19/11/2010
178. Gli ateismi di successo Il nuovo scientismo di Alister E. McGrath (London, Gran Bretagna)
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Il “nuovo ateismo” ha fatto la sua conflittuale comparsa tra il 2006 e il 2007, ponendosi ai vertici delle classifiche mondiali e suscitando un dibattito pubblico, esteso e spesso molto appassionato, sulla base razionale della fede e sul posto occupato dalla religione nella vita contemporanea. I “quattro cavalieri dell’Apocalisse” – Richard Dawkins, Sam Harris, Daniel Dennett e Christopher Hitchens – hanno lanciato un attacco aggressivo e aspro alla religione. Mentre dà scarsa attenzione a un’analisi rigorosa delle evidenze, il “nuovo ateismo” eccelle nell’uso della retorica. La religione è rappresentata come intrinsecamente e tipicamente pericolosa, tossica e cattiva. Non esiste prova che la religione possa avere anche uno o due aspetti di redenzione. Questo approccio aggressivo e di rigetto entra profondamente in risonanza, forse a un livello subrazionale, con i timori di molti secolaristi nella cultura occidentale. In ogni credente religioso risiede, sotto traccia, un potenziale terrorista. Sbarazziamoci della religione e il mondo diverrà un posto sicuro.

Quali i motivi di questa intensa collera? Una parte della spiegazione sta nel fatto che la religione rifiuta di morire in Occidente, come avevano invece predetto i grandi secolaristi del recente passato. Tornando agli anni Sessanta, quando stavo crescendo, parte della sapienza consolidata di quel tempo diceva che la via della religione si era allontanata. Come influenza sociale, i suoi giorni erano contati; come visione credibile del mondo, essa era «un sogno esploso di un’epoca morta» (Matthew Arnold). Il suo recente risorgere, specialmente negli Stati Uniti, ha allarmato atei e secolaristi. Un buon esempio di questa preoccupazione lo si trova in un breve discorso tenuto dallo scrittore anti-religioso Ian McEwan, per sottolineare il trentennale della pubblicazione di Richard Dawkins,
The Selfish Gene [Il gene egoista], nel 19761. McEwan commenta con sua sorpresa il ritorno della religione e l’urgente bisogno di ricacciarla nel posto che le è proprio – ovvero, per McEwan, nei pensieri privati di individui retrò – tenendola saldamente lontana da qualsiasi spazio pubblico.

Molto è stato scritto sul “nuovo ateismo”, esponendone le falle filosofiche, l’uso obliquo della storia, l’utilizzo altamente selettivo e prevenuto dell’evidenza, la sua considerazione deformata della religione e le sue inconsistenze nell’argomentare. Nel mio contributo intendo esplorare un aspetto del “nuovo ateismo” che non ha ricevuto l’attenzione che merita: e precisamente, il suo rifarsi alle scienze naturali come la sola base di verità affidabile – una visione ora largamente conosciuta come “scientismo” – e il concomitante rifiuto del credo religioso come superstizione non suffragata da prove. Da questa prospettiva, la scienza non richiede alcun obbligo di fede; di fatto, il suo rilievo posto sulla verità è nemico della fede. Il ruolo critico dei giudizi fiduciari del metodo scientifico è semplicemente un rappresentarsi le cose meglio di ciò che sono. Sebbene questo sia ripetuto per pura retorica nei lavori di Harris e Hitchens, trova una più completa discussione in Dawkins e Dennett. In ciò che segue proporrei di esaminare alcuni aspetti di questo curioso utilizzo della scienza come arma contro la religione, e di considerare la sua legittimità intellettuale.


1/ Spiegazione religiosa e spiegazione scientifica

Per i nuovi atei, il cristianesimo rappresenta un modo antiquato di spiegazione delle cose che può ben essere mandato in pensione nell’età scientifica moderna. In una delle asserzioni sorprendentemente non provate che costituiscono una vasta porzione del suo atteggiamento contro la religione, Christopher Hitchens ci dice che oggi, «grazie al telescopio e al microscopio, [la religione] non fornisce più alcuna spiegazione di una qualche importanza». È un breve estratto ricavato da un’intervista che, posto a fianco di molti altri pezzi egualmente non dimostrati, riesce quasi a creare l’apparenza di un argomento fondato nell’evidenza. Ma c’è qualcosa più di questo?

Nella sua critica brillantemente sostenuta del nuovo ateismo, il critico della cultura britannico Terry Eagleton pone in ridicolo coloro che trattano la religione come una teoria per 
spiegare le cose passata di moda. «In primo luogo, il cristianesimo non è stato mai inteso come una spiegazione di alcunché. È piuttosto come dire che grazie al tostapane elettrico ci possiamo dimenticare di Čechov». Credere che la religione sia «un tentativo malriuscito di spiegare il mondo» è allo stesso livello intellettuale che «vedere un balletto come il tentativo abborracciato di correre a prendere il bus».

Dawkins presenta la religione come una realtà irrazionale, che non ha una qualsivoglia funzione esplicativa. La sua funzione principale è di impedire l’avanzamento scientifico e il progresso sociale. Tuttavia egli sbaglia con l’impegnarsi nelle discussioni dettagliate della natura della spiegazione scientifica che pure sono state importanti nei recenti dibattiti all’interno della filosofia della scienza. Dawkins sembra lavorare con un concetto puramente causale di spiegazione e trascura l’importanza di due altri modelli di spiegazione scientifica, e segnatamente: i princìpi dell’“inferenza alla spiegazione migliore” e la “spiegazione unificazionista”. Entrambi i modelli sostengono, sebbene in modi leggermente diversi, che si può pensare la “spiegazione” come ciò che fornisce un contesto per adeguarsi all’osservazione.

Si può dire che una teoria “spiega” le osservazioni quando offre i mezzi per correlarle o disporle entro un più grande contesto che consenta il discernimento dell’interrelazione. La ricca ontologia della tradizione cristiana offre senza dubbio questa cornice di spiegazione, offrendo un’impalcatura teoretica entro cui possono essere accolte l’osservazione e l’esperienza del mondo. Come ha affermato Bernard Lonergan, «Dio è l’atto non ristretto di comprendere, l’eterno rapimento intravisto in ogni archimedeo grido di
héurēka». Dawkins, attraverso un marcato contrasto, sembra adottare un positivismo scientifico caratteristico della fine del XIX più che del XXI secolo, escludendo la nozione di spiegazione religiosa per partito preso più che argomentandone l’inconsistenza.

2/ Darwinismo universale

Uno dei punti centrali sviluppato tanto da Dawkins quanto da Dennett è che il darwinismo rappresenta una teoria universale, in grado di spiegare molto di più degli sviluppi all’interno dell’ambito biologico. La religione – così essi sostengono – può essere giustificata entro un contesto darwinista: qui viene facilmente intesa come un «prodotto accidentale» o un «portato non funzionale di un dispositivo utile». Perché Dawkins crede che la religione possa essere spiegata secondo un modello darwiniano? La sua analisi rimane sulla “teoria generale” della religione che egli trova nel Golden Bough [Il ramo d’oro] di Sir James Frazer, un lavoro di antropologia di forte impressione, pubblicato nel 1890. A prima vista, sembra una strategia molto sconcertante. Perché Dawkins dovrebbe far dipendere così pesantemente la teoria delle origini della religione dai presupposti centrali di un lavoro che è di un secolo più vecchio, ed è ora largamente screditato? Non è che egli intendesse aggiornare le cose?

Ecco allora che salta fuori che Dawkins
ha bisogno della teoria della religione di Frazer per dimostrare le proprie ragioni. L’insistenza di Frazer secondo cui la religione può essere ridotta a qualche singolo tratto universale spalanca la porta a Dawkins per proporre una spiegazione darwiniana. Presentando la religione come qualcosa che possiede caratteristiche universali, è aperta all’analisi darwiniana e, quindi, a una spiegazione riduttiva. «Le caratteristiche universali di una specie richiedono una spiegazione darwiniana».

Tuttavia molti antropologi attualmente citano Frazer come esempio di come
non studiare religione. La religione non mostra le “caratteristiche universali” richieste dall’approccio preferito da Dawkins e che gli ultimi lavori vittoriani di antropologia della religione erroneamente considerano assiomatici. L’argomentazione strategica di Frazer della «somiglianza essenziale dei principali bisogni dell’essere umano dovunque e in tutti i tempi» può adattarsi all’elenco degli argomenti antireligiosi di Dawkins, ma non spiega i fatti. Lascia perplessi il fatto che L’illusione di Dio dipenda da presupposti smessi del XIX secolo per farne un caso nel XXI contro la religione.


3/ Il meme

Richard Dawkins per primo introdusse l’idea di “meme” nel 1976. Verso la fine di
Il gene egoista, egli sosteneva che esisteva una analogia di base tra evoluzione biologica ed evoluzione culturale: entrambe hanno bisogno di un replicatore. Nel caso dell’evoluzione biologica, questo replicatore è il gene; in quello del’evoluzione culturale, è un’entità ipotizzata, che Dawkins chiama “meme”. Per lui l’idea di Dio è forse l’esempio supremo di un tale meme. La gente non crede in Dio per aver pensato a lungo a questo argomento in modo preciso; gli umani si comportano così perché sono stati infettati da un meme potente, che in qualche modo è “saltato” nel loro cervello.

Il “meme Dio” agisce particolarmente bene perché possiede un «alto valore di sopravvivenza, o […] alta virulenza, nell’ambito fornito dalla cultura umana». Non si crede in Dio perché si è pensato a lui in termini di tempo e di cura; si fa così per essere stati infettati da un potente meme. (Questa idea sarà successivamente sviluppata secondo l’immagine di Dio come di un “virus”). In entrambi i casi, l’intento e il risultato sono una sovversione della legittimità intellettuale di credere in Dio come delirio. Il meme-Dio o il virus-Dio è capace di contaminare le persone. La sua sopravvivenza non è segno di corrispondenza alla realtà.

Il vero dibattito qui non ha niente a che fare con la religione, ma riguarda l’appuramento del fatto se il meme sia una ipotesi scientifica valida, quando (per menzionare i problemi aggiormente ovvi) non esiste una chiara definizione operativa del meme e neppure un modello per provare in che modo i memi influenzino la cultura e perché i modelli selettivi normati non sono adeguati, mostrando una tendenza generale a ignorare i sofisticati modelli delle scienze sociali circa il trasferimento di informazione già presente sul posto, e un livello alto di circoli viziosi nello spiegare i poteri dei memi.

Più recentemente, sia Dennett sia Dawkins hanno messo a punto l’idea dei memi come se fossero elementi ortodossi scientifici stabiliti, non facendo menzione dell’inconveniente che oggi la maggior parte della comunità scientifica considera questa un’idea decisamente anormale, o meglio, la relega ai margini. Il “meme” è presentato come un’entità attualmente esistente, con un enorme potenziale in grado di spiegare le origini della religione. Dawkins è in grado di sviluppare un vocabolario avanzato basato sulle proprie convinzioni, coniando espressioni come “plesso di memi”. La causa intellettuale del nuovo ateismo è venuta pesantemente a dipendere dall’idea imperfetta di meme, con conseguenze decisamente terribili per questo approccio che si suppone “scientifico” all’ateismo.

Per illustrare le difficoltà di un approccio simile, possiamo considerare un’azzardata affermazione caratteristica di
L’illusione di Dio: «A volte i memi [presentano] un’alta precisione». Questa è una professione di fede posta come affermazione di un fatto scientifico. Ciò che Dawkins sta facendo è riformulare un’osservazione nel proprio linguaggio teoretico, che non è usato altrove nella comunità scientifica. L’osservazione è che le idee possano essere passate da un individuo, un gruppo o una generazione ad un’altra; l’interpretazione teoretica che Dawkins dà di questa osservazione – che qui è presentata semplicemente come fatto – coinvolge l’attribuzione di precisione/fedeltà a quanto – volendola sovrastimare – è una entità non esistente. Vediamo qui un esempio di quel che la maggior parte dei suoi critici considera come il più grande fallimento della memetica: i suoi “successi” si limitano a ridisegnare semplicemente una moltitudine di fenomeni in termini memetici.

Inoltre né le idee né gli artefatti culturali si possono dire ragionevolmente essere o contenere un codice che si è affermato da sé solo. Non sono “replicatori”, come richiesto dalle rappresentazioni di trasmissione e di sviluppo culturali offerte da Dawkins e Dennett. In effetti, dal momento che non ci sono prove scientifiche evidenti per queste entità, alcuni hanno scherzosamente suggerito – anche se non senza buoni motivi – che dovrebbe esserci pure un meme per credere nei memi.

Una indicazione eloquente del fallimento dei “memi” per guadagnare il supporto accademico può essere colta nella storia della rivista in rete
Journal of Memetics, lanciata ne 1997, ovvero quand’era allo zenit la plausibilità culturale del meme. La pubblicazione chiuse nel 2005. Perché? La risposta la si può trovare in una devastante critica della nozione di meme, apparsa nel numero finale di questa infelice rivista. Il dottor Bruce Edmonds ha apportato due critiche fondamentali al concetto della memetica, che ne hanno scalzato le pretese di plausibilità nella comunità scientifica.

1. La ragione che sta a fondo del perché la memetica ha fallito è il fatto di non «aver fornito alcun potere esplicativo o predittivo ulteriore, rispetto a quello disponibile senza l’analogia gene-meme». In altre parole, non ha fornito alcun “valore aggiunto” consentendo una
nuova comprensione dei fenomeni.

2. La studio della memetica è stato caratterizzato da una «discussione teoretica di estrema astrazione e molto più che ambiziosa». Edmonds cerca di evidenziare gli speciali tentativi di critica irrealistica e iper-ambiziosa, spesso sviluppati in anticipo sull’evidenza dei fatti, «per “spiegare” alcuni fenomeni immensamente complessi come la religione». E ancora per molti dei suoi più fanatici avvocati, naturalmente, questo è precisamente il punto della memetica – per spiegare sempre più a fondo la fede in Dio.

Edmonds termina il suo incisivo abbandono del meme con il necrologio: la memetica «è stata una fissazione di vita breve il cui effetto è stato quello di oscurare più che illuminare. Mi 
dispiace solo che la memetica, come disciplina identificabile, non verrà del tutto dimenticata».

L’importanza di questa osservazione è ovvia. Come abbiamo notato prima, due delle opere maggiori del nuovo ateismo fanno appello al “meme”, parte integrante della loro argomentazione scientifica, per sostenere che credere in Dio può essere plausibilmente spiegato (la maggior parte degli scienziati preferirebbe dire “riduttivamente spiegato”). Eppure il concetto di meme si dimostra essere altamente speculativo, ed è significativamente sottodeterminato [vale a dire: non fornisce sufficienti costrizioni per specificare un’unica soluzione] dall’evidenza. Rimane da vedere ciò che sarà delle implicazioni a lungo termine di questa fiducia eccessiva su una «fissazione di vita breve » (Edmonds) per gli apologisti atei. Al momento, il concetto di meme sembra essere una curiosità intellettuale che è presa sul serio solo all’interno del “nuovo ateismo”.


4/ La metafisica della scienza

Tanto Dawkins quanto Dennett assumono la prospettiva che le scienze naturali escludono un qualsivoglia coinvolgimento della metafisica, specie se di natura religiosa. C’è naturalmente un problema. Quando viene applicato in modo proprio e legittimo, il metodo scientifico è religiosamente neutrale: non è né di supporto né critico nei confronti dei credi religiosi. Ciò significa che gli atei scientifici devono rivoltare la scienza secondo certe direzioni al fine di conservare il loro dogma centrale per cui la scienza contraddice la religione. E, dal momento che il metodo scientifico chiaramente non implica l’ateismo, quanti desiderano usare la scienza in difesa dell’ateismo sono costretti a contrabbandare una serie di idee metafisiche non empiriche con le loro rappresentazioni di scienza, e a sperare che nessuno noti quest’opera di prestidigitazione intellettuale.

Possiamo analizzare questo punto guardando al lavoro recente di Denis Noble, studioso di biologia dei sistemi ad Oxford, dal titolo:
La musica della vita. Noble ci invita a considerare le implicazioni metafisiche di un passaggio di Il gene egoista (1976) di Dawkins, che rappresenta i geni come agenti attivi che esercitano il controllo sul loro e sul nostro destino.

Adesso [i geni] si trovano in enormi colonie, al sicuro all’interno di
robot giganti, fuori dal contatto con il mondo esterno, con il quale comunicano in modo indiretto e tortuoso e che manipolano a distanza. Essi si trovano dentro di voi e dentro di me, ci hanno creato, corpo e mente, e la loro conservazione è lo scopo ultimo della nostra esistenza.

Che cosa qui può essere provato dall’osservazione e cosa è speculazione metafisica? Noble nota che i fatti empiricamente verificati in questa affermazione si restringono alla breve dichiarazione stando alla quale i geni «si trovano dentro di voi e dentro di me». Il resto è di natura congetturale. I presupposti metafisici sono stati oggetto di contrabbando e rappresentati 
come se fossero fatti scientificamente verificati. La scienza è stata convertita sottilmente in ideologia. Noble allora scherzosamente riscrive la prosa di Dawkins, contrabbandandovi una quantità di premesse metafisiche totalmente diverse.

[I geni] adesso sono intrappolati in enormi colonie, chiusi all’interno di essseri altamente intelligenti, plasmati dal mondo esterno con il quale comunicano attraverso processi complessi, grazie ai quali, ciecamente, quasi per magia, emergono le funzioni. Essi si trovano dentro di voi e dentro di me; noi siamo il sistema che permette che il loro codice venga letto; e la loro preservazione è totalmente dipendente dalla gioia che sperimentiamo nel riprodurci. Noi siamo la ragione suprema della loro esistenza.

Leggendo così il tutto, sono gli umani che hanno il controllo della situazione. Noi siamo attivi; i geni sono passivi. La posizione di Dawkins è stata metafisicamente invertita.

Allora quanto dell’esame di Noble è scientifico? Come prima, l’unica cosa che può essere confermata dalle evidenze è che i geni «si trovano dentro di voi e dentro di me». Il resto è di natura speculativa e sta oltre l’investigazione empirica. Dawkins e Noble vedono le cose in modi completamente differenti. Essi non possono avere ragione. Entrambi contrabbandano una serie di presupposti metafisici diversi. E ancora, le loro affermazioni sono “empiricamente equivalenti”. In altre parole, essi hanno ugualmente una buona base di osservazione e di evidenza sperimentale. Allora quale è giusta? Come potremmo decidere qual è da preferire su terreno scientifico? Come osserva Noble, «nessuno sembra in grado di pensare ad un esperimento che voglia scoprire una differenza empirica tra le due». Il vero problema nel campo della scienza e della religione ha a che fare con il contrabbandare i presupposti metafisici atei che le scienze stesse non richiedono né legittimano. Questa non è scienza; è la sovversiva manipolazione della scienza.


5 / Conclusione

Sarebbe necessario dire molto di più sull’uso della scienza come arma contro la religione negli scritti canonici del “nuovo ateismo”. Dawkins e Dennett rimangono fermamente legati alla nozione fuori moda che scienza e religione sono permanentemente in conflitto – un’idea spesso indicata come modello “conflittuale”, ora considerato come del tutto inaccettabile dagli storici della scienza. Tuttavia Dawkins è così saldamente ancorato a questo modello obsoleto da essere portato a pronunciare dei giudizi molto imprudenti e indifendibili, inclusa l’idea ridicola di rappresentare gli sforzi di quegli scienziati che credono o contribuiscono a una positiva relazione di lavoro tra scienza e religione in analogia con il tentativo del Primo ministro britannico, Neville Chamberlain, di addolcire Adolf Hitler. È un suggerimento ridicolo, più o meno come la più recente insistenza di Dawkins sul fatto che il creazionismo è 
paragonabile, nella sua depravazione intellettuale e morale, al rifiuto dell’Olocausto. La derisione con cui questa asserzione è stata accolta suggerisce che il “nuovo ateismo” talvolta sembra occupare un mondo di fantasia, isolato da quello reale che lo circonda.

Eppure, malgrado i suoi limiti, si spera che questo breve esserci occupati del distorto appellarsi alla scienza come arma nei confronti della religione sarà di qualche utilità. È importante che le sue aberrazioni filosofiche, storiche e – posso dirlo? –
scientifiche siano identificate e capite. La retorica del “nuovo ateismo” dipende in non piccola misura dal suo pubblico che manca di una familiarità di prima mano con i credo e le pratiche religiose, e soprattutto dai colleghi scienziati che hanno dimestichezza con i temi della fede. Forse una delle lezioni più importanti che dobbiamo imparare dal “nuovo ateismo” è l’importanza che hanno quanti si occupano di scienza e sono parimenti coinvolti in un discorso religioso: è decisivo il loro ruolo nel poter e voler difendere e, soprattutto, spiegare la fede ai loro pari nell’ambito professionale.


© 2010 by Editrice Queriniana: Concilium. Rivista internazionale di teologia 4/2010 - Atei: di quale Dio?
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Traduzione dall'inglese di Guido Ferrari
Forum teologico diretto da Rosino Gibellini
Editrice Queriniana, Brescia (UE)



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John F. Haught
Dio e il nuovo ateismo
Giornale di teologia 339 

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