuro: a Roma, di fronte alla crescente pressione dei problemi (diminuzione del clero, esodo delle donne dalla chiesa, carente integrazione ecclesiale della gioventù, crollo della pastorale, scandali sessuali, necessità finanziarie…), non si dovrà forse, seguendo l’ispirazione del vangelo, riprendere finalmente in mano sul serio l’eredità del concilio, la sua grande eredità spirituale? Invece delle parole di un magistero nuovamente conservatore e autoritario, non riacquisteranno vigore le parole programmatiche di Giovanni XXIII e del concilio? Moltissime persone, dentro e fuori della chiesa cattolica, desiderano di nuovo:
– “aggiornamento” nello spirito del vangelo, invece della tradizionale integralista “dottrina cattolica” delle encicliche morali rigoristiche e dei catechismi tradizionalistici;
– “collegialità” del papa con i vescovi, invece di un rigido centralismo romano che nelle nomine dei vescovi e nell’assegnazione delle cattedre di teologia non tiene conto degli interessi delle chiese locali a vantaggio di coloro che sono docili;
– “apertura” al mondo moderno, invece di accuse, lamentele e querele nei riguardi del presunto “adattamento” allo spirito del tempo;
– “dialogo”, invece di monologo ufficiale, di inquisizione e rifiuto pratico della libertà di coscienza e di insegnamento nella chiesa;
– “ecumenismo”, invece di una accentazione in senso strettamente romano-cattolico: che anche nella questione dell’eucaristia si faccia ricorso alla famosa distinzione di Giovanni XXIII tra la sostanza della dottrina di fede e il suo rivestimento linguistico-storico, a una “gerarchia delle verità” (che non sono tutte ugualmente importanti).
Una cosa, comunque, è sicura, nonostante tutte le resistenze e le ricadute: con il concilio Vaticano II anche per la chiesa cattolica il Medioevo, insieme con la Controriforma, è finito! Più esattamente: il paradigma romano-medioevale, controriformistico-antimoderno, ha fatto il suo tempo. Molte esigenze dei Riformatori e dell’Illuminismo sono state accolte dalla chiesa cattolica, e il cambio di paradigma per una costellazione moderna-postmoderna, frenato dall’alto, ha compiuto grandi passi in avanti a partire dal basso. Nonostante tutte le delusioni, è valsa la pena di quel concilio: il suo bilancio è, nel complesso, positivo! La chiesa postconciliare è diversa da quella preconciliare, senza alcun dubbio. La grande controversia circa la forma del futuro della chiesa cattolica e del cristianesimo senza dubbio prosegue.
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