06/07/2006
73. Gesù e Maria Maddalena Intervista al teologo francese Bernard Sesboüé
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Il discusso romanzo “Il Codice da Vinci” di Dan Brown, arrivato anche sul grande schermo, ha suscitato molti commenti. Tra i commenti biblici-teologici spicca il breve libro di Bernard Sesboüé, gesuita, uno dei più rinomati teologi francesi, già membro della Commissione teologica internazionale. Il suo libro-intervista “Il Codice da Vinci spiegato ai suoi lettori", Queriniana 2006, propone di tornare all’essenziale, cioè alla Bibbia, e ristabilisce alcune verità sul cristianesimo.


Andiamo subito al cuore del problema. Che c’è stato tra Gesù e Maria Maddalena?

Assolutamente niente! Non impostiamo il problema in maniera anacronistica. Maria Maddalena è il nome di un personaggio composito che ha attraversato la storia e la cultura religiosa occidentale per duemila anni. Se si considera più da vicino il testo dei vangeli, ci si rende conto che questo personaggio è il risultato di un’amalgama fra tre donne effettivamente menzionate dai redattori di quei testi. Allora, la vostra domanda a quale di queste tre donne si riferisce?
Dan Brown non si è dato la pena di risalire ai vangeli. Ha innestato il suo romanzo sul personaggio presentato nel corso del tempo sotto volti diversissimi. Ciascuna epoca, in effetti, si è ‘proiettata’ su Maria Maddalena in funzione del proprio ideale e delle proprie attese. Per esempio, il fatto che fosse una donna era piuttosto un’obiezione per gli autori del XIX secolo, mentre nel XX e nel XXI secolo è diventato una grande qualifica. Questa Maria Maddalena appartiene alla leggenda pia ed edificante: non è mai esistita. Il suo successo è derivato dall’associazione tra la grande peccatrice e un’amica molto vicina a Gesù: tanto più santa quanto più era stata peccatrice.


Ci sono state tre Maria Maddalena?

Esatto. C’è prima di tutto Maria la Magdalena, originaria cioè di Magdala, villaggio situato sulle rive del lago di Tiberiade; c’è Maria di Betania, sorella di Marta e di Lazzaro, gruppo familiare che viveva in questa borgata situata nei pressi di Gerusalemme; c’è infine una donna che non viene chiamata per nome, ma che è presentata come una ‘peccatrice’ nella scena del pasto di Gesù a casa di Simone il fariseo.
Maria di Magdala viene nominata tre volte nei vangeli. Una prima volta (Lc 8,1-3) ci viene detto che faceva parte del gruppetto di donne che seguivano Gesù e lo servivano, sopperivano cioè ai bisogni del suo gruppo e lo assistevano finanziariamente nel corso della sua missione. Queste donne erano state guarite da spiriti malvagi e da malattie. È così che Gesù aveva liberato Maria di Magdala «da sette demoni». Questo non vuol dire, comunque, che ella fosse una peccatrice. Nello spirito di quel tempo il tema della espulsione dei demoni era legato alla guarigione dalle malattie, come si vede spesso nei vangeli. In seguito ritroviamo Maria di Magdala insieme con Maria la madre di Gesù e con un’altra Maria, detta di Cleofa, ai piedi della croce (Gv 19,25; Mt 27,55s.), dove senza dubbio c’erano anche altre donne. Molte donne portano il nome di Maria, allora estremamente diffuso, il che non facilita l’identificazione. La ritroviamo di nuovo, sempre tra un gruppo di donne, alla tomba di Cristo il mattino della risurrezione: venute a completare l’imbalsamazione di Gesù con degli aromi, queste donne scoprono la tomba vuota (Mt 28,1; Mc 16,1s.; Lc 24,1).
In queste tre menzioni del suo nome, Maria di Magdala non ha una personalità propria: appartiene ad un gruppo. Il fatto che il suo nome venga precisato mostra soltanto che essa era una figura importante del gruppo e particolarmente fedele Gesù.
Per quanto riguarda la risurrezione, le cose sono narrate in maniera diversa nel Vangelo di Giovanni. Il quarto evangelista consacra a Maria di Magdala il primo racconto di apparizione di Gesù (Gv 20,11-18). Lei sta piangendo vicino alla tomba. Inchinandosi, vede due angeli che le chiedono perché pianga. Risponde loro che hanno portato via il corpo del suo Signore. Voltandosi, vede allora Gesù, ma non lo riconosce, scambiandolo per il giardiniere. Alla domanda di Gesù sul suo pianto, ella dà la stessa risposta desolata. È allora che Gesù la chiama per nome: «Maria!», ed ella gli dà, di ritorno, il titolo di «Rabbunì», diminutivo di rabbì, che vuol dire ‘maestro’, con una sfumatura di tenerezza. Maria riconosce allora Gesù, il quale subito frena lo slancio di lei verso di lui dicendole di non trattenerlo, perché sale verso il Padre suo e non è più del nostro mondo: ormai appartiene alla sfera della vita divina. La scena termina con l’invio di Maria in missione, perché comunichi ai discepoli la notizia della risurrezione: ella sarà così la prima testimone e la prima apostola di Gesù risorto. Questa scena suppone una relazione affettiva personale tra Gesù e Maria. È molto, ma è tutto. Come ora vedremo, anche le altre due donne testimoniano un grande affetto verso Gesù.


E la seconda Maria?

La seconda Maria è Maria di Betania, sorella di Marta e di Lazzaro. Anche lei è presente in tre episodi. Nel primo, narrato da Luca (Lc 10,38-42), Gesù è accolto nella loro casa: Marta attende al servizio della preparazione del pasto, mentre Maria ascolta semplicemente la parola di Gesù. Marta protesta chiedendo a Gesù di mandarle la sorella per aiutarla. Gesù risponde che è Maria quella che ha scelto la parte migliore, perché ha ascoltato la parola di Dio. Questa scena scandalizza spontaneamente le madri di famiglia che preparano il pasto in cucina, mentre gli invitati, il marito e i figli prendono l’aperitivo conversando allegramente nella stanza accanto. Gesù non critica Marta: certamente non le avrebbe detto nulla se lei non si fosse lamentata con lui della sorella. Le risponde semplicemente che si dà troppo da fare, mentre una cosa, senza dubbio un solo piatto, sarebbe certo sufficiente. Maria è andata all’essenziale. Tutta la scena gira attorno a questa parola di Gesù sul «la parte migliore». La tradizione cristiana nelle due sorelle ha visto il simbolo della vita contemplativa, vale a dire la vita consacrata principalmente alla preghiera, come quella dei monaci e delle monache, e il simbolo della vita attiva.
La seconda scena si trova nel Vangelo di Giovanni (11,1-44): Lazzaro, l’amico di Gesù, è da poco morto. È Marta, più impetuosa, che corre incontro a Gesù per dirgli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto». Gesù la invita a credere nella risurrezione. Marta esprime allora la sua fede nella risurrezione all’ultimo giorno. Gesù le risponde con la celebre proclamazione: «Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà». Maria, chiamata da Marta, raggiunge piangendo Gesù e gli dichiara la medesima cosa della sorella. Alla vista di questa sofferenza, Gesù freme di emozione e si mostra turbato a motivo del suo affetto per Lazzaro. Marta è più attiva e intraprendente, Maria più sensibile. Ma Gesù non fa differenze tra le due sorelle. Egli compie allora il miracolo di restituire la vita a Lazzaro.
La terza scena è quella del pasto che Gesù viene a consumare a Betania in casa dei suoi tre amici, sei giorni prima della Pasqua. Marta è sempre occupata a servire. Maria si alza per ungere i piedi di Gesù con un profumo di grande valore, asciugandoli con i suoi capelli (Gv 12,1-11), gesto che ritroveremo tra poco nella peccatrice di cui parla san Luca. Matteo (26,6-13) e Marco (14,3-9) situano la medesima scena in casa di Simone il lebbroso e non nominano la donna che compie l’unzione. Giovanni pare conosca i fatti più da vicino.


E c’è ancora un’altra Maria?

La terza donna in causa non ha nome: da Luca (7, 36-50) è chiamata semplicemente «una peccatrice», il che significa una peccatrice ‘pubblica’, una prostituta. Gesù è invitato a pranzo in casa di Simone il fariseo che lo riceve piuttosto freddamente, senza compiere gli abituali gesti di cortesia. Durante il pasto entra questa donna e, piangendo, inonda i piedi di Gesù con le proprie lacrime, li asciuga con i suoi capelli, li copre di baci e li unge con il profumo che ha portato. Simone è scioccato al vedere che Gesù si lascia toccare da questa donna impura, e il Nazareno gli narra una breve parabola per fargli capire che, se egli può essere meno peccatore di lei, non ha comunque compiuto alcun gesto di affetto verso di lui. La donna, al contrario, ha manifestato molto amore e per questo i suoi numerosi peccati le vengono perdonati. Quando Gesù dice alla donna: «Ti sono perdonati i tuoi peccati», i presenti sono ancora più scandalizzati, perché i peccati li può rimettere solo Dio. L’amore che questa donna ha espresso è un amore di pentimento, un amore spirituale; ed è anche un amore che si esprime con gesti molto carnali: baciare i piedi, ungerli con profumo e servirsi dei propri capelli per asciugarli.


Gesù ha amato, dunque, tre donne?

Tutto dipende dal senso che si dà alla parola ‘amare’. Nel senso di un affetto profondo, egli ne ha amate certamente delle altre. Queste relazioni femminili di Gesù ci dicono semplicemente che egli aveva un cuore di uomo, capace di intrecciare delle relazioni affettive privilegiate, verso uomini come verso donne: ha amato il giovane ricco che lo interrogava per sapere che cosa doveva fare di buono per avere la vita eterna (Mc 10, 19); amava Lazzaro, suo amico, e pianse davanti alla sua tomba; amava in modo più particolare l’apostolo Giovanni. Amava sua madre, amava le due Marie, di Magdala e di Betania, ha amato la peccatrice. Questo non vuol dire che abbia avuto dei rapporti sessuali con queste donne. Pensarlo è un’invenzione del tutto gratuita.
L’importante è vedere chiaramente come tre donne diverse abbiano espresso, con un ardore tutto femminile, il loro affetto per Gesù. Nulla indica che Gesù abbia avuto relazioni amorose con l’una o con l’altra. Bisogna essere sensibili al clima dei racconti evangelici che si collocano in un ordine di relazioni del tutto diverso. Si accusa spesso il cristianesimo di disprezzare l’umano, di non onorare la femminilità. I vangeli mostrano il contrario: Gesù è umano, sensibile, affettuoso. Perché i suoi atteggiamenti dovrebbero suscitare subito dei sospetti?
La cosa più difficile da accettare, in realtà, è la verginità di Gesù. La sessualità è diventata oggetto di una tale ossessione che la testimonianza di una castità perfetta appare come inaccettabile. Ora, Gesù non ha esitato a prendere su di sé l’insulto di ‘eunuco’ che gli sarà stato senz’altro rivolto. Ma egli precisa che vanno distinti tre tipi di eunuchi: quelli che sono nati tali, quelli che si sono mutilati, e quelli che hanno fatto una tale scelta «a causa del regno dei cieli». E conclude la riflessione con questa parola: «Chi può comprendere, comprenda!» (Mt 19,12), il che fa pensare che anche al suo tempo la cosa non fosse facile da accettare. Gesù ha consacrato tutte le forze del suo essere all’annuncio del vangelo e del regno: è la sua missione che dà senso al suo celibato. Come ha osservato con finezza una donna, la verginità di Gesù è un mistero. Perché l’incarnazione ha eliminato questo solo settore dell’esperienza umana, così centrale? Perché nella sua vita non troviamo la pur minima allusione che indichi che egli ha partecipato all’esperienza fisica della sessualità? Perché la tradizione esclude con estremo rigore qualsiasi sospetto di questo ordine?
Noi tutti, comunque, conosciamo non soltanto dei celibi che conducono una vita autenticamente umana, ma anche uomini e donne che non si sposano perché vogliono consacrare la propria vita a un ideale di servizio degli altri che li tiene completamente occupati. La castità del celibato non è monopolio della vita dei religiosi, delle religiose e dei sacerdoti. E in tutto questo non c’è nulla che debba svalutare il matrimonio.




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